C'è chi crede ancora nella musica a scuola

Chi l'ha detto che i bambini non possono imparare dai Tiny Desk Concert o non possono apprezzare Bach? Un insegnante elementare molto lungimirante ci racconta la sua sfida quotidiana di portare la musica in classe, e mostrare così che c'è vita oltre lo stereotipo del flauto di plastica

Mattia Scarpa in classe con un genitore di una sua alunna
Mattia Scarpa in classe con un genitore di una sua alunna
05/08/2024 - 11:15 Scritto da Mattia Scarpa

Qualche tempo fa pubblicavamo sulla pagina Facebook di Rockit un articolo che parlava degli ascolti musicali dei bambini degli ultimi anni, sempre più esposti a testi espliciti e che convivono pacificamente con le classiche canzoni per l'infanzia. Tra i commenti è spuntato quello di Mattia Scarpa, musicista e insegnante di scuola primaria della provincia di Como, che durante le sue lezioni insegna anche ad ascoltare musica, tanto che su questo argomento vorrebbe scrivere un libro di didattica. Gli abbiamo quindi chiesto di scriverci un testo per spiegarci meglio il suo lavoro e capire qual è il rapporto tra i bambini e la musica oggi.

Io insegno in una scuola primaria piccolina: 5 classi, 100 bambini in totale. Io ho cominciato ad insegnare prestissimo, nei primi anni 2000, prima come educatore, poi come “maestro elementare di ruolo”, il famoso posto fisso a cui molti ambiscono. Nel frattempo mi occupavo anche di musica: suonavo in giro per locali con diverse formazioni e scrivevo canzoni. Non ho mai pensato al mio lavoro come un ripiego, ma non è così per tutti gli insegnanti.

Gli alunni della scuola primaria hanno un'età che va dai 6 agli 11 anni, un momento fondamentale per l'imprinting musicale e artistico. Non tutti i bambini hanno le stesse sensibilità, ma spesso ce ne dimentichiamo, mettendoli in una grande bolla stereotipata in cui ci stanno “le cose da bambini”. Lavorando ci si rende conto che le grandi diversità dei bambini sono sia una ricchezza sia un limite, in alcuni casi. Il compito degli insegnanti è individuare quei limiti, cercare di superarli e farli diventare più possibile qualcosa di positivo. È un lavoro che richiede una fatica enorme e a volte si sbaglia, a volte si è stanchi, a volte si è distratti dalla burocrazia, ed  è per questo che a volte ci si imbatte in insegnanti un po' svogliati e demotivati.

La classe di Mattia
La classe di Mattia

Tra le prime materie a venire sacrificate all'altare della stanchezza degli insegnanti è proprio “Musica”. La libertà di mettere insieme una trentina di lezioni da 2 ore dovrebbe essere una gioia per i docenti, invece viene vissuta spesso come un fardello. Nella maggior parte dei casi ci si affida a guide didattiche scritte da gente esperta, ma a volte l'incompetenza musicale degli insegnanti li frena dal seguire alcuni percorsi che dovrebbero educare al ritmo, al canto o al saper suonare uno strumento, quindi si ripiega sull'ascolto guidato. E qui siamo un pochino indietro con le guide didattiche. Il problema non è la musica classica, il problema è la narrazione. Tutta la musica ha dietro storie incredibili ed entusiasmanti che non possono essere raccontate come una mera cornice all'opera che si va ad ascoltare insieme agli alunni. 

Gli alunni dovrebbero cominciare a conoscere alcune sfumature delle emozioni, che generalmente i bambini non riescono a cogliere (soprattutto se le spieghi a parole), attraverso le arti, tra cui la musica. La musica disegnata, ad esempio, per molti docenti è la panacea di tutti i mali. “Bambini, fate un disegno ispirandovi alla musica che stiamo ascoltando”. È un'attività carina, però c'è dell'altro: si potrebbe anche cercare di contestualizzare una canzone, una sinfonia, un'opera, attraverso i racconti che stanno dietro alle opere stesse, in maniera breve ed avvincente, un po' come fanno i divulgatori su YouTube (la piattaforma più frequentata dai bambini in età da scuola primaria). Un lavoraccio. Un maestro o una maestra sarebbero in grado di elaborare da soli un percorso così arduo senza conoscere nulla della storia della musica per 2 misere ore alla settimana? E italiano? E storia? E geografia? Di quanto tempo necessiteremmo per fare tutto?

Un'altra opzione a cui spesso ci si affida nella scuola primaria è “il progetto di musica” con un esperto esterno. Per molti è l'opzione migliore, perché con uno che sa fare musica e sa anche insegnarla, l'offerta formativa sarà perfetta. Vero. Ma in molte scuole, se non c'è l'esperto esterno, l'insegnamento della musica rimane assolutamente marginale. In Italia molti alunni, quindi, iniziano davvero a “fare musica” alle medie. Oggi si sta lentamente cercando di superare lo stereotipo del flauto, ma anche alla scuola secondaria di primo grado tutto sta alla voglia e alla preparazione dell'insegnante di musica. La verità è che negli anni delle elementari si comincia a formare il gusto, si comincia lentamente ad avere capacità critiche, capacità di analisi. Far ascoltare di tutto non è poi così difficile. Basta amare la musica, ma spesso le maestre a cui tocca insegnare musica non è che la amino davvero così tanto.

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I bambini assorbono solo ciò che vogliono, ed è giusto così. Fare le verifiche sulle conoscenze a volte è un po' un controsenso se ci si affida ad un programma dedicato all'ascolto, perché lo scopo non è conoscere nomi o date, lo scopo è scoprire cosa ci emoziona e cosa no, cosa ci diverte e cosa no, cosa ci disgusta e cosa no. La “verifica” di musica dovrebbe essere una verifica sulla consapevolezza delle proprie emozioni, ma vabbè, sto parlando di fantascienza in questo mondo fatto di “merito” e voti in condotta. Spesso mi ritrovo a “camuffare” le verifiche sulle conoscenze in verifiche sui propri gusti musicali. Diciamo che ciò che pretendo dai miei alunni è, almeno, che esprimano un giudizio su ciò che hanno ascoltato. Senza paura, ma con rispetto.

Cosa si ascolta? Di tutto: da Bach ai Tame Impala, da Mozart ad Adriano Celentano, dai Beatles ai Daft Punk, da John Coltrane e Miles Davis a Beyoncé. Una volta ho fatto vedere il video di Jean Rondeau del Concerto n.1 in Re minore per clavicembalo a dei bambini di quarta e metà della classe era rapita. Non so cosa sia successo, non volevano assolutamente che io sfumassi il brano. Lo hanno ascoltato tutto. Per evitare l'effetto frullatore (o playlist dall'algoritmo impazzito), ogni lezione è dedicata ad un ascolto, massimo due ma correlati tra di loro, in modo da raccontare storie su un determinato genere musicale, sulla sua genesi o su alcune curiosità degli artisti. In rete si trovano tante informazioni utili e mi avvalgo sia di divulgatori musicali, sia di riviste di settore, sia dei cari vecchi libri.

Ho poi la fortuna di saper suonare il pianoforte e cantare. Ho proposto ai miei alunni alcune canzoni dei nostri cantautori, adatte a loro. Nel corso dei 5 anni delle elementari ho cantato e suonato per loro L'isola che non c'è di Bennato, La leva calcistica del '68 di De Gregori, ma anche cose più recenti come Cosa faremo da grandi di Lucio Corsi, e ho capito che la musica dal vivo è portentosa, anche quando fai ascoltare canzoni che magari non rientrano nel loro gusto. Al termine de L'isola che non c'è, ad esempio, ho chiesto se la canzone fosse di loro gradimento; uno di loro, in tutta onestà mi ha risposto: “La canzone non mi piace tanto, ma mi è piaciuta come l'hai cantata”. Sembra poco, ma in realtà è tutto, soprattutto per la musica.

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Prediligo i video live, e ancora meglio i live acustici. Trovo grandi risorse sul canale NPRmusic perché i Tiny Desk Concert sono molto educativi, si contrappongono ad un mondo in cui le produzioni musicali sono ipertrofiche e la musica sembra non essere palpabile e utilizzata come sottofondo. Qualche esempio: ho fatto ascoltare Vampire di Olivia Rodrigo al Tiny Desk Concert. Molti di loro conoscevano il brano ma sono rimasti in silenzio e concentrati fino all'ultima nota. Stessa cosa per la versione acustica de La noia di Angelina Mango, canzone che quasi tutti conoscevano molto bene. L'hanno ascoltata e ho fatto notare loro quali sono gli elementi fondamentali della parte strumentale della canzone, e li abbiamo analizzati.

Rispetto alla questione dei loro ascolti, è facile capire che, utilizzando YouTube come piattaforma principale, conoscano principalmente i singoli di grande successo che l'algoritmo propina. In alcune famiglie, se i genitori amano la musica e la ascoltano con attenzione, anche i figli vengono coinvolti, volenti o nolenti, in questi ascolti, il che li porta ad avere una mente più flessibile e aperta.

Io cerco sempre di non demonizzare la musica di oggi, ma faccio spesso riferimento a quello che è successo nel passato con la musica amata dai giovani. Descrivere cosa è successo col punk nel '77, ad esempio, può aiutare a comprendere ciò che sta succedendo con la trap. Non è un paragone stilistico, ma sociale. Le persone più âgé faticano sempre a capire la musica dei giovani, ma in passato quando parlavi di “giovani” intendevi gli adolescenti. Oggi, effettivamente mi fa un po' specie sentire dei bambini di 9 anni usare la parola “fotterti”, ad esempio, con una naturalezza spiazzante. Per ora noi adulti educatori dobbiamo cercare di spiegare che le parolacce che sentono nelle canzoni non sono indirizzate a loro e non devono usarle in nessun contesto. In passato, le parolacce erano molto più rarefatte nelle canzoni di successo, per cui il problema non si poneva; e poi la fruizione musicale per un bambino era decisamente diversa da oggi. 

La barriera che divideva “canzoni per bambini” da “canzoni per adulti” non esiste più. Oggi le canzoni per bambini vengono apprezzate fino alla seconda elementare. Dalla terza in poi (dagli 8 anni in su), i bambini già ascoltano ciò che ascoltano i genitori e ciò che trovano in rete. Si considerano grandi e guardano le canzoni dello Zecchino d'Oro come qualcosa del loro (brevissimo) passato. È una fase nuova a cui il mercato discografico si sta adattando. Alcuni cantanti della scena trap-pop sono evidentemente più amati dai piccolissimi che dai maggiorenni, eppure il loro linguaggio non è adatto ai bambini. È un cortocircuito per il quale noi insegnanti non sappiamo cosa fare. L'unica risposta, per ora, è la repressione delle parolacce, come è sempre stato. Anche perché, con o senza trap, se in famiglia c'è un linguaggio volgare, i bambini se lo portano a scuola.

 

Una classe di Mattia al saggio di fine anno
Una classe di Mattia al saggio di fine anno

Dal punto di vista prettamente musicale, sta all'intelligenza dell'insegnante capire che le ondate di musica nuova indirizzata ai giovani da sempre scardina le certezze degli adulti. Nelle mie classi delle elementari io non faccio ascolti di musica trap italiana, altrimenti i genitori mi denunciano, sempre a causa del linguaggio. Ma, con una quarta elementare, ci è capitato di ascoltare qualcosa di internazionale (brevi frammenti, anche perché ormai hanno le orecchie tese quando sentono “bitch” o “fuck”) e abbiamo cercato di abbinare un tipo di emozione a quelle sonorità tipiche della musica trap e della urban in generale. È venuta fuori una interessante discussione. Alcuni non conoscevano questo genere e non è piaciuto, identificandolo con la tristezza e alcuni anche con la paura. Chi ha fratelli o sorelle più grandi e chi ha accesso ad internet in maniera poco vincolante conosceva bene questo genere e ha abbinato delle emozioni contrastanti: alcuni ci sentono la rabbia, altri ci sentono il coraggio, alcuni addirittura la gioia. Giudizi che possono essere viziati dal significato che la musica trap ha in famiglia: una litigata con i genitori può generare la voglia di ascoltare quella musica che a loro fa schifo, provando proprio rabbia, gioia, coraggio...

Istintivamente ogni insegnante cerca di tramandare le cose del passato per arricchire il loro futuro, questo porta inevitabilmente a pensare che prima era meglio di adesso. Sappiamo bene che non è così e a volte alcuni miei ex alunni, che mi cercano per parlare ancora di musica, mi fanno scoprire artisti interessanti che mi erano sfuggiti e mi fanno anche capire che tutto sommato non c'è solo musica di merda in giro oggi. Altri ex alunni si sono buttati nel mondo della musica avvicinandosi a uno strumento musicale fondando una band o andando a suonare in banda, addirittura c'è un ragazzo che si è appassionato alla produzione e sta studiando alla SAE di Milano (dentro di me spero che, aver sparato sulla LIM un progetto di Logic, in quinta sia stato illuminante per lui). In generale molti ragazzi e molte ragazze mi ringraziano per le lezioni di musica delle elementari; anche chi non si è avvicinato alla musica suonata ha un buon ricordo di quelle lezioni. È bello, certo, ma non credo di dovermi troppo incensare; ho semplicemente fatto un buon lavoro. 

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L'articolo C'è chi crede ancora nella musica a scuola di Mattia Scarpa è apparso su Rockit.it il 2024-08-05 11:15:00

Tag: scuola

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