"Concerto Grosso per i New Trolls": 50 anni fa l'apogeo del prog in Italia

Primavera '71, tra mille scazzi e difficoltà tecniche, il produttore Bardotti, Luis Bacalov con la sua orchestra e la band genovese davano vita a un'opera monumentale, un mix di musica colta e pop. Qualcosa di mai visto da noi, e irripetibile, figlia di un periodo storico incredibile

Un'immagine del disco
Un'immagine del disco
28/05/2021 - 11:27 Scritto da Giuseppe Catani

Quando, alla fine di maggio del 1971, esce Concerto Grosso, i New Trolls sembrano adagiati su di un punto di non ritorno. Breve recap: la band genovese, sotto contratto con la Fonit-Cetra, bagna il proprio esordio nel 1967 con il singolo Sensazioni dopo il quale, l’anno seguente, sarebbe arrivato Visioni. Due 45 giri innovativi, in grado di frantumare il beat, di trasfigurarlo a forza di pesanti iniezioni di psichedelia, con Vanilla Fudge, Jeff Beck e Jimi Hendrix nel ruolo di fari illuminanti.

L’uscita di Senza orario, senza bandiera, anch’esso datato 1968, è la conferma di quanto i New Trolls siano all’avanguardia: il beat è un ricordo lontano, le atmosfere dell’esordio su 33 giri suonano barocche, oniriche, il retrogusto è prog, i testi del poeta Riccardo Mannerini, rivisitate da Fabrizio De Andrè, e l’orchestra diretta da Gianpiero Reverberi, che produce assieme allo stesso De Andrè, chiudono il cerchio attorno a un album dal fascino ancora intatto. 

Una volta archiviato Senza orario, senza bandiera, i New Trolls inanellano una serie di singoli (successivamente raccolti, nella quasi totalità, all’interno dell’LP New Trolls, del 1970), alcuni dei quali baciati da un notevole successo commerciale, come Davanti agli occhi miei e Una miniera, e partecipano al festival di Sanremo del 1969 con Io che ho te. Il percorso è ormai tracciato, anche se una scelta si impone: continuare a sfornare canzoni con un occhio al grande pubblico o cercare di battere altre strade?

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La risposta non si fa attendere e arriva a stretto giro di posta, con la complicità di Luis Bacalov e Sergio Bardotti. Il primo è un concertista argentino sbarcato in Italia nel 1959 e poi messosi in luce come autore di colonne sonore. Nel 1971 realizza alcune composizioni per il tema di un film di Maurizio Lucidi, La vittima designata, una serie di brani di ispirazione barocca che sarebbero passati inosservati (performance canora di Tomas Milian a parte…) se non fosse stato per un’intuizione: perché non riprendere tra le mani quei brani e disegnarli di nuovo, questa volta con il coinvolgimento di un gruppo lontano il più possibile dalla cosiddetta musica colta? 

L’idea di combinare un’orchestra di musica classica e una band abituata alle ruvidezze del rock’n’roll non è originale di per sé, l’hanno già adottata i Moody Blues con l’epocale Days of Future Passed e i Deep Purple di Concerto for Group and Orchestra. In Italia il terreno è ancora vergine o quasi. L’irrompere di Collage, il secondo lavoro delle Orme pubblicato a inizio 1971, fa ben sperare: quei nuovi suoni, che col tempo sarebbero stati catalogati come progressive, sembrano incontrare il favore del pubblico giovane. Bacalov propone l’idea del Concerto Grosso ai Rokes che, però, sono ormai sulla via dello scioglimento. È Bardotti, all’epoca uno dei migliori produttori sulla piazza, a suggerire al maestro argentino il nome dei New Trolls.

Che accettano di buon grado, sciogliendo così ogni dubbio su quale strada avrebbero dovuto prendere. Ricorda Vittorio De Scalzi: “Per me il passaggio dal beat al prog è stato una normale transizione, senza che succedesse niente di eclatante, stava tutto nell’ordine naturale delle cose che si evolvevano. Era normale per quelli della mia età seguire le novità. In realtà sin dai nostri esordi avevamo cercato di azzerare tutto quello che era vecchio, che c’era stato prima di noi” (cit. in La storia del rock’n’roll in Italia, Roberto Caselli e Stefano Gilardino, Hoepli 2019). 

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I New Trolls giungono all’appuntamento con Concerto Grosso con una novità: il tastierista Mauro Chiarugi ha ricevuto il benservito, al suo posto subentra il diciannovenne Maurizio Salvi, ex Hamm, conosciuto nell’ambiente come “il piccolo Bach”, che, tuttavia, pur apparendo nella foto interne del vinile, non risulterà tra i credit. Per il resto, la line-up rimane la stessa: Gianni Belleno alla batteria, Giorgio D’Adamo al basso, Nico Di Palo alla chitarra e il summenzionato De Scalzi alla chitarra e al flauto traverso. L’idea di Bacalov è semplice, ma non di facile realizzazione: riproporre il cosiddetto Concerto Grosso, una variante della musica barocca che consiste nel dialogo tra un piccolo gruppo di solisti e un’orchestra, portata all’apice della popolarità nel ’700 dai compositori Tomaso Albinoni e Antonio Vivaldi.

Si registra all’Ortophonic di Roma, uno degli studi gestiti dalla Fonit-Cetra, tra il 23 e il 26 marzo 1971, tra una serie non indifferente di problemi e piccoli-grandi conflitti. Gli intoppi saranno tanti e di varia natura, come si deduce sin dalle note finite nella retrocopertina del disco, firmate dal produttore Sergio Bardotti: “A risentirlo adesso, questo blocco di musica, sembra che tutti sia stato fluido, tranquillo e liscio come registrare una canzonetta di consumo: no, non è stato così facile”. Non lo è per i componenti del gruppo, come Nico di Palo: “Quello che stava succedendo", spiega il chitarrista, "non lo capivano neanche i professori dell’orchestra. Non capivano perché stavano facendo quelle cose contemporaneamente alle mie (…). Con l’orchestra sinfonica in sala io suonavo dal vivo insieme a loro ma in una cabina a parte perché altrimenti il microfono rientrava nei violini” (cit. in Nico Di Palo, il rumore dell’impatto, di Gianni Anastasi, Aereostella, 2007).

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Bacalov, da parte sua, ci va giù duro: “Erano difficili loro, come gruppo. Ognuno pensava in modo diverso, ognuno voleva fare a modo suo, uno non stava bene di salute, l’altro aveva le bizze, l’altro ancora non arrivava in sala. Abbiamo lavorato tra mille difficoltà. Se non ci fosse stato Bardotti non so se avremmo finito il disco. Perché a un certo punto mi ero stufato di vivere delle situazioni che, per buona parte, di musicale avevano poco. Si trattava di problemi di livello organizzativo e degli umori personali di ragazzi immaturi” (cit. in Rock progressivo italiano, di Francesco Mirenzi, Castelvecchi, 1998).

Tensioni a mille uguale capolavoro. Una regola non scritta che non manca di dettare legge nemmeno nello specifico di Concerto Grosso. Un lavoro in quattro parti per quel che riguarda il primo lato del disco, diviso tra vari movimenti: Allegro, Adagio (Shadows) e Cadenza – Andante con moto, con Shadows (per Jimi Hendrix) a rappresentare un capitolo a sé. L’impronta vivaldiana e gli archi intersecano a più riprese la chitarra di Di Palo, che a tratti cerca e trova la sonorità del violoncello, e con il flauto di De Scalzi, mentre gli impasti vocali evocano l’Amleto di William Shakespeare (To die, to sleep, may be to dream).

L’incontro tra l’orchestra diretta da Bacalov e i New Trolls, pur tra mille difficoltà, ha un che di miracoloso, l’esperimento di coniugare la musica classica al pop (o rock, che dir si voglia) riesce alla perfezione, tra esplosioni elettriche e momenti lirici dalla forte connotazione classica. Shadows, invece, è un omaggio a Jimi Hendrix, scomparso pochi mesi prima, ben esplicitato dalle svisate e dagli acuti di Di Palo, nonché dagli assalti del flauto, un pezzo che comunque riprende i temi espressi nel Secondo Movimento (citazioni di Shakespeare comprese), pur in assenza dell’orchestra. 

Altra anomalia il lato B dell’album, registrato allo studio Fonit Cetra di Milano il 27 marzo, un’unica a lunga suite dalla durata di oltre venti minuti che prende il titolo di Nella sala vuota, improvvisazioni dei New Trolls registrate in diretta. Nulla a che vedere con quanto offerto dall’altra facciata: si tratta di una maratona nel corso della quale i New Trolls sembrano sfogarsi, leggasi l’assolo di batteria di Belleno di oltre 7 minuti, la reprise di Il sole nascerà, canzone iscritta al Cantagiro del 1970, per non tacere dei virtuosismi di Di Palo alla sei corde elettrica e di Salvi all’Hammond.

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Difficile comprendere il perché di tale scelta, secondo il cinico Bacalov “si allunga il brodo per fare minutaggio” (Rock progressivo italiano, op. cit.), a sentire De Scalzi, invece, “nella sala vuota era una suite che facevamo già dal vivo, con molto successo. Era una specie di puzzle di mondi che si incontravano tutti insieme nella nostra musica, una vera suite prog. C’è di tutto lì dentro, per noi era una soddisfazione fare un pezzo che durava venti minuti! L’abbiamo registrata come fossimo a un concerto, addirittura abbiamo posizionato i microfoni fuori dalla sala in modo da riprendere quello che arrivava dall’impianto” (da una conversazione con Vito Vita, tratta dalla rivista Musica Leggera dell’aprile 2010). 

Concerto Grosso per i New Trolls (questo il titolo completo dell’album) metterà d’accordo la critica musicale italiana, concorde nel riconoscere l’eccellenza dell’esperimento (il solo a smarcarsi è Riccardo Bertoncelli, che dalle pagine della sua fanzine, Freak, paragona Concerto Grosso a “una perla kitsch di tutti i tempi (…), falso sino alla nevrosi”) e, contrariamente alle attese, vende parecchio: 700.000 copie nel breve periodo, con il muro del milione sfondato da tempo, peraltro il disco ha assunto lo status di culto in diverse parti del mondo, soprattutto in Giappone e in Corea del Sud. 

Le strade tra Bacalov e i New Trolls torneranno a riunirsi nel 1976 con Concerto Grosso n. 2, se possibile ancora più barocco del lavoro precedente, con un lato B pronto a preannunciare la svolta easy listening della band, che si concretizzerà due anni più tardi con l’uscita di Aldebaran. Poi, nel 1997, sarà il turno di Concerto Grosso, the seven seasons, ma senza l’apporto di Bacalov. Le due parti si ritroveranno, per l’ultima volta (Bacalov è scomparso nel 2017), sedici anni più tardi, quando incideranno il non trascendentale Concerto Grosso n. 3. A conferma del fatto che la vetta raggiunta cinquant’anni fa rimarrà irraggiungibile

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L'articolo "Concerto Grosso per i New Trolls": 50 anni fa l'apogeo del prog in Italia di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2021-05-28 11:27:00

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