Reclamare il futuro per non perdere il passato. L'importanza capitale di quello che sta avvenendo in questi giorni nelle scuole italiane e attorno a esse – al netto dei torrenti impetuosi di retorica che rischiano costantemente di travolgere un dibattito che riguarda tutti quanti – sta nelle sue contraddizioni.
Il Covid impone da ormai un anno a tutta quanta la società sacrifici che mai avremmo pensato ci fossero chiesti, con le debite differenze sulla base delle classi sociali ma anche delle generazioni. I più giovani sono da un lato coloro a cui questa specie di sospensione del tempo potrebbe pesare di meno, perché avranno più tempo e occasioni per rifarsi in futuro (pensate ai nostri nonni, a quanto gli pesano certe mancanze e la paura di ciò che non sarà più). Dall'altro lato stanno assistono alla "contrazione" di anni fondamentali della propria esistenza: non per forza di cose i più belli, ma quelli in cui il mondo è più vario, le cose cambiano, le esperienze insegnano. Vale per il tempo libero – le passioni, gli amori, l'amicizia, gli scazzi – e per la propria formazione.
La dualità tra salute e lavoro è forse il nodo politico centrale del nuovo millennio, attorno a cui si giocano i destini collettivi nel mondo occidentale (in fondo si tratta di una forma evoluta e necessaria di First World Problem). Nelle ultime settimane gli studenti delle scuole secondarie italiane, che tra una cosa e l'altra sono chiusi in casa dallo scorso febbraio, ne hanno messo in scena una versione del tutto nuova, in cui a contrapporsi alla salute (una pandemia, dici poco) non è più il salario o la tenuta di un sistema economico (mai come in questo momento a rischio un po' per tutti), ma qualcosa di meno palpabile: l'avvenire.
Con queste imponenti pugnette nella testa, mi sono approcciato alla notizia delle occupazioni che da una settimana si stanno tenendo a turno nelle scuole di Milano. Da ieri, con l'iniziativa dei ragazzi dell'Einstein, sono dieci i licei cittadini in cui gli studenti hanno protestato con questa modalità, dopo che aveva aperto le danze il classico Manzoni di via Orazio lo scorso 12 gennaio, seguito dal Correnti, dal Tito Livio, dal Parini e da numerose altre strutture (anche a Bergamo, ad esempio).
In alcuni casi le agitazioni si sono svolte in giornata e in altri gli studenti sono rimasti una notte all'interno della scuola, hanno dato vita a sit in e cortei, hanno seguito le lezioni (prevista a distanza) dal cortile della scuola oppure hanno scioperato e non hanno preso parte alle "sedute". L'idea dei ragazzi – che scuseranno la sintesi estrema – è che le istituzioni li abbiano abbandonato chiudendo le scuole superiori (a differenza di asili o elementari, "parcheggi" essenziali per genitori lavoratori) e che la celeberrima DaD (didattica a distanza) non funzioni più, perché la socialità è l'apprendimento più prezioso di tutto il percorso scolastico. "Ci sono i tamponi rapidi, si può entrare a scuola in tutta sicurezza oggi", il ragionamento di chi ha protestato.
Facendo un po' di ricerche in Rete – se mi sarò sbagliato mi corigerete (semicit.) – non ho trovato in giro per il mondo tanti casi analoghi, a parte forse qualche piccola protesta locale qua e là. Anzi in autunno, in Francia come negli Stati Uniti o in Grecia, c'erano state diverse agitazioni – anche con scontri – per il motivo opposto: la riapertura delle scuole, che avrebbe messo a rischio la salute di tutti. Per questo la notizia delle occupazioni milanesi ha avuto risalto anche sulla stampa internazionale.
Come detto, in questa faccenda si tengono assieme passato e futuro. Perché, pensano i ragazzi, per salvare quest'ultimo bisogna tornare a ciò che è stato: la scuola come ente fisico fatto di mattoni e carne, oltre che materia cerebrale. Ed è curioso – o forse no – che le rivendicazioni delle nuove generazioni assumano forme che rimandano ad altri anni: le occupazioni. Così come è interessante che la colonna sonora di queste proteste, che ci siamo fatti raccontare dai protagonisti, sia molto contemporanea e molto datata allo stesso tempo.
Quella che trovate qua sopra è una playlist che mette assieme alcuni degli ascolti fatti dai ragazzi in queste giornate "No DaD", e più in generale i pezzi che meglio rappresentano la loro idea di impegno. È frutto di un lavoro collettivo (e dei collettivi), che mette assieme – in maniera inevitabilmente incompleta – le scelte musicali di gruppi e singoli che hanno organizzato le occupazioni temporanee di tre scuole milanesi: il Manzoni, il Berchet e l'Einstein.
"Durante la mobilitazione la musica c'è stata praticamente sempre", spiega Maddalena, studentessa al terzo anno del liceo Manzoni e membro del collettivo scolastico. "Quando siamo in compagnia la teniamo sempre, è una parte fondamentale della nostra socialità. Quindi non poteva mancare in simili momenti di condivisione, anche considerando che ce ne sono sempre meno".
Lei e i suoi compagni hanno portato a scuola un paio di casse JBL portatili, di quelle che oggi la gente usa ovunque: per stirare, collegate alla tele o per fare sport al parco. Quando una era in carica, l'altra suonava e viceversa. Anche i ragazzi del Berchet avevano una cassa dell'azienda californiana, mentre i colleghi dell'Einstein non si ricordano la marca. "Abbiamo messo la cassa nei momenti più 'vuoti' e di svago per riempirli, non solo nei suoni ma dei contenuti che la musica offre", spiega Andrea, che frequenta la scuola in zona Calvairate a Milano.
Nella lista fornita dai ragazzi il rap è monipolista o quasi. Non fingeremo di essere stupiti per la notizia, per non sembrare degli inviati di Studio Aperto (con tutto il rispetto). "L'hip hop accompagna da sempre le nostre giornate: abbiamo cercato di mettere della musica che riuscisse a coinvolgere più persone possibili, canzoni che comunque sapessimo in tanti", dice Maddalena. "È il genere che tutti ascoltiamo ogni giorno. Lo sentiamo vicino per la sua schiettezza e perché è musica che, sin dalle origini, comunica il suo 'non ci sto'", aggiunge Fabrizia, studentessa al Berchet.
Notiamo subito che i pezzi datati – spesso collocabili tra la fine degli anni '90 e i primi 2000 – sono la maggior parte. Questo dato accomuna quasi tutte le scelte arrivate dai tre istituti, e appare ancora più evidente nella divertente playlist che i ragazzi del Manzoni condividono con noi ("la ascoltiamo sia in occasioni più politiche sia in quelle di goliardia", dice Maddalena). Qui si approfondiscono tutte le varie sfumature di "combat" – dalle posse al cantautorato, fino alle varie sottoculture '80 e '90 – e sbucano nomi che rimandano a un tempo che fu: non solo De André, Guccini o Gaber, che sono eterni, ma pure i MCR, Ivan Della Mea e la Banda Bassotti.
Ma soprattutto c'è tantissimo hip hop (e dintorni) pionieristico: parliamo di artisti e gruppi sulla scena da parecchi anni prima che questi ragazzi nascessero. Gli Assalti Frontali, oggi come 20-25 anni fa, sono popolarissimi, ci sono i 99 Posse e i Sangue Misto, i DSA Commando (!), il Colle der Fomento, Primo Brown e il resto della scuola romana – che per Fabrizia rappresenta forse l'hip hop più vero e a lei più vicino – oppurre Frankie Hi Nrg. Altrettanto ben rappresentata la seconda ondata del rap italiano, con due nomi che ricorrono per tutti: i Club Dogo e Inoki.
Mi fist – splendido 18enne – è un album seminale anche per chi è nato abbondantemente nel nuovo millennio, e questo (per quanto i Doghi giochino anche in casa) un filo sorprende. Hardboiled (Sabotatori) e Cronache di resistenza sono due culti ancora oggi. Se nessuno dei ragazzi coinvolti si sogna di citare un brano attuale dei membri della Dogo Gang, lo stesso non vale per Inoki. Che a sua volta è menzionatissimo, dagli esordi con gli Assalti Frontali a Non mi avrete mai e Bolo by Night, e che fa in tempo a piazzare uno dei pezzi più politici del suo nuovo disco, Medioego, uscito venerdì scorso, in questa selezione. Mio fratello, che ha 40 anni e considera Lou X una specie di divinità terrena, lo considera allo stesso modo uno dei dischi hip hop più belli da anni a questa parte.
Anche Marra e Fibra trovano posto, così come una serie di crew e artisti amici del giro di collettivi e occupazioni cittadine: un fenomeno che un tempo era rigogliosissimo e che ha tirato fuori alcuni dei più grandi hitmaker degli ultimi anni (il nome Fedez dice qualcosa?), e che ora resiste un po' sottotraccia. E poi ci sono mc e beatmaker recenti un po' più conscious oppure più "anarcoidi" – fosse anche solo per vocazione – di questo nuovo grande "riflusso digitale", come Willie Peyote o Ketama e la 126. Di giovani e giovanissimi, però, veramente pochi. "Posso dirti Izi, che sicuramente è uno che ascoltiamo", dice Fabrizia. O Massimo Pericolo, che con 7 Miliardi (e l'intro del suo video) ha creato uno dei pochi inni degli ultimi anni.
"Non è che ci siamo fermati agli anni '90", dice Andrea dell'Einstein, "ma purtroppo le canzoni che più rappresentano lo spirito della manifestazione risalgono a questo periodo: l’hip hop in Italia (e non solo, ndr) nasce come strumento di protesta e rivendicazioni, ma negli ultimi anni abbiamo visto un 'appiattimento' del genere sotto questo punto di vista. Credo che il fatto di essere diventato un genere mainstream abbia scoraggiato gli artisti dal prendere posizioni radicali in ambito politico". "Se ascoltiamo parecchia musica di vent'anni fa è un po' anche per rispetto delle tradizioni. E perché gli ideali sono gli stessi di allora", conclude Maddalena.
---
L'articolo Che musica si ascolta durante un'occupazione scolastica del 2021 di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-01-22 11:23:00
COMMENTI (2)
@illbethefirst non ho capito il commento
È ironico che il primo pezzo della playlist (non a caso) non venga citato nell'articolo. Troppo schierato anti Salvini? O semplicemente nessuna major lo spinge? Ancora più ironico però è che il pezzo parla proprio di chi non ha il coraggio di schierarsi...