Noi Rumba de Bodas siamo ormai abituati a suonare in qualsiasi luogo e in ogni tipo di situazione, ma eravamo consapevoli che al SulaFest in India, il più grande festival al mondo in un vigneto, sarebbe stato diverso. Siamo una band bolognese operativa ormai da undici anni, come dei salmoni risaliamo le correnti e sfidiamo le incertezze economiche che si è costretti ad avere quando si sceglie questo stile di vita, facendo lunghi tour che durano mesi, in tutta Italia dall’alto al basso, e poi in Germania, Svizzera, Inghilterra, Scozia, Francia, Repubblica Ceca, Albania, Polonia, Russia, Belgio, Sud Corea, Austria.
Senza contare le esibizioni nei molteplici contesti che vanno dai club al jazz festival, dalle piazze ai centri sociali. Ci spostiamo prevalentemente in furgone e abbiamo un’unica missione: fare dei nostri novanta minuti di concerto una vera e propria festa a ritmo di funk, ska, cumbia, soul, worldmusic ed elettronica, qualsiasi cosa serva per trascinare il pubblico in un ballo scatenato e divertimento puro.
Abbiamo tre dischi all’attivo, di cui l’ultimo, Superpower, è stato pubblicato nel 2018. Attualmente stiamo lavorando al prossimo album, di cui è uscito a gennaio in anteprima il nuovo singolo Isole, che affronta il tema dell’accoglienza e del “diverso” ponendo l’accento sul periodo storico attuale caratterizzato da una generale regressione umana.
Quella stessa accoglienza, rivendicata nel nostro ultimo singolo, l’abbiamo ritrovata al SulaFest di Nashik, in quel posto incredibile incastrato in una distesa di vigne a perdita d’occhio. SULA, infatti, è il nome della prima azienda vinicola indiana che da ormai tredici anni organizza questo festival di due giorni, chiamando gruppi musicali provenienti da tutta Europa e dall’India, tra cui alcune star di Bollywood.
Dopo l’atterraggio all’aeroporto di Mumbai e dopo un volo di una quindicina di ore con scalo a Londra e partenza da Bologna, saliti sul bus partiamo verso la nostra meta a 200 km di distanza, percorsi in ben 6 ore di viaggio, di cui due solo per uscire dalla capitale. Tra i palazzi, le baraccopoli, i mercati cittadini, gli animali per strada, le vie intasate dai numerosissimi veicoli che trasportavano ogni tipo di merce o persona, clacson che squillavano ogni manciata di secondi, i 18 milioni di abitanti sparsi ovunque nello spazio urbano trovavano tutti il proprio posto in quel caos che pulsava come un organismo che si autoregola quotidianamente.
Arriviamo sul luogo dell’evento per fare il soundcheck, è il 1 febbraio. Davanti a noi il grande palco situato al centro di un’arena a mo’ di anfiteatro, con ampi gradoni a semicerchio che si sviluppavano verso l’alto lasciando però uno spazio centrale per far scatenare il pubblico. Ormai era buio e le porte del festival sarebbero state aperte solamente l’indomani. Fare la prova del suono il giorno prima è stata una scelta molto saggia da parte degli organizzatori. Se si potesse fare sempre così sarebbe un sogno poter fare tutto con calma e senza fretta prima dell’esibizione.
I tecnici erano tanti e preparatissimi, ogni minimo dettaglio era stato preso in considerazione e tutte le richieste per quanto riguarda la strumentazione erano state rispettate; un particolare non da poco, considerando che quando ci capita di esibirci fuori dall’Europa è impossibile portarsi dietro tutta l’attrezzatura necessaria. L’impianto sprigionava una bella potenza e la qualità del suono risultava davvero accurata, seppur stanchi e spossati da un viaggio di quasi ventiquattro ore stavamo già pregustando il sapore della performance che avremmo fatto il giorno dopo.
Arrivati al giorno del concerto siamo impazienti di salire sul palco. L’atmosfera pomeridiana è rilassata e il pubblico è composto da gente di tutte le età: donne e uomini, coppie, famiglie, gruppi di amici, tutti pronti a divertirsi. Scopriamo infatti che di un miliardo e più di indiani, circa 300 milioni hanno lo stesso tenore di vita di noi europei: stesse macchine, stesse case, stessi lavori e stesso modo per svagarsi, ovvero godere di un bel concerto o organizzare un weekend in tutto relax.
Siamo la penultima band ad esibirsi, è già calata la sera e l’energia che si percepisce tra il pubblico è elettrizzante: partono cori, balletti, urla, risate, proprio perché gli indiani in questo sono diversi, sono incontenibili, fanno gruppo, ogni comportamento è esagerato ma lo fanno con la spensieratezza e il coinvolgimento di un bambino che ogni giorno si sveglia e scopre qualcosa di nuovo. Siamo pronti per andare in scena, un po’ di riscaldamento, qualche battuta e il nostro solito rito prima del concerto. Abbraccio di gruppo a cerchio e l’urlo “tre, sei, sette”.
Di fronte a noi migliaia di persone euforiche. Si parte con il primo pezzo ed è subito un’esplosione: colonne di fumo alte cinque metri, sparate a nostra insaputa davanti al palco, luci psichedeliche e un muro di suono compatto e definito che partiva dalle casse. Un concerto memorabile, di quelli che ti fanno dire che ne è valsa la pena aver tracciato tutti i passi percorsi per arrivare fino a lì.
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L'articolo C'era una volta a Bollywood: i Rumba de Bodas raccontano il loro incredibile live in India di Rumba de Bodas è apparso su Rockit.it il 2020-03-03 17:31:00
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