Sembra difficile da credere, ma c’è stato un periodo in cui per ascoltare un disco dovevo andare a comprarlo. Anche se avevo solo la curiosità – magari avevo ascoltato il singolo in radio e volevo ascoltare il resto dell’album – dovevo andare fisicamente a comprarlo. Oppure volevo assecondare quella mia morbosa ossessione di possedere anche il CD singolo di una canzone che mi piaceva, perché l’album era un impegno di fedeltà troppo spinto nei confronti di quell’artista. E io non sono esattamente boomer, nonostante la piena crisi di mezza età: sono nato nel ‘92 ma abitando in provincia, in un posto non sempre interessato all’arte, l’unico modo per comprare i dischi era infilarmi in un autobus, poi una metropolitana, e arrivare al centro di Napoli.
Napoli prima dell’esplosione, dello scudetto, prima anche di Gomorra. C’erano alcune tappe fisse delle mie giornatine da solo al centro di Napoli per gli acquisti musicali: gli store grandi, come La Feltrinelli e la buonanima della Fnac, ma anche e soprattutto piccoli negozi disseminati per il centro storico, dove ordinare le rarità, trovare qualcosa di vintage nei cesti all’esterno e magari assecondare la mia perversione fuori tempo per i dischi in vinile, al tempo ben lontani dal ritorno in voga e dal diventare la spina dorsale del mercato discografico fisico.
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Tra questi, Tattoo Records, al centro esatto del tragitto verso la mia prima fallimentare carriera universitaria e spesso causa dei miei ritardi a lezione. Tattoo è un negozio storico diPiazzetta Nilo, vicino San Domenico Maggiore,un attimo prima di Spaccanapoli e della zona universitaria di Mezzocannone, che con i suoi cesti con le offerte dell’usato, i cartonati giganti con le nuove uscite mainstream, tutti i cd singoli di altre epoche a 1€, dà colore e colonna sonora rock and roll alla piazzetta. Ebbene, Tattoo Records con un post ha annunciato la chiusura del negozio.
Una brutta notizia, certo, ma ciò che sorprende è la motivazione: «Il motivo principale è il mio precario stato di salute, faccio sempre più fatica a portare avanti questa attività. Inoltre piazzetta Nilo, negli ultimi anni è diventata una realtà non tanto facile da vivere professionalmente per chi tende a vendere un prodotto diverso da una pizza o un cuoppo puzzolente di pesce scongelato male».
Pensateci se vivete a Napoli, o se ci siete passati recentemente - e a giudicare dai numeri per forza ci sarete stati. Quante attività non fanno parte del food? Del sedicente street food? O di quegli accrocchi di finto folklore da instagrammare? Quanti dei negozi di strumenti musicali in Via San Sebastiano hanno lasciato il posto a una spritzeria o a una cicchetteria? Come se una città che ha sempre vibrato di un suo calore culturale avesse lasciato il passo a una cartolina da parco divertimenti dedicato a Diego Armando Maradona, sempre sia lodato. Inoltre, passeggiare per la città non ha più il profumo del mare, ma dell’olio di frittura esausto. Le aziende culturali non riescono a tenere il passo di una città che si sposta verso un turismo spesso mordi e fuggi. E seppur nell’ambito dell’intrattenimento e dei media, un negozio di dischi, cd, vinili, dvd, è una piccola azienda culturale.
Se in epoca post-streaming si ascolta per decidere cosa, eventualmente, comprare per avere un feticcio fisico, prima dell’arrivo di Spotify in Italia nel 2013 era l’opposto: sceglievi a scatola chiusa cosa comprare per poterlo ascoltare. La mia scelta di ascoltatore si è formata in Fonoteca Outlet dietro piazza Dante, da Tattoo, Musicante, Rimmel – dove trovavo le versioni in spagnolo dei dischi italiani… si, ero matto –, e più di recente Gommalacca, Fonoteca, Juke Box a Caserta o Disclan a Salerno, che ancora vivono e lottano insieme a noi macinando grandissimi numeri in occasioni di release attese o di eventi come il Record Store Day.
In tempi strettamente analogici, l’arma erano i consigli, fidandomi quando il negoziante diceva “guarda, che se ti piace questo di Robbie Williams che canta swing puoi partire da questo di Sinatra con la canzone originale”, ed anche giustificare la mia faccia commossa quando ho trovato la musicassetta di un disco di mio padre: tutte parti che hanno reso speciale l’esperienza di acquisto e poi, per assurdo, il disco stesso.
In quei negozi ho scroccato i magazine gratuiti su cui scoprivo i dischi che tornavo a comprare, ci ho appeso i poster dei miei concertini, lasciato i flyer degli eventi, e ho visto colleghi aspiranti musicisti fare lo stesso, mentre allo scaffale degli spartiti un ragazzo cercava di convincere gli altri della band a prendere il libro con le tablature dei Dream Theater “sono 38€ e poi ce li spacchiamo tra noi 5”. In un periodo in cui – prima di Liberato, di Geolier, dei Thrucollected e tutti gli altri – sembrava che l’unica musica possibile a Napoli fosse il neomelodico peggiore, questi negozi erano il modo per incontrarci, resistere e riconoscerci.
L’attività di Tattoo continuerà in quella splendida piazzetta fino al 15 ottobre, per poi spostarsi strettamente online o in un ufficio in un’altra zona di Napoli, a testimonianza del fatto che il collezionismo, il mercato, la ricerca di una voce fidata nell’acquisto dei vinili è ancora necessaria, ricercata. Controllando in archivio, uno dei miei ultimi acquisti in Tattoo è stato il singolo di Complicated di Avril Lavigne, in uno slancio di retromania pop. E quando ero piccolo, mi vergognavo quasi a fare acquisti pop o “commerciali” in negozi così ricercati e belli, così cercavo di affiancarli a qualcosa di più fine, come il binomio di qualche rigo fa Williams / Sinatra, scoprendo così sempre qualcosa di nuovo.
Andando alla cassa con le mie solite robe scelte guardando MTV da ragazzino, mi sentii rassicurato nel sentire “bello questo” dallo storico negoziante. E quando chiesi, titubante: “li conosce?” Sentirmi rispondere indicando gli scaffali: “guagliò, questi li ho ascoltati tutti: prima di vendere i dischi, a me piace la musica”.
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L'articolo Chiude Tattoo Records: a Napoli le fritture hanno vinto sulla musica di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2024-06-17 00:37:00
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