A Torino lo scorso weekend si sentiva ancora l’eco del mega rave party di Halloween, 4000 persone e cassa dritta a Nichelino, un’area industriale alle porte della città. Le pagine locali dei quotidiani (qua un esempio, ma ce n'è quanti ne si vuole, ndr) hanno raccontato per giorni di zombie che vagavano all’alba tra i binari della stazione di Porta Nuova, stravaccati contro un muro, aspettando un treno che li riportasse a casa dopo il workout intensivo dell’illegale.
Nelle piazze del centro intanto continuavano i rave reazionari a bassa intensità delle manifestazioni No Green Pass, si aggiungeva una coda umana dietro a un furgoncino con le casse, erano gli anarchici della Shit Parade – guest star Cosmo – che manifestavano contro le politiche del governo sull’immigrazione. In mezzo lo shopping già illuminato dalle decorazioni natalizie e Artissima, con la sua tribe identitaria e un po’ snob, consapevole che l’arte contemporanea oggi abbia più difficoltà a leggere il presente che a immaginare un futuro.
In questo contesto ha vissuto un’edizione strana e scintillante di coraggio del festival Club To Club, appuntamento di culto internazionale rimodellato ad hoc – a partire dal nome, C2C The Festival As A Performance – sulle restrizioni Covid. La scelta degli organizzatori, frutto di un percorso di riflessione lungo due anni, è stata quella di accelerare (scelta rivoluzionaria, quando tutto è “in pausa”) non il ritorno alla normalità, ma l’arrivo in un territorio nuovo, di frontiera, il cui sentiero Sergio Ricciardone e soci avevano già tracciato con la linea editoriale delle ultime edizioni del festival.
Un concetto quasi gramsciano di educazione viene trasportato, con beats e droni, nella scuola/discoteca rivelando una pedagogia del clubbing inedita che rimodella il rapporto stesso dei fruitori con la musica. La selezione non è più all’ingresso, ma nelle intenzioni: la futura classe dirigente del dancefloor che va in estasi per la performance trip dei sintetizzatori di Caterina Barbieri alla mezzanotte del sabato sera è solo uno dei tanti segni del cambiamento.
E anche quando la cassa più tardi si raddrizza - con Dj Nigga Fox, o con Skee Mask e Bill Kouligas le sere prima - la sensazione alle Officine Grandi Riparazioni di Torino (location meno capiente ma più inclusiva del Lingotto) è che ci sia una nuova consapevolezza nella club culture, che La Luce al Buio evocata dal titolo dell’ultima edizione del festival prima della pandemia (2019) si sia finalmente accesa.
Certo, la capienza ridotta, e la line-up meno corposa rispetto alla vecchia normalità, potrebbero dare la sensazione di una bolla, come quelle che in rete limitano la fruizione dell’infinito proteggendoci nel comfort dell’opinione condivisa. Non sarebbe comunque male, dato il casino là fuori, ma c’è di più: l’educazione all’ascolto (grazie ad alcuni professori dell’elettronica come Koreless, Tirzah e Kelman Duran) è un processo culturale in atto, di cui i weekenders torinesi del festival si sentono protagonisti, curiosi ed esigenti.
È una nuova forma di aggregazione, di emozioni e individui, complessa e in divenire, di cui non riusciamo a immaginare gli sviluppi, ma sentiamo il ritmo a cui avanza, ne facciamo parte. Il distanziamento rimane, è culturale, è un salto in avanti che separa da quello che c’era prima.
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L'articolo Club to Club ha portato la musica dal vivo oltre la frontiera di Giovanni Robertini è apparso su Rockit.it il 2021-11-12 08:54:00
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