Ricordo che ogni tanto, nelle belle serate estive, soprattutto durante il mio periodo universitario, ero solito invitare i miei amici o i miei compagni di corso a bere un drink a casa mia a Ostia. Lì, nel mio appartamento a metà strada tra la pineta e il mare, mettevo nel lettore il DVD dell'ultimo Live preso con uno strano sguardo pieno di aspettative e orgoglio, come se anziché procurarmi quel disco come tutti i comuni mortali l'avessi registrato io con il mio gruppo - che cambiava di volta in volta: oggi i Bad Seeds, domani gli Spiders From Mars. Poialzavo il volume al punto che le palle dei miei vicini iniziavano a girare e le mogli si tuffavano per evitare che i vasi cadessero dai terrazzi.
“Immensi!”, urlava qualcuno sovrastando il baccano. Io facevo di sì con la testa, sorridendo per aver raggiunto il mio obbiettivo, che non era quello coatto di far sentire la potenza dei bassi e neanche quello di fare scappare l'intero vicinato, piuttosto quello di riprodurre “in piccolo” le emozioni (e le vibrazioni) di un concerto dal vivo.Ero un coglione, lo so. Me lo dico da solo e me lo ripeto, di tanto in tanto, per ricordarmelo da quando mi trovai alla porta tre carabinieri poco inclini ai Bauhaus nel bel mezzo del assolo di Daniel Ash su In The Flat Field.
Eppure, ovunque andiamo siamo circondati da suoni. Alcuni più fastidiosi di quelli generati da un concerto, basti pensare al traffico o alle fabbriche, altri persino più piacevoli. Ma per quanto ci possiamo sforzare, non troveremo mai un posto totalmente silenzioso. Non parlo solo dei liceali a passeggio con ogni sorta di cassa bluetooth a mille, né della signora insonne che alle cinque di mattina va su e giù per l’appartamento con l'aspirapolvere. Penso anche alla raffica spietata di motivetti che inonda i negozi; alle radio che martellano pessimi revival mentre sei in taxi diretto in stazione; alla musichina da ascensore che filtra da altoparlanti incastrati nei muri sopra le toilette dei ristoranti. Si affoga in suoni non richiesti: un'orchestrazione continua obbligatoria invade ogni millimetro del nostro spazio. In generale, però, i suoni non sono né buoni né cattivi. La differenza la fa la percezione di chi li ascolta.
Se un suono a noi risulta sgradevole o ci infastidisce, lo consideriamo un rumore. Ma il “rumore” potrebbe non essere vero e proprio rumore, potrebbe essere soltanto un suono nel posto, o nel modo, o nel momento sbagliato. Che è un po' la causa principale di molti alterchi riguardanti il famigerato disturbo della quiete pubblica. Perché la convivenza, si sa, è come il vento, e fa incazzare chi non s'ama. Succede già di per sé, non facendo nulla, non muovendo un muscolo, ma se viene aizzata apposta, i casini si centuplicano. Purtroppo è il caso dell'Italia di questo millennio, in preda a un panico assurdo sempre più spesso alimentato da vicini sull'orlo di un conato di vomito.
Discoteche, Centri Sociali, locali notturni, pub, bar, birrerie, associazioni culturali di ogni risma: secondo il loro punto di vista, viviamo tutti nel caos, di rumori assordanti e pericoli incombenti. Il rischio si annida ovunque: in centro città, nelle periferie urbane, nei piccoli paesi;il nemico della quiete può essere diverso ma anche simile, animato da vaghi scopi artistici, oppure semplicemente da una pessima educazione (in molti dirimpettai direbbero entrambe le cose). Se la prende con gli indifesi, i bambini, gli anziani, gli onesti lavoratori, ma anche con gli altri e con quelli che fino a qualche anno fa frequentavano gli stessi posti, e ora che sono diventati adulti pretendono, e a volte impongono, quel silenzio monastico del quale non sono mai stati così fervidi sostenitori. I locali dove si suona o si vorrebbe suonare dal vivo sono da sempre i più colpiti.
Ne sa qualcosa la Casa Clandestina, pub multiculturale in un quartiere assai difficile di Roma, che si impegna a portare (anche) la musica in una realtà completamente dimenticata della Capitale e che, un anno fa, ha festeggiato con un simpatico striscione fake-Guinness World Records i 500 controlli inviati dai vicini, con una media di 1 controllo ogni 3 giorni. “Puntiamo ad arrivare a 1000 controlli oramai - scherza il gestore Diego - ma siamo molto contenti di aver superato egregiamente questi primi 500!”. Già, perché spesso i locali in questione sono totalmente in regola e se mollano la presa è più per lo sfinimento e per le infinite rogne legate alla prevenzione dei controlli e delle eventuali sanzioni.
“Organizzare eventi - mi racconta Jacopo, storico promoter attivo tra Roma, Bologna e Padova - non è mai stato semplice. Ricordo col sorriso quando ricevetti delle lamentele dal vicinato padovano per un concertino a orario aperitivo, in acustico. Abituato al frastuono romano e a quello di altre città universitarie, sentirmi dire 'C'è troppa gente!' per me fu alquanto surreale!”. Gli fa eco Federico, giovane gestore del Vizio Pub, che prova a diffondere da più di dieci anni musica dal vivo con lo stesso approccio “proletario” del tape-trading (io-faccio-conoscere-questo-a-te-e-tu-fai-lo-stesso-con-me). Come un virus, come il file-sharing, Federico ha trasformato, con un dispendio di energie, la sua passione (“Io stesso ho frequentato il Conservatorio”) in qualcosa che vorrebbe in continua espansione. “Abbiamo supportato la scena locale con Damien McFly, e quella storica con Dandy Bestia (Skiantos), ma non posso non citare gli artisti che, dal Texas o da Los Angeles, sono venuti in città grazie a noi, Keegan McInroe o Erisy Watt, che - oltre dare maggiore internazionalità al Vizio - hanno trovato nuovi ascoltatori e affetti nel pubblico locale”.
Eppure il suo progetto, dopo essere sopravvissuto anche a una pandemia (“Organizzavamo eventi diurni, pur di non staccare la spina, e con un buon feedback devo dire, ma la gente oggi rivuole indietro il tempo perso, con i suoi pub e le loro vibrazioni!”) rischia di arenarsi. Pur essendo già di per sé un piccolo miracolo. Se si sommano, infatti, le chiusure legate al Covid, negli ultimi 5 anni circa si calcola che i luoghi con musica dal vivo in ogni sua forma che hanno chiuso sono il 35%, e aumentano ulteriormente se si contano i cambi strategici di rotta verso soluzioni meno “complicate” (sicuramente un circolo di Uno, il gioco da tavola, infastidisce il circondario molto meno del concerto di chi volete voi). Anche perché, mentre nel Regno Unito a più riprese sono stati lanciati piani di salvataggio ad hoc e molti sindaci, primo tra tutti Sadiq Khan, primo cittadino di Londra, hanno dichiarato che questi ne hanno sul serio rallentato il declino, in Italia, senza nessun tipo di aiuti, quasi il 40% dei locali hanno avuto un calo delle entrate e una maggiore difficoltà a gestire il vicinato.
“All'interno del contesto cittadino il problema è molto diffuso e molti locali sono stati costretti a chiudere - mi rivela Jacopo – Non è un mistero. Per assurdo, è lo stesso anche se la musica non c'è proprio: con la Stand-up il problema si ripresenta, perché ci sono troppe persone parlanti, te lo assicuro!”. Questo non vuol dire certo che nelle notti italiane sia calato il silenzio. I festival soprattutto quelli all'aperto, gli eventi, le arene e le grandi venue, hanno sempre un grande successo. Ma non è difficile immaginare che anche queste realtà, apparentemente inaffondabili, hanno vita incerta se non vengono protette le piccole realtà, tradizionali incubatrici dei talenti futuri. “Se mi chiedi quali sono le mie fonti di ispirazione – dice Federico, mentre gli si illuminano gli occhi – sono i piccoli club come il Rainbow, il CBGB, il Saint Vitus, il Mermaid e tutti gli altri dove hanno mosso i primi passi grandi band. Rendere il mio pub un polo per artisti emergenti che fanno musica propria. Un luogo dove eventuali scout possano venire, ascoltare magari una delle tante jam che nascono spontaneamente e trovare nuovi talenti”.
Del resto i Maneskin hanno iniziato in un locale di San Lorenzo che va avanti con tanta passione e problemi organizzativi da che ho memoria. Mannarino lo vedevi suonare al Asino che Vola prima che da Serena Dandini e al Teatro di Taormina. E Calcutta era fisso sul divano al DalVerme – e gli esempi potrebbero essere mille. Per chi parte da Roma, però, dove gli ostacoli più difficili possono essere l'assenza di trasporti veloci tra l'una e le cinque di mattina, oltre alle note norme sull'inquinamento acustico (basate pure su una ferrea regolamentazione europea in merito), ma che nulla o quasi hanno di che spartire con i timori legati all'incolumità del singolo inquilino del terzo piano e alla diffusa disapprovazione generalista nei confronti dei nottambuli che, vuoi o non vuoi, si sviluppa più nelle zone decentrare, piccole e provinciali.
Là dove l'adagio “C'è gente che deve dormire!” è il naturale sottofondo nel processo di eliminazione di chi non si vuole accontentare di somministrare soltanto alcolici davanti alla miliardesima giocata a biliardo. Perché, mentre il consiglio di Camden e, dall'altra parte del mondo, quello di Montréal adottano una nuova strategia per la vita notturna che favorisce con sussidi i locali che fanno musica dal vivo, mercatini notturni e le azioni di pulizia di quelle date aree, in Italia è 1 comune e ½ su 3 a essere torchiato da ordinanze restrittive (ora giuste, ora buffe, ora paradossali... come il divieto di Karaoke a Messina) che legittimano chi si lamenta già di suo a farlo con più (ma non sempre giustificata) veemenza. “I problemi per noi – mi racconta sconfortato Federico – sono nati con l'arrivo di una coppia in una lussuosa villa adiacente al Vizio Pub. Pur avendo ristrutturato l'intero immobile, non hanno mai tenuto conto della nostra presenza e fin dai primi concerti sono nate le prime lamentele. Il primo nostro intervento è stato quello di applicare dei pannelli fonoassorbenti ma, non riscontrando dei risultati nelle rimostranze, ho contattato un ingegnere del suono che mi ha proposto una serie di lavori dal costo assai elevato. Ho invitato così i nostri vicini, proponendogli di dividere i costi. Qui è subentrata la leggenda metropolitana secondo cui noi gestori abbiamo solo entrate, facendo così ricadere la spesa solo sul sottoscritto. Peccato solo che molti dei miei introiti sono quelli che sto perdendo proprio non facendo più la musica dal vivo che loro non vogliono. A volte mi chiedo se sarò il prossimo a chiudere”.
C'è un Piano Berlinese, che entusiasma tutti, dai gestori agli avventori, passando dagli attivisti ai cittadini: ha previsto negli anni l'aumento di fondi per l'insonorizzazione a norma dei locali che fanno musica dal vivo: ecco, se vi pare poco, oltre a Federico, chiedetelo alle palazzine di fronte o di sopra qualsiasi ARCI d'Italia. Un progetto di certo più sentito e sensato dei segnali quanto meno contrastanti che ci sono qua da noi: dove da un lato si organizzano eventi che durano tutta la notte e sembrano intendere la notte come parte viva della comunità, ma dall'altro si dà il maggiore sostegno a tutti quei cittadini e associazioni di residenti ipersensibili e poco inclini a ogni forma di conciliazione, che non solo aborrono la vita notturna ma limitano e sopprimono ogni volontà musicale o genericamente artistica dei gestori più audaci, colti e sensibili. “La musica dal vivo, rispetto a quella di sottofondo, tocca delle corde emotive e corporee diverse. Il suono ti entra dentro, ti smuove, ti vengono i brividi, balli, piangi, socializzi, e una volta provata è assai difficile rinunciarvi”, Federico chiosa con trasporto e invidiabile senso della frase. In una vecchia ordinanza del Comune di Pisa per la regolamentazione della “movida”, le parole "coabitare" e "coabitazione" comparivano più di 60 volte, "alcolici" e "sballo" più di 40 mentre "artista" e "arte" solo 4. Il che da bene la misura di come dalle nostre parti venga intesa l'intera faccenda. Escludendo l'idea del lavoro che c'è dietro, di comunità e di creatività, oltre che di cultura e perfino, se vogliamo, di progresso.
E se Padova non sarà mai come Berlino, Melbourne, Tokyo, Manchester e altre grandi città che hanno cambiato la propria idea e la propria rotta nel vedere le cose, magari partire dal non confondere un concerto con un'arma, come quando, nel 1989, durante l’invasione di Panama, le forze statunitensi scatenarono un bombardamento a base di rock’n’roll sulla casa del Nunzio Apostolico nel tentativo di snidare il dittatore Noriega che si era rifugiato lì, aiuterebbe. Aiuterebbe molto.
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L'articolo "C'è gente che deve dormire": storia dell'eterna lotta tra live club e vicinato di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-10-14 14:31:00
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