Aveva piovuto tutta la primavera, quel 1972 a Roma. Perciò, la soleggiata fine di maggio sembrava benedire ancor di più con tutto il suo sapore d’estate Villa Pamphili 72, uno dei primi festival pop italiani, sulla scia di Woodstock e in opposizione ai lustrini di Canzonissima.
Tre giorni, dal 25 al 27, giovedì, venerdì e sabato, e nessuna programmazione: saliva sul palco chi era pronto tra gli ospiti. E che ospiti! Francesco De Gregori al debutto, gli Osibisa, il Banco del Mutuo Soccorso, i New Trolls, i Trip, gli Stormy Six, gli Hawkwind, i Van der Graaf Generator!
C’è anche quel ragazzo di Milano, che con la sua band sale sul palco mentre la luna lo imita nel cielo. E attacca la sua canzone più famosa, non entrata in classifica ma simbolo dell’intera generazione hippy italiana, La tua prima luna, storia della fuga di casa di un giovane come tanti allora, pezzo portante del suo primo album, Viaggio, del 1970, con la compagna di scuola Roberta Rossi alla voce (oggi pittrice) e l’amico Mauro Pagani a flauto, violino e congas, già in odore di PFM. È un pezzo epocale, che fotografa la generazione che si affaccia allora ai vent’anni, e contiene tutte le domande e tutte le risposte che le erano proprie.
Se hai voglia di chiedere aiuto
vai in quella prigione
dove ti hanno insegnato ad amare
poche persone alla volta
e non vuoi ritornare, vuoi amare più gente,
vuoi vivere in mezzo alla gente.
E mentre dormi su un prato, sentendo un po’ freddo
tu vedi passare una macchina verde della polizia,
non ti vedono neanche:
capisci di colpo che il loro discorso
è diverso dal tuo.
“Proposi di non accendere accendini con il buio per il solito 'numero', ma fuochi. Non migliaia di accendini ma una decina di fuochi. Scesi dal palco, frastornato dall’energia raccolta, camminando sospeso da terra di un trenta centimetri buoni. Proprio buoni. Qualcuno al solito chiedeva autografi mentre cercavo di uscire dal backstage. Chiedevo il nome. Non sentivo ‘correct’ la cerimonia dell’autografo che firmando con la mia grafia il nome del richiedente.”
Il pazzo divo dell’underground che firma autografi col nome dei fans si chiama Claudio Rocchi, e a 21 anni ha già una storia musicale di tutto rispetto. A 15 anni bassista e cantante degli Sconosciuti, viene notato dal manager degli Stormy Six che gli propone di entrare nella band, seconda per popolarità a Milano solo ai New Dada di Maurizio Arcieri (sì, quello che nel 1976 fonderà i Krisma). Con loro incide Le idee di oggi per la musica di domani, nel 1969, dove firma due pezzi, Ramo e I tuoi occhi sono tristi, il primo uno splendido delirio beatlesiano post-Rishikesh, il secondo più legato a stilemi beat e rhythm’n’blues alla Brian Auger.
Poi, le strade si dividono. Gli Stormy Six che diventano politicizzassimi (inventeranno il combat folk con un disco come "Un biglietto del tram" del 1975, quello di Stalingrado) per poi virare sul progressive. Rocchi non ci sta. Esce dalla band. È già oltre la politica, innamorato dell’India. Si può dire che sia oltre l’Italia, molto più affine a quello che succedeva in Inghilterra (c’è molto di Donovan, Syd Barrett e Nick Drake in lui) e negli States (avrebbe potuto essere il quinto membro di Crosby, Stills, Nash & Young). Un peccato mortale, questo, nei primi anni 70 italiani.
Nel disco successivo, L’unità del 1972, gli Stormy Six gli dedicano una pesantissima Fratello:
Quando l’ultimo sfruttatore
l’ultimo corruttore
l’ultimo carrierista
l’ultimo ipocrita
l’ultimo borghese
saranno scomparsi
da questa terra
allora sarà giunto
il vostro momento
di parlarci
d’amore
Ma forse tu
ma forse tu
fratello
non ci sarai più.
Che è un modo poetico di ripetere il mantra della sinistra rivoluzionaria di quegli anni: prima facciamo la rivoluzione e poi pensiamo a essere felici. Anche l’amico fraterno Mauro Pagani, della PFM, dissente dalla sua scelta: e nello stesso anno gli dedica Per un amico, ribadendo il concetto già espresso dagli Stormy Six.
Non domandarmi se un giorno cambierà,
comincia a fare qualcosa e cambierà
con te cambierà.
Tu scappi e poi ti nascondi e non si può,
tu vivi i tuoi compromessi e non si può…
non è più tempo di sogni devi lottare di più…
Rocchi non s’impressiona, tira dritto per la sua strada, come faceva da tempo. E lui, cresciuto artisticamente in mezzo al proliferare dei Festival Pop, aveva a suo modo risposto in anticipo ai vecchi amici, scrivendo su Ciao 2001 del 20 ottobre 1971 il proprio resoconto della I Festa del Proletariato Giovanile, organizzata da Re Nudo, il mensile che cercava di mettere insieme l’ala freakettona e quella marxista del Movimento, a Ballabio, sui monti intorno a Lecco, il 25 e 26 settembre:
"Una piccola divisione fra la gente: il pugno alzato, la faccia seria e consapevole ma non rilassata di quanti qui hanno portato la convinzione che il mondo e la gente si possano cambiare con una rivoluzione fatta di violenza contro la violenza, ma sempre di violenza; dall’altra parte il colore ma soprattutto la calma e la disponibilità di quanti invece sentono che la gente non si può cambiare, ma solo, forse, accendere perché ognuno per conto suo in mezzo agli altri, e quindi insieme agli altri, maturi la sua chiarezza, la sua coscienza, il suo amore."
Studente di filosofia, appartenente a una di quelle che si chiamavano “ottime famiglie” milanesi, Rocchi vuole campare solo di musica e sfuggire a un destino di grigiore borghese. Per questo nel 1970 scrive perfino testi per Ornella Vanoni (ma che testo! Quello di Un gioco senza età, cover italiana di White Mountain dei Genesis, da Trespass. E scusate se è poco) e Fausto Leali (Un pezzo di terra). La Ariston, sua casa discografica, ci crede e vede in lui un possibile nuovo Battisti. Sforna così un 45 giri (La televisione accesa) pieno di ammiccamenti pop, ma anche di nastri rovesciati e archi che vengono giù dritti dritti da Strawberry Fields dei Beatles, quasi un Beck ante litteram.
Nel 1970 esce il primo lp, Viaggio, con quel La tua prima luna che diventa subito l’anthem di tutta una generazione, nei fatti già stufa della politica, ma decisamente “contro”. Non vende molto, ma diventa così popolare che alla radio gli offrono lo “Spazio Rocchi” in Per voi giovani, l’unica trasmissione Rai dedicata alla musica giovanile alternativa, al fianco di un certo Carlo Massarini (farà Mr. Fantasy, dieci anni dopo, rivoluzionando la musica in tv) e di un Mario Luzzatto Fegiz giovane ed ancora entusiasta: “A 19 anni ero autonomo e indipendente, facevo un paio di concerti alla settimana, stavo con la mia prof. di Liceo e preparavo il mio prossimo disco”.
(Continua nella pagina successiva)
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L'articolo La storia di Claudio Rocchi, il pazzo divo dell'underground italiano di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2013-06-26 08:55:00
COMMENTI (11)
@reluigi E Walzer, nun me stai attento, però: rockit.it/claudio-rocchi-re…
Still waiting for part two
certo, la tua è è una bellissima testimonianza!
@lucia.guidorizzi hai ragionissima: spero sia chiaro dal pezzo che la penso come te.
La storia vera di un eroe discreto ed appartato che non strombazzava al mondo le sue verità, ma operava il cambiamento.
ben documentato, ben scritto. bravo.
@reluigi Quando avrete condiviso e fatto lievitare i like come si deve, credo, visto che è già pronta.
A quando la parte 2?
un bel ricordo di Claudio e tanti ricordi miei Grazie
@effepunto Grazie a te! Ho sempre adorato Claudio.