Oggi pomeriggio i CCCP sono a Milano, alla Milano Music Week saranno i protagonisti di un incontro al Teatro Fontana dal titolo Felicitazioni! CCCP-Fedeli alla linea 1984-2024. In contemporanea con la mostra ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur saranno in dialogo con Giulia Cavaliere, raccontando il percorso che li ha portati a risvegliare la “cellula dormiente”. Un appuntamento che arriva al termine di un mesetto pieno di eventi, che pone fine a un silenzio lunghissimo. Prima la mostra, che vi raccontiamo qua, poi gli spettacoli teatrali a Reggio, ora questo nuovo incontro. Quello che trovate qua sotto è il racconto di un risveglio attesissimo, fatto da chi i CCCP li ha studiati in profondità: Matteo Remitti, collaboratore storico di Rockit e autore con Stefano Fiz Bottura del libro Giovanni Lindo Ferretti - Canzoni preghiere parole opere omissioni.
CCCP duemilaventitré, intro ovvia.
C’era una volta un gruppo, i CCCP fedeli alla linea, nato nel 1983 e attivo fino al 1990, formato da Massimo Zamboni, Giovanni Lindo Ferretti, Annarella Giudici, Benemerita Soubrette, e Danilo Fatur, Artista del Popolo. Al netto dei ruoli diversi, al netto dei musicisti con cui sono stati realizzati album e concerti, e al netto dell’ovvia focalizzazione postuma su Zamboni e Ferretti, i CCCP sono loro quattro.
CCCP duemilaventitré, riassunto delle puntate precedenti.
Tra le varie cose intorno alla mostra e al sedicente Gran Gala Punkettone, c’era molta enfasi sul fatto che fossero passati trentatré anni dallo scioglimento dei CCCP. Vero, ma non è che i quattro siano stati nascosti in un posto segreto per oltre tre decenni. In coda ai CCCP sono nati i CSI, e ai tempi c’era probabilmente molto più interesse per quello che sarebbe successo con l’ingresso formale, dopo Epica Etica Etnica Pathos, degli ex Litfiba, che vesti stracciate per avere perso per strada Annarella e Fatur. E poi la fine dei CSI, la separazione tra Ferretti e Zamboni, eccetera. Dischi e libri e altro. E concerti, da un certo momento in poi, a festeggiare ricorrenze vere o presunte. E incontri e riappacificazioni a geometrie variabili, a due, a tre, a quattro, in ogni occasione segnalate nei comunicati come “la prima volta che si rivedono”. Tipo, il Gran Gala Punk era la prima volta che si rivedevano, ed era figlio di un incontro nel duemilaventidue, che era la prima volta che si rivedevano, ma nel duemilaquattordici c’era stato un incontro pubblico per la mostra su Annarella allo spazio Gerra, ed era la prima volta che si rivedevano, eccetera.
Sommando dischi, libri, colonne sonore, e lasciando da parte altre cose (film, concerti, collaborazioni, eccetera), Zamboni e Ferretti, nei trentatré anni di cui sopra, separatamente o insieme, hanno pubblicato una sessantina di titoli. Non erano esattamente irreperibili, appunto.
Nello stesso periodo, per la cronaca, Fatur ha pubblicato cinque album a suo nome, il primo ‘embrionale’ (ehm...), i tre successivi, pubblicati da Olga, sempre ‘giusti’ e a tratti incantevoli, il quinto inutile.
Nello stesso periodo, Annarella, negli ambiti citati, non ha fatto (quasi) niente, e - in opposizione all’ipertrofia di cui sopra - viene da ringraziarla. Benemerita.
CCCP duemilaventitré, il contesto.
C’è la mostra, ai chiostri di San Pietro. C’è una cosa che si chiama Gran Gala Punk, o Punkettone, dipende. Al teatro Valli, a Reggio Emilia. Fuori da una ristretta cerchia di eletti, non si sa cosa ci sarà, una chiacchierata, una rimpatriata, un concerto, un qualcosa. Nonostante questo, o proprio per questo, i biglietti si esauriscono in un attimo. E sono un migliajo, non cinquanta. E non costano cinque euro. E sono i CCCP, gruppo sciolto trenta anni fa, e che trenta anni fa non riempiva gli stadi. A un certo punto si aggiunge in calendario una sera addizionale, il giorno dopo la prima. E la scena si ripete, biglietti introvabili un attimo dopo l’apertura della finestra per acquistarli.
È la fine di una lunga attesa, in gran parte illegittima, perché non c’era nulla da attendere. Ma i CCCP hanno quaranta anni, i membri del gruppo tra sessanta e settanta, chi ai tempi ne aveva venti o poco più ed è sopravvissuto agli anni immediatamente successivi - non ovvio - ha buona probabilità di esserci ancora, e chi ha avuto a che fare con i CSI viene a ruota, e poi ancora qualcuno, e qualcun altro diversamente. E tutti vogliono esserci.
In senso promozionale l’aura di evento funziona bene, se ne parla tanto, c’è attesa per la resurrezione, e il doppio sold out fa gioco. Per tutti è andiamo a vedere come è, senza esplicitare troppo le aspettative, che comunque ci sono, non c’è dubbio. Motivazioni varie, curiosità o scetticismo o ineluttabilità o altro. Vale tutto.
CCCP duemilaventitré, il presente.
Il presente nel Gran Gala Punkettone, che ha la velleità di non essere solo un revival, sono Daria Bignardi e Andrea Scanzi. Chissà perché si è pensato a figure del genere, e chissà perché loro, come concelebranti in rappresentanza dei tempi contemporanei.
A teatro sono state due sessioni bizzarre.
La Bignardi aveva studiato qualcosa, distribuiva sorridenti domandine precotte ai quattro, badando più a dividerle in parti eque che a cosa stesse chiedendo. Ha appellato due volte con enfasi Fatur “poeta”, e gli ha chiesto come si intitolasse il suo libro e perché, specificando che non l’aveva letto perché “l’ho ordinato, mi arriverà mercoledì”. Eh.
I più coraggiosi, a posteriori, hanno visto nell’architettura della misera intervista sui divanetti bianchi una riuscitissima citazione dei peggiori talk show degli anni ottanta. Molto coraggiosi.
Cito un passaggio. Si parla dell’incontro tra i quattro, autunno duemilaventidue, identificato ufficialmente come l’origine di tutto, l’occasione di rivedersi (per la prima volta) data dall’intervista collettiva per il documentario Kissing Gorbaciov. Bignardi si chiede e chiede alla regia, ammiccante e complice, se magari sia possibile fare vedere in anteprima il trailer. Come se fosse una sua iniziativa estemporanea, uno strappo alla regola. Stupefacente. In platea e nei palchi ci sono delle persone. Fai vedere il trailer del film, è in programma quello, hai alle spalle uno schermo che è stato lasciato lì apposta. Si chiama scaletta. Ma - incredibile - nessuno dice niente, nessuno lancia nulla, un pomodoro, un cavolo, un sasso, verso il palco.
Per ovvie ragioni cronologiche, Scanzi non ha vissuto i CCCP, ma è arrivato dopo, ai tempi dei CSI, e poi ha - giustamente - ricostruito il pregresso, come tanti suoi coetanei. Scanzi ha fatto un monologo. “Ho fatto un monologo a braccio”, scrive e ribadisce più volte, nei giorni successivi. Certo. A braccio. Ripetuto identico sabato sera e domenica sera a teatro, e di nuovo lunedì, “eternato” davanti a una webcam. A braccio. Preparazione pregressa di un altro livello rispetto alla Bignardi, sicuramente, ma utilità zero. La Bignardi aveva un vantaggio, facendo un’intervista in risposta ad una domanda inutile può arrivare, dall'interessato, una replica sensata, cosa ripetutamente accaduta, ma quello di Scanzi è un monologo, non ci sono altre voci, quindi resta un riassunto enfatico, con qualche passaggio ‘creativo’ e i Dire Straits e gli U2. Chissà. Non capisco a cosa possa servire un intervento del genere, un autocompiaciuto panegirico un po’ sguajato in una sera che è già strutturalmente celebrativa, ma forse sono io. E poi, la nota sul fatto che Zamboni è sempre uguale, sai che notizia, “ci sono delle immagini di Zamboni accanto a Cavour, accanto a Mazzini”, sai che battuta. Il pubblico, comunque, ascolta, anche qui - incredibile - nessuno tira niente sul palco. Forse piace sentire ripetere le cose che si sanno già. E comunque c’è da considerare che erano dette a braccio.
CCCP duemilaventitré, Fatur.
Al Gran Gala Punkettone Fatur entra per primo, davanti al sipario, ed è un momento straordinario, perché evidentemente quasi nessuno lo riconosce, e il teatro resta in silenzio. Due secondi dopo entra Zamboni, boato. Va bene che il vestito elegante non era il costume di scena abituale di Fatur, va bene che è passato qualche anno e in pochi ne hanno seguito le rare tracce, però, insomma, non era uno dei quattro cavalieri dell’apocalisse? E non eravamo qui, almeno formalmente, al netto delle legittime predilezioni personali, per tutti e quattro, insieme?
Fatur mantiene intatta una caratteristica che ha sempre avuto. Il tempo passato e l’età hanno ovviamente ridirezionato le energie verso qualcosa di meno fisico, ma Fatur resta imprevedibile in un modo che, anche se tecnicamente non fa più ‘paura’, è comunque sempre ‘minaccioso’, in qualche senso. Un gradevole - o meno gradevole, dipende - disagio, vivo, ad avere davanti qualcuno che, sempre e comunque, non si sa bene cosa stia per dire, o fare, o dove possa andare, o andare a parare. Bello, nel suo smascherare con naturale disinvoltura, e senza autocompiacimento, la sciatteria della Bignardi, nel banalizzare - con effetto contrario, certo - il suo ruolo nei CCCP, splendido nel classificare in scioltezza Trabant Punk come il suo “più grande successo”.
A margine, bravi Ferretti e Zamboni a segnalare e consigliare la sua recente autobiografia - Io, Fatur. La vodka bona più non c’è, libro variamente imperfetto ma davvero imprescindibile, in qualche modo - ad una platea che ne ignora l’esistenza.
CCCP duemilaventitré, Annarella.
Annarella ha sempre parlato poco o niente, si sa. La reclame iniziale poteva uscire meglio, ma non importa. Nell’intervista infila un pajo di contributi taglienti, sempre con un qualche scarto rispetto al naturale fluire delle cose, simile in questo al suo dirimpettajo Fatur, nelle ovvie differenze.
Dopo l’ingresso da nozze d’oro con Ferretti e dopo il concerto, l’enfasi dei racconti è su Annarella che fa Annarella, Annarella infilata nel burqa, Annarella di rosso vestita, Annarella vestita da suora, Annarella che cammina sul bordo del palco con la bandiera rossa.
Va bene. Ma il momento perfetto della sera è un altro. È quando balla. Balla, balla e basta, balla come una ragazza di quaranta o cinquanta anni di meno, balla come una elegante modella di una certa età, lontana dalle passerelle - o dai palchi - da decenni ma fottutamente ben conservata, balla come ballerebbe una ragazza - una ragazza che balla bene, dico - tra il pubblico, se ci fossero ragazze tra il pubblico (e no, siamo tutti vecchi, o quasi tutti) e se il pubblico non fosse inchiodato sulle seggioline imbottite di un prestigioso teatro emiliano. Balla e basta, non importa il vestito, che comunque funziona bene e forse - ma non c’è la controprova, magari è una cazzata - non importa nemmeno quale sia il pezzo, che nei fatti è Emilia paranoica.
Ma che bello. Se devo scegliere, nella sera, quello. Annarella che balla, lunga, energica, fluida, forse un pelo affaticata, in modo delizioso, in quei momenti senza fare nulla della sua parte attesa da Annarella con i CCCP. Quel momento in cui Fatur fa Fatur, gli altri suonano, lei balla e basta.
CCCP duemilaventitré, Zamboni e Ferretti.
Nel ricostruire la storia, sul divanetto, Ferretti trova qualche passaggio buono. Il fatto che la possibilità di chiudere un cerchio, spuntata (almeno nella narrazione ufficiale) un po’ per caso, “non sia da snobbare”, è una cosa con senso e detta bene, e non è l’unica.
Zamboni è lucido e ordinato, e mette in fila pensieri e parole con cura e garbo, come sempre. In un pajo di occasioni elude domande sciocche, e almeno in un caso invece riprende e chiude un discorso sensato che era stato sacrificato al bombardamento di domandine fatte ogni volta a quello seduto dopo quello che stava parlando.
Insomma, ci sono due signori di settanta anni (Ferretti) o quasi (Zamboni) che raccontano storie e dicono cose. Garbati, interessanti. Tutto bene, se non fosse per l’intervistatrice, e forse se non fosse che sono dieci giorni che ripetono buona parte di quelle cose in cento diverse interviste formali o informali, a margine delle mostra. Nonostante l’enfasi immotivata sui trentatré anni di ‘silenzio’, i due fanno la loro parte in modo credibile, dando senso anche alla metà sera che non è stata concerto.
E, durante il concerto, Ferretti ha cantato bene.
CCCP duemilaventitré, una serata e un concerto per pochi eletti.
Il concerto che non doveva essere un concerto ma è stato un concerto c’è stato. Otto pezzi, non trenta, ma se Emilia paranoica e Radio Kabul insieme hanno superato i venti minuti, il totale si avvicina a un’ora. C’erano mille persone, ma è come se ci fossero stati tutti. Perché anche se all’inizio la vocina registrata segnala come sempre - ma un po’ più del solito, visto che ci sono riprese ufficiali - che è vietato fare fotografie e video, e anche se il teatro non è pieno di teppistelli minorenni con una disperata, fisiologica, incontenibile voglia di violare le norme, ci sono centinaja di telefoni accesi in ognuna delle fasi che compongono la serata. Perché è un evento e come tale va trattato. E dunque, nel duemilaventitré, filmato e fotografato. Professionisti in capelli grigi e maglioncino grigio, pensionati, pelate, t-shirt fuori tempo, signore con guizzi cromatici in testa, tutti a ritrovare il perduto brivido della trasgressione filmando un concerto dopo avere ascoltato in silenzio l’esplicito divieto di farlo. Quindi, tempo un pajo di giorni, sono disponibili online centinaja di riprese, di solito pessime sia per la parte audio (a teatro l’acustica era ottima) sia per la parte video (a teatro regia insipida e luci innocue), come sempre, e - tra le altre cose - potete guardare esattamente come ha ballato Annarella, ripresa da angolazioni diverse, durante Emilia Paranoica. E tutto il resto, con tutti i passaggi ‘imperdibili’ - l’abbraccio tra Ferretti e Zamboni, la bandiera di Annarella, i ringraziamenti finali, eccetera - ben evidenziati e correttamente taggati.
Dunque, tutti hanno ‘visto’ il concerto, tutti sanno come è stato, cosa c’è stato. Tutti ‘c’erano’. Quindi è - o a me sembra - abbastanza strana la richiesta tambureggiante di fare altre serate, così come la disperazione, preventiva o contingente o postuma, per non esserci stati.
La cronologia originale dei CCCP rendeva ogni spezzone video dell’epoca, e oggi in qualche modo accessibile, una preziosa rarità, girata e conservata e recuperata in modo più o meno rocambolesco, che siano concerti in Italia o frammenti berlinesi degli esordi o altro. Anche le fotografie, pur disponibili in numero e qualità non altrettanto limitati, erano frammenti evocativi di qualcosa di comunque diversamente invisibile.
Ed era una cosa che funzionava bene, ovvio, che - per tante cose diverse - l’aura dei racconti senza immagini, o con immagini poche e sfocate, ajuta e sorregge il mito.
Questo fino a jeri.
Ora c’è un fiume di roba, video del concerto, video a margine del concerto, articoli recenti, articoli più vecchi ripubblicati per piazzarsi meglio nelle ricerche e cavalcare l’onda, riprese, rilanci. Digiti CCCP fedeli alla linea, gruppo attivo dal 1983 al 1990, e c’è un sacco di materiale ‘multimediale’, come si diceva qualche tempo fa. Del duemilaventitré.
Va bene così, sono tempi moderni. Forti, nuovi e interessanti, s’intende.
CCCP duemilaventitré, un evento unico e irripetibile.
Unico e irripetibile.
I due aggettivi sono stati ripetuti in continuazione, prima, durante e dopo il Gran Gala Punkettone. Ferretti, riprendendo il microfono, all’ultima uscita tra gli applausi, ripercorre in tre frasi la genesi della serata e chiude dicendo “L’abbiamo fatto per il nostro piacere, spero anche per il vostro. Grazie”. Missione compiuta, è andata bene. Se possibile, salviamo gli aggettivi, già molto ammaccati dal fatto che la sera dopo c’è stata una fotocopia, altrettanto in sold out, di cui è banale il senso pratico, ma piuttosto difficile da difendere il senso ‘filosofico’, a meno di non appendersi all’avvicendamento tra Solaro e Bignardi e tra Scanzi e Scanzi.
Tutti abbastanza grandi da gestire senza problemi eventuali incongruenze, ed è ovvio che qualcosina si sacrifica volentieri, se fa gioco, e - per dire - sarebbero parecchi biglietti venduti in un attimo, e venduti bene. Ma, dopo avere detto cento volte che no, nessuna reunion, saremmo ridicoli, non si può, non se ne parla nemmeno, dopo averlo detto cento volte, che bello sarebbe se davvero non ci fosse una reunion con un nome diverso da reunion, più di quanto non ci sia già stata.
Ed è pure andata bene, quella sera a Reggio Emilia, quel concerto al Valli, varrebbe la pena di tenerseli stretti, così come sono stati.
Ventuno ottobre duemilaventitré, i CCCP fedeli alla linea, dopo tanto tempo, per una volta ancora insieme, l’ultima.
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L'articolo CCCP: cronologia di un risveglio di Matteo Remitti è apparso su Rockit.it il 2023-11-21 20:54:00
COMMENTI (1)
Condivido. Ho sempre detestato le reunions,poi davvero Scanzi e Bignardi,mamma mia. Forse era necessario. Per dirla con Ferretti,io comincio a sentirne il peso,e la stanchezza.