Il 19 marzo, Jovanotti condivide un reel attraverso i suoi social. Nel video il musicista, visibilmente emozionato, apre la custodia di uno strumento e ne estrae una chitarra verde e marrone: “Non è solo una bella Telecaster – scrive nel testo che accompagna il post – è il simbolo della possibilità che l’errore e il dolore provocato agli altri e a se stessi non sia la fine della vicenda umana”. La chitarra che imbraccia è infatti uscita dal laboratorio di liuteria e falegnameria del carcere di Santa Bona a Treviso: a produrla, i detenuti coinvolti nel progetto di costruzione di chitarre e bassi Claustrofobico, seguito dalla cooperativa Alternativa Ambiente di Vascon di Carbonera (Treviso), realtà di impresa sociale che, da oltre vent’anni, coordina il polo occupazionale della Casa Circondariale, attraverso percorsi professionalizzanti che, dall'assemblaggio meccanico alla digitalizzazione di documenti, puntano a fornire competenze lavorative e autonomia economica ai detenuti, cercando di aprire nel loro futuro strade alternative alla recidiva.
(La chitarra regalata a Jovanotti)
“Con le chitarre siamo partiti quasi per scherzo, quando a metà 2023 abbiamo perso la commessa di un’azienda del territorio per la quale producevamo termostati, che occupava una dozzina dei venticinque detenuti che lavoravano in laboratorio”. A raccontare è Alberto Benedetti, responsabile del polo occupazionale e referente del progetto Claustrofobico: “Quando ti lascia una grossa realtà, non hai molto tempo per riorganizzarti: per cercare di tirare fuori qualcosa dal cilindro, ho pensato di provare a portare in laboratorio una mia vecchia chitarra, da usare come tavolozza per i primi esperimenti”.
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Le attività di liuteria in carcere iniziano dunque così: lo strumento su cui Benedetti ha imparato a suonare al centro e attorno i detenuti, tutti senza pregresse esperienze né musicali né nella costruzione di strumenti, che iniziano a scoprire come sia fatta una chitarra, a conoscerne le caratteristiche tecniche, a imparare a smontarla, regolarla, verniciarla. Fino al passaggio, dopo alcuni mesi, ai primi assemblaggi di corpi grezzi, limatura dei tasti, regolazione del capotasto. Abilità trasmesse, cercate insieme e valorizzate come mezzo di reinserimento sociale e professionale e possibilità di una ricucitura dello strappo avvenuto dalla società. “La scelta del nome Claustrofobico – prosegue Benedetti – non si riferisce solo alla costrizione di tempo e spazio vissuta dai detenuti, ma anche alla restrizione emotiva e intellettuale da essa determinata. Il carcere è l’eterno ritorno dell’uguale, un loop che restringe anche in termini emotivi e relazionali: dopo alcuni mesi di lavoro, molti colleghi detenuti riescono a recuperare una condizione molto diversa rispetto a quella in cui sono arrivati in laboratorio”.
Da fine 2023 a oggi, il laboratorio di liuteria ha coinvolto quattro detenuti, tutti regolarmente assunti dalla cooperativa, ed è arrivato a produrre una cinquantina di strumenti tra chitarre e bassi, sia di fascia entry level che di livello più alto, costruiti con meccaniche e ponti Gotoh e pick-up Gibson, Fender o DiMarzio. “Ora ci stiamo dedicando agli intagli: abbiamo creato un prototipo il cui corpo è completamente costruito da noi e abbiamo l’obiettivo di arrivare a produrre anche i manici. È un processo collettivo e collaborativo: io ho introdotto la parte tecnica, ma molte cose le stiamo imparando insieme, da come si muova il legno a come reagisca ai diversi colori. Per i colleghi detenuti, lavorare in un laboratorio che produce chitarre significa mettere tutto in discussione: cercare di creare qualcosa insieme è un po’ spiazzante per chi vive una vita di routine. Nello strumento, i detenuti riescono a trasferire una parte di se stessi, i propri pensieri su come poterlo creare e migliorare, attraverso confronti anche molto accesi: credo l’aspetto più bello del progetto sia vedere queste persone cercare soluzioni e pensare a come superare in chiave positiva i problemi che esso pone. Nei limiti delle nostre possibilità, cerchiamo di risvegliarli intellettualmente ed emotivamente, portandoli fuori dalla dinamica carceraria”.
A volte, è invece il mondo esterno ad entrare in carcere, attraverso gli strumenti consegnati al laboratorio per svolgere su di essi attività di manutenzione: “Ogni strumento ha un fascino intangibile: aprire una custodia e toccare la chitarra, notandone una vite arrugginita o il manico storto, è un’esperienza sensoriale a trecentosessanta gradi. Per noi può essere normale, ma per chi vive una condizione di detenzione è importante e centrale pensare che questo strumento arriverà a persone che vivono in libertà e immaginare i giri che potrà fare e i palchi che potrà calcare, dalla sagra di periferia, al centro sociale o al club. Spesso vedo i colleghi detenuti che si confrontano, immaginando come la luce si rifletterà sullo strumento, l'effetto che potrà dare dal palco quando è dipinto di un certo colore. Non è arte: è lavoro, artigianato, voglia di mettersi in gioco e superarsi. Riuscendo a far vivere fuori del carcere una cosa creata al suo interno”. Benedetti racconta il coinvolgimento emotivo dei detenuti quando sanno che nel fine settimana dovrà partecipare a fiere di settore, l’attesa di rivedersi il lunedì successivo per sapere come sia andata, se i visitatori della fiera abbiano provato gli strumenti, se siano piaciuti: “C’è tutto un mondo di voglia, di prove, di tentativi e aspettative. Iniziare a vedere i primi frutti e ritorni è chiaramente motivo di orgoglio, sia per noi che per i colleghi detenuti”.
È così che, per i carcerati, la costruzione di strumenti può diventare a sua volta strumento per immaginare un futuro diverso: “Ci portiamo dietro i passi che facciamo, ma essi non sono la fine della nostra storia. Io parto sempre dal presupposto che queste persone siano già state giudicate dalla giustizia. Una cosa su cui punto sempre con i ragazzi è che, quando entrano in laboratorio, devono avere la capacità di togliersi il vestito da detenuti, perché non voglio che la condizione di detenzione sia l’unica descrizione del sé. È chiaro che in questo contesto è difficile, ma è anche vero che, come nelle ore di lavoro io e il collega non li giudichiamo e anzi li sproniamo, è bene che anche loro si presentino per quella che è la loro persona, non per quella che è la loro condizione”.
Anche quest’anno, Claustrofobico parteciperà al Guitar Show a Bologna il 10 e 11 maggio e a Cremona Musica dal 26 al 28 settembre, oltre ad essere presente a eventi e concerti tra Treviso e Venezia che saranno comunicati attraverso i social del progetto. Gli strumenti possono però essere visti e provati, preferibilmente su appuntamento, anche nella sede della cooperativa a Vascon di Carbonera presso El Magazen, ex-magazzino agricolo trasformato in vetrina sia di Claustrofobico che del progetto di riparazione di biciclette Officina del Tempo. “Cerchiamo comunque di essere presenti in tutti i contesti a cui ci invitano – conclude Benedetti – dalla fiera di settore alla festa del radicchio. Andiamo anche dove sappiamo che non avremo successo con le chitarre, per essere presenti e portare attenzione sul tema del carcere: ci piace l'idea di poterlo trasformare da una dimensione invisibile e dimenticata a una realtà pubblica e intellegibile”.
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L'articolo Claustrofobico: dentro al carcere in cui nascono gli strumenti musicali di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2025-03-29 16:30:00
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