Recentemente mi è capitato di vedere uno sketch tratto dalla serie Portlandia. Ad una riunione dell’asilo una coppia di genitori solleva il problema della musica alla quale i loro bimbi saranno esposti durante gli anni della scuola materna. L’appunto si trasforma brevemente in un’accesa discussione dapprima tra genitori, poi tra genitori e l’insegnante, accusata di avere gusti mediocri e di non sapere (affronto!) nemmeno chi siano i NEU.
Ho naturalmente sorriso pensando che sì, situazioni così possono esistere. Genitori impallinati che tramandano di generazione in generazione consigli musicali come fossero ricette di famiglia. Padri e madri che custodiscono gelosamente vinili per usarli come ninnananna per il figlioletto appena nato, e poi lasciarli in eredità - come l’anello della nonna che si regala alla futura nuora.
Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che spesso si sedeva a tavola e, radio alle spalle, commentava con cura le canzoni e gli artisti, snocciolando perfino dettagli discografici. Per me è quindi una prassi parlare di musica in modo appassionato con i miei cari vecchi (mi si concederà questo termine usato affettuosamente), in un continuo movimento di dare e ricevere che arricchisce allo stesso modo me e loro.
Ma veniamo al titolo di questo articolo.
Mia mamma si chiama Eliana, ha 57 anni e una bellissima voce. È un’appassionata di soul e un’accanita bowiana e questi sono i cinque dischi che mi ha consigliato di ascoltare.
Alan Sorrenti - Aria (1972)
Penso che se avessi chiesto un centesimo a mamma per ogni volta che mi ha parlato di questo disco, ora sarei ricca. Dimenticatevi pure l’Alan Sorrenti di "Figli delle stelle" e dell’easy-pop da classifica. Il 1972 è l’anno del debutto dell’allora 22enne Sorrenti, "Aria". Vetta del disco, l’omonima suite psichedelica: un cantato istrionico e declamato (non a caso Alan è di origini partenopee) e allo stesso tempo metafisico che si fa largo tra un tripudio di violini, chitarre e pianoforte con splendidi contrappunti batteristici di Tony Esposito. Un’esperienza mistica narrata dalla voce da cantore allucinato di Sorrenti.
Lucio Battisti - La batteria, il contrabbasso eccetera (1976)
Per me questo è “il disco con Lucio che corre nel fango”. Qui Battisti osa con i generi ancor più di "Anima Latina", realizzando un album incentrato sul groove (da qui, appunto, il titolo) e anticipando la rivoluzione musicale e di costume in quegli anni: la disco-music. Batterie in levare, bassi corposi, chitarre alla Chic (Graziani+Radius), svolazzi di synth per canzoni come l’immortale "Ancora Tu", le suggestioni tropicalia di "Respirando", il funk di "Un uomo che ti Ama", la new-wave di "Il Veliero", un pezzo che pare scritto dai Rapture l’altro giorno.
Alice - Capo Nord (1980)
Nella mia testa Alice è rimasta archiviata per parecchio tempo come la voce femminile nel brano "I treni di Tozeur". Finché è passata alla radio una canzone che mamma ha alzato ad alto volume. Una canzone possente ed ipnotica. Era "Il vento caldo dell’estate", apripista di "Capo Nord", primo disco di Alice arrangiato dalla premiata ditta Franco Battiato&Giusto Pio. "Bazar", "Una Sera di Novembre" e "Guerriglia Urbana" sono vere gemme di pop d’avanguardia con testi poetici interpretati magistralmente da una voce calda e marziale, sempre elegante, quasi alla Milva.
Mia Martini - Oltre la collina (1971)
"Va bene Mina, ma se parliamo di interpretazione devi ascoltare qualcosa di Mia Martini". Ok mamma. Detto, fatto. Qui Mia ha 24 anni e ci consegna un lavoro che è di una bellezza straziante grazie a interpretazioni viscerali da animale ferito. Le canzoni trattano temi scomodi (e ovviamente censurati) come l’amore violento, il suicidio e il rapporto con Dio. Autore di 5 brani, un misconosciuto e all’epoca ventenne Claudio Baglioni. Profetiche le ultime parole del disco: “io fuggo per cercare disperatamente un amore mio, un amore magari felice oppure infelice, ma sì, tanto è lo stesso; mi basta solo che sia un amore”.
Le Orme - Uomo di pezza (1972)
"Gioco di bimba", oltre ad essere una delle canzoni più belle mai scritte, ha un testo pienamente in linea con la tradizione prog degli anni ’70 (la metafora del mondo incantato e fiabesco) e un verso che ha sempre commosso mia mamma: “un uomo di pezza invoca il suo sarto”. Ciò che colpisce di questo disco è, oltre alla naturale complessità compositiva, la sezione ritmica a dir poco spaventosa. I suoni del synth sono sì agé, ma richiamano stranamente certe sonorità alla Air e St. Vincent. Trivia: il compositore Gian Piero Reverberi (poi ideatore del progetto Rondò Veneziano) suona il piano nel primo brano, "Una dolcezza nuova".
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L'articolo Cinque dischi che mi ha consigliato mia madre di Valentina Ziliani è apparso su Rockit.it il 2015-09-23 11:11:00
COMMENTI (3)
Gusti musicali impeccabili!
bravissima Valentina, hai raccontato bene cinque dischi italiani cui la mamma é particolarmente legata. E l'hai fatto pubblicando queste impressioni vivide proprio il giorno del mio compleanno...
Brava!
Tua mamma ne sa. Respect.