La notizia è la seguente: secondo i dati FIMI,il mercato discografico italiano è cresciuto del 34% nei primi mesi del 2021. Su tutti comanda lo streaming in abbonamento (Spotify, Tidal, Apple Music etc.) che da solo è cresciuto del 41%. Il vinile ormai spopola con un incremento del 189%, è il supporto fisico di punta per la musica in Italia e lo abbiamo glorificato un sacco di volte (l'ultima qui).
La vera novità di questi dati è il ritorno del cd, che ha avuto un incremento del 52%. Proprio lui, il cugino futurista del vinile, diventato negli ultimi anni lo sfigato di famiglia, quello che sarebbe dovuto durare tutta la vita e invece se si graffiava iniziava a fare dei glitch che hanno generato nuovi generi di musica elettronica, è tornato in auge.
Un dato davvero sconcertante per il supporto inventato da Philips e Sony nel 1980 e commercializzato nel 1982 (era un album di Billy Joel, 52nd Street, che in Giappone veniva venduto insieme al lettore), creato per ovviare all'usura del vinile o della musicassetta, entrambi supporti fisici che possono deteriorarsi con gli ascolti.
Il primo supporto digitale contenente grazie a cui potevamo ascoltare la musica in modo quasi perfetto nell'impianto stereo di ultima generazione, il supporto che ha decretato la fine ingloriosa di dischi e cassette negli anni Novanta e Duemila, che poteva costare quasi 40mila delle vecchie lire e che da solo teneva su tutto il mercato discografico mondiale, alla fine degli anni '10 era visto come un sottobicchiere.
Con lo streaming che impera, i computer e gli impianti stereo delle auto nuove che non hanno più il lettore cd, la rinnovata passione un po' hipster per il giradischi e quella ancora più di nicchia per il mangianastri, il cd in vent'anni da imperatore assoluto della discografia, campeggiante nelle mensole delle camere di ogni adolescente e negli stand di design di ogni adulto, si è ritrovato ad essere il cugino scemo, quello che nessuno vuole più, che trovavi ai mercatini a pochi euro o nei cestoni degli Autogrill, mentre il vinile otteneva la sua spietata vendetta.
Fino a poco tempo fa avremmo potuto domandarci se fosse ancora il caso di stampare i cd, ma l'incremento delle vendite del formato fisico (37,5% in più dello stesso periodo del 2020) fa di nuovo ben sperare per il compact disc: dopo due decenni di caduta libera è di nuovo in crescita.
I motivi possono essere molteplici, ma matematicamente sono collegati: la percentuale di quelli che negli anni scorsi compravano album digitali si è ridotta drasticamente in favore dello streaming. Nessuno vuole più avere hard disk o supporti pieni di mp3 quando può trovare tutto (o quasi) in un'app in abbonamento. In questo caso però la musica è ancora più impalpabile e la sensazione di non possedere niente è forte, quindi parte di quella percentuale è tornata a comprare il cd.
Non tutti gli album che escono o i grandi classici vengono stampati in vinile, procedimento che ha un costo superiore alla stampa del compact disc, dunque molte uscite si trovano solo in cd. In più, non tutti hanno un giradischi in casa e quelli che hanno comprato il "compattino", cioè il giradischi economico con piccole casse incorporate, sanno bene che la qualità sonora è infame.
È grazie ai fan se il cd inizia a rialzare la testa: chi ama un artista non si limita a voler ascoltare la sua musica in streaming, vuole possedere l'oggetto e in questo caso i cd sono sempre più ricchi: edizioni limitate prestigiose, cofanetti per collezionisti con gadget, libretti e copertine variant. In più, rimane il supporto fisico più amato da chi viaggia in un'auto non nuovissima (e sono in tanti): in quel caso il "libro" contenitore dei cd funziona sempre.
Se sommiamo tutte le persone che non si abbonano allo streaming ma che sono fan di qualche artista, tutte quelle che non stanno troppo dietro alle rivoluzioni tecnologiche e si fanno bastare il vecchio impianto stereo con cui ascoltano la musica, i collezionisti che amano l'oggetto fisico, i supermercati con la sezione cd negli scaffali sempre attiva, i negozi fisici, Amazon, chi pensa che la qualità di riproduzione del cd non sia ancora stata superata (di certo non dallo streaming ascoltato su una cassina bluetooth) e chi ha la sensazione che un oggetto, una volta comprato, sia tuo per sempre (a differenza dell'impalpabilità dello streaming), possiamo capire perché un formato ritenuto obsoleto come il cd stia tornando a vendere.
L'incremento delle vendite dei cd fa un gran bene agli artisti indipendenti e non, che guadagnano qualche soldo vendendo il proprio album ai concerti e negli store. Di sicuro, comprare il formato fisico è un modo per aiutare l'industria musicale e il singolo artista, che è risaputo sotto una certa soglia di fama (e si parla di milioni e milioni di ascolti) guadagni cifre irrisorie dagli streaming, che non possono garantire in alcun modo la sua sopravvivenza. In questi ultimi anni il divario tra artisti di prima e di seconda fascia si è allargato sempre di più, anche a causa dello stop dei live imposto dal covid. Ora che stanno ritornando, comprare l'album fisico in cd o vinile è un gesto di amore verso gli artisti e i lavoratori del settore, che hanno subito una crisi senza precedenti. Poi fa tanto fine anni '90 inizio 2000, che per la legge della retromania ce li porteremo dietro per tutti gli Anni Venti.
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L'articolo Perché i cd hanno ricominciato a vendere di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-10-18 10:30:00
COMMENTI (1)
Concordo sull’analisi, in particolare riguardo alla ritrovata esigenza di avere qualcosa da tenere in mano, dopo la sbornia da “posso avere tutto” ma solo in streaming, dunque incorporeo. Da cinquantenne non ho mai smesso di acquistare cd, persuaso che spendere per l’oggetto e poi maneggiarlo dia valore al contenuto. E magari così lo ascolti pure due volte…