Il seguente articolo è un estratto da "Quel gran genio - Aneddoti e storie curiose su Lucio Battisti, un gigante della musica italiana" di Marta Blumi Tripodi (Cairo Editore), libro che si pone l'obiettivo di raccontare alle nuove generazioni la grandezza di Lucio Battisti. Questa sezione fa parte del capitolo "Ma dove andremo a finire, signora mia" e racconta di come Battisti, tanto nelle sue canzoni quanto con le sue scelte di vita, fosse in grado di scardinare le rigide strutture bigotte della società dell'epoca con naturalezza.
Fin dal suo esordio sulla scena, Lucio Battisti era emerso come un personaggio particolarmente controverso agli occhi dei benpensanti, che non vedevano di buon occhio il suo anticonformismo, che emergeva chiaramente già dalle sue scelte stilistiche. Prima ancora che aprisse bocca, infatti, era il suo aspetto non convenzionale a generare accese discussioni: nella migliore delle ipotesi i suoi abiti venivano descritti come logori e trasandati nella peggiore si insinuava che fosse tirchio e non volesse comprarne di nuovi. Quando poi osava un po’ di più con gli abbinamenti, vedi il caso del foulard indossato a Sanremo o della giacca rossa alla serata finale del Festivalbar, la stampa si scatenava.
Per non parlare dell’accanimento sui suoi capelli, che suscitavano reazioni a dir poco basite, manco avesse scelto di presentarsi in scena con una cresta punk o una cascata di boccoli dalle tinte fluo. Nel 1969 Lina Coletti, giornalista della rivista femminile Bella, nel corso della sua intervista con Battisti definiva la sua pettinatura «quella specie di carciofo rovesciato che si porta in testa», costringendolo a spiegarle il perché preferisse una chioma incolta («Mi piaccio così. L’ho scoperto una mattina svegliandomi e dando un’occhiata allo specchio: “Ma come sono carino”, mi sono detto. E ho annullato l’appuntamento con il barbiere») e ad assicurarle che non si trattava di una permanente fatta ad arte dal parrucchiere («I riccioli li ottengo lavandomi i capelli da solo e poi spettinandoli mentre li asciugo col fon»).
Se il suo aspetto esteriore attirava giudizi non richiesti, per i tempi che correvano i testi delle sue canzoni risultavano ancora più sovversivi. Nonostante si occupasse solo della parte musicale, l’opinione pubblica lo riteneva comunque responsabile dei contenuti dei suoi brani, e in effetti aveva ragione: i temi e più in generale il linguaggio utilizzato erano ampiamente condivisi con Mogol, perché da perfezionista qual era Lucio Battisti non avrebbe mai cantato qualcosa che non lo rappresentava appieno.
Sia chiaro, non voleva per forza inserire contenuti troppo densi e controversi nelle sue canzoni, a differenza di molti colleghi più impegnati: questo era stato lui per primo a ribadirlo in più occasioni. «Il pubblico deve ricevere un messaggio, ma non è detto che questo debba essere di protesta. Anche ascoltare per alcuni minuti delle parole allegre e un motivo orecchiabile può essere un messaggio. Anche riuscire per alcuni minuti a divertire il pubblico può essere un messaggio. L’importante è sapere che noi non dobbiamo niente al pubblico e che il pubblico non deve niente a noi» aveva detto a Sogno all’inizio della sua carriera. «Io, ad esempio, presento una canzone, un messaggio. Se al pubblico piace bene, altrimenti... Bene lo stesso.»
Ciononostante, fin dai primissimi passi che aveva mosso come cantautore, la sua franchezza aveva fatto sollevare più di un sopracciglio. «La canzone di Lucio Per una lira ha lasciato tutti i ragazzi della sua età addirittura sconcertati» scriveva Bella nel lontano 1966. «Di solito l’amore, che rientra in tutte le nostre canzoni, è rappresentato come qualcosa di sofferto, ma ugualmente di desiderato. Lucio invece capovolge tutto. Per una lira è disposto a vendere i sogni, la ragazza, se stesso e il resto.» Interrogato sul perché avesse scritto un pezzo così privo di speranze, Battisti candidamente rispondeva: «Perché credere nei sogni? Perché credere nell’amore? Io credo di aver capito che il mondo è cretino. Allora, come posso prenderlo sul serio? Mi comporto cercando di sfuggire il più possibile al dolore. E siccome canto, canto la biografia dei sentimenti comuni».
L’articolo in questione fa anche riferimento al fatto che dirigenti di radio e tv, scandalizzati dalla sua audacia e dal suo «grido molesto», minacciavano di boicottarlo se non avesse messo in repertorio brani «più calmi». Come sappiamo dai numerosi filmati di repertorio che ancora oggi vengono riproposti in televisione, alla fine non andò così, ma il rapporto tra Lucio e la Rai – che ai tempi deteneva il monopolio di tutte le trasmissioni nazionali, e decideva quindi cosa poteva andare in onda e cosa no – negli anni Settanta si fece sempre più complicato.
Nel 1971 si vociferava, ad esempio, che Supermarket, una traccia estratta dall’album Amore e non amore, sarebbe stata esclusa a priori dalla programmazione «per un troppo insistente uso di parole scopertamente simboliche», come riportava un articolo di Annabella. Per chi si chiedesse qual è il motivo di tanto scalpore, la parola in questione è «banane», un frutto che la ragazza protagonista della canzone ha mangiato troppo, cosa che le causa un’indigestione che la costringe a letto.
Stessa sorte per Dio mio, no, spiegava un altro servizio di Bella: «I censori si sono scandalizzati per la storia di questa fanciulla che va in casa del suo ragazzo e a un certo punto, consumata una cenetta a base di carne e caviale, domanda dov’è il letto, scompare nell’altra stanza e si ripresenta in pigiama!» tuonava il giornalista Roberto Buttafava, che pure faceva notare che siamo lontanissimi dall’erotismo esplicito di canzoni come Je t’aime... Moi non plus, uscita due anni prima e ben nota anche in Italia. «“D’accordo che oggi la donna è emancipata e prende spesso, l’iniziativa”, dicono i severi funzionari televisivi, “ma non ci sembra opportuno stimolare migliaia di ragazze a seguire un simile comportamento!”».
Battisti replicava che non era interessato all’opinione della Rai, e che lui e Mogol avrebbero continuato a trattare il tema dell’amore in termini veri e realistici, proprio come facevano abitualmente i ragazzi della sua età quando parlavano tra di loro.
A quanto pareva, il pubblico la pensava come lui, perché alcuni dei suoi brani ai tempi considerati più scabrosi finirono per essere dei grandissimi successi. Anna, pubblicato nel 1970, fu il sesto brano più venduto di quell’anno, e questo nonostante la Anna in questione non fosse la verginella pudica e repressa che avrebbero desiderato i dirigenti Rai: senza parafrasare troppo il testo, prima che lui si addormenti tra i capelli suoi, lei grida tanti e tanti sì.
Anche per te affronta argomenti ancora più spinosi, almeno per gli standard di allora: le tre strofe sono dedicate rispettivamente a una suora, a una prostituta e a una ragazza madre. Ciò non le impedì di diventare una delle canzoni più conosciute di Lucio e Mogol, essendo il lato B della celeberrima La canzone del sole.
Ma anche se alla prova dei fatti la gente comune non pareva affatto turbata da cotanta audacia, la tv e la radio di Stato continuarono a vegliare sulla morale comune, eliminando dalla programmazione ogni possibile accenno al sesso e ai rapporti extraconiugali. Nel 1973 Le allettanti promesse, a detta dei critici uno dei pezzi più riusciti da Il nostro caro angelo, fu estromesso dalla messa in onda per alcuni versi considerati troppo espliciti: descrivevano un amplesso in cui una donna dalla carne di seta viene paragonata a una puledra impetuosa.
Nel 1975, nonostante l’album Anima latina fosse primo in classifica, ben due tracce, Il salame e Anonimo, furono ufficialmente censurate dalla Rai. Nel caso della seconda, «perché è usato il termine “masturbarsi”, che Mogol non abolirà mai» spiegava il Corriere della Sera in una recensione del disco. «“È la canzone dei ricordi della mia infanzia. Se c’è anche quel ricordo, perché ucciderlo? Solo perché la canzone venga radiotrasmessa? Mai!” Per il celebre paroliere sarebbe un’autosconfessione clamorosa. E poi, un disco che va a ruba non si corregge per nessuna ragione.»
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L'articolo Censurato: tutte le volte in cui Lucio Battisti ha sfidato la morale dell’Italia di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-05-31 16:05:00
COMMENTI (4)
Mi correggo: carne di SETA, ecc.
"Le allettanti promesse"? L'amplesso indicato nell'articolo (donna dalla carne di sera, ecc.) non era descritto ne "La canzone della terra" ?
Probabilmente mi confondo io....
Io credo che la RAI dovrebbe, invece, vergognarsi di mandare in onda lo scadente festival di Sanremo e ospitare schifezze di ogni tipo come quell'energumeno che prendeva a calci i fiori peraltro in presenza del "grande Presidente" rimasto impassibile a tale comportamento. Per quanto riguarda il mio grande Lucio, ci sono giornalisti (???) che lo hanno massacrato senza alcuna motivazione. È stato il migliore di tutti stimato anche da artisti come Paul Mc Cartney e David Bowie e, scusate se è poco ...
Oggi godetevi i RAPPARI tatuati e dopati che incitano alla violenza contro la polizia ed esprimono robaccia frammista a volgarità.
Lucio è stato il vero ed autentico innovatore della musica italiana e andrebbe giudicato per le meraviglie che ci ha lasciato.
Un ultimo consiglio: non nominate il nome di DIO invano ...
Un altro aspetto su cui Battisti/Mogol hanno fatto scuola, grazie per l'interessante articolo. E anche la riflessione per cui "è vero che i testi li scriveva Mogol, ma se non avessero rispecchiato le idee di Lucio, questi non le avrebbe cantate" è molto plausibile.