Contessa arriva all'improvviso, come la morte: come suona il nuovo disco de I Cani

"post mortem" è l'album con cui I Cani di Niccolò Contessa tornano sulla scena, 9 anni dopo "Aurora". 13 tracce "difficili" che si muovono tra l'esistenzialismo di Kafka, l'amarezza del nostro tempo e un sound molto vario. Il tutto pubblicato nell'assoluto silenzio di una mattina di aprile

Autoscatto di Niccolò Contessa
Autoscatto di Niccolò Contessa

Lo diceva Franz Kafka negli Aforismi di Zürau: “Come un sentiero d'autunno: appena è tutto spazzato, si copre nuovamente di foglie secche”. In fondo lo sappiamo tutti, un po’. Con Niccolò Contessa è sempre stato così. Tu stai lì ad attendere che succeda qualcosa, a volte anche per molto, addirittura moltissimo tempo. A un certo punto finisce pure che smetti di aspettare, o peggio, di crederci. Inizi a dirti che ormai è trascorso troppo, e nove anni da Aurora, l’ultimo - finora - disco de I Cani, erano davvero tanti, praticamente il vuoto siderale, nonostante il progetto sia comunque rimasto abbastanza attivo, con qualche brano a sorpresa droppato su YouTube ogni tanto e qualche collaborazione sparsa. E invece è successo. Senza preavviso alcuno. Dal nulla ci si ritrova con un album intero, intitolato Post mortem, pronto per essere ascoltato, assaporato, meditato.

Centro del disco è la riflessione sul “sé che finisce”, il Sein-zum-Tode, dell’Essere-per-la-morte, come diceva Heidegger. Si potrebbe dire che il tema inizia a intravedersi già dai primissimi dischi de I Cani, ma che trova poi la piena concretezza in canzoni eterne come Sparire, dal disco Aurora, o in Un altro Dio, uscito anch’esso senza preavviso su YouTube nel 2021. Quel ragionamento di Contessa sulla sofferenza e la morte tocca apici che poi troveranno ulteriore conferma nei due brani usciti nel dicembre del 2023 Nabucodonosor / Essere vivo e Canzone d’autore / L'ultimo animale insieme ai Baustelle.

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Non aspettatevi di incontrare canzoni facili. Ci vuole coraggio a trattare gli argomenti che decide di trattare Contessa. Un po’ come quando i Bluvertigo in Iodio dicevano: “Bisogna sempre per forza parlare d’amore? Si deve sempre comunque far nascere il sole? È necessario far credere di fare del bene?". E ancora: "Odio, a volte è scomodo parlarne, odio, poi sembra di essere gli stronzi, odio, è veramente un paradosso, odio, forse è meglio lasciar stare”.

Non è l’odio qui l’argomento tabù, bensì, come diceva San Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature, la “sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare” e sul fatto che ogni gesto del contemporaneo tenta disperatamente di cancellarne le tracce. E ascoltando questa parola, “scappare”, non possono non tornare alla mente le parole tanto agghiaccianti quanto vere di Un altro Dio, in cui Niccolò, sotto una base cupa e lancinante e con una voce inquietante storpiata dagli effetti, dice: “Convinti di scappare dalla morte siamo scappati dalla vita, condannandoci a un’inguaribile infelicità che ha la forma esteriore del benessere. Cristo guariva i lebbrosi, ma a Milano sono tutti belli”. La sofferenza e la morte sono ripudiati costantemente dalla società, che cerca in tutti i modi di cancellarli dalla nostra esistenza.

Il titolo stesso del disco è eloquente e spalanca il pensiero sulla Morte e sul significato di essa nelle nostre vite. Il Post punk si trasforma in Post mortem, è come se tutte le cose del mondo avessero improvvisamente perso di senso, come se tutto fosse diventato inutile, di fronte al fatto tangibile e scioccante di un essere umano che finisce. È inevitabile che ce lo si chieda. Chiunque, anche i più alienati o cinici se lo sono domandati almeno una volta nella vita. Che cosa ci sia dopo la morte.

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Ed ecco allora Io, prima traccia, in cui si elenca una serie di “chi” e di azioni terribili, da parte di qualcuno contro l’io narrante: “chi mi aveva convinto di essere quello che non sono, chi mi ha dato uno schiaffo e non ha chiesto perdono, chi mi giudica sempre senza prima cadere, chi mi ruba la scena e il posto a sedere”. Il tono è di accusa, fino poi a rivelarsi che l’essere vivente che commette queste azioni non è altro che la voce stessa che accusa, “io” appunto.

È la volta di buco nero in cui echi de I Cani del primo disco incredibilmente tornano a galla, lo stesso accento romanesco si fa più acceso, le distorsioni ci riportano a certo emo dei primi anni ’10, tanto amato da Niccolò, intrecciato a linee di basso già intraviste in Aurora e a un testo in cui il buco nero non è altro che quello che abbiamo dentro quando seguiamo le “regole” perbeniste che la società tende a imporre. Tutto pur di non pensare in profondità le cose: “Non parlare della morte se c’è gente a cena”.

colpo di tosse è “un lampo di luce più forte del sole” e “un colpo di tosse al rallentatore”, così come davos in cui “ognuno pensa ‘così non va’ e ognuno dice ‘così si fa’”. Due dei brani forse più allegri di tutto il disco, nonostante il retrogusto, a cui Contessa ci ha abituato anche nelle canzoni più apparentemente leggere e semplici, sia sempre amaro. E punto di forza di questi pezzi sono proprio la loro disarmante semplicità. L’autenticità e la naturalezza di musica e parole sono evidenti in colpevole in cui assoli di strumenti come flauti o chitarre si alternano a termini caustici che non risparmiano nessuno come: “l’elemosina ai barboni ma rimani sempre colpevole”.

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f.c.f.t., invece, è una specie di antimanifesto. Il liquido in cui ci si immerge sa quasi di Nine Inch Nails. Ci si riempie di buoni propositi, per agglomerarsi e uniformarsi alla massa e alla presunta “normalità” di tutte le cose. Ricorda Fiore, altro brano uscito a sorpresa nel 2022, in cui il dialogo con sé stessi sfocia in intenti, proponimenti, scopi per “fare come fanno tutti”, quindi abbracciare la massa, pagando però il prezzo estremo di allontanarsi sempre di più da sé stessi.

post mortem è una traccia strumentale quasi bladerunneriana, alla Vangelis, in cui il Niccolò Contessa delle lodevoli colonne sonore pubblicate in questi ultimi anni (ricordiamo tra i tanti Troppa grazia, I predatori, Amanda e l’ultimo Enea) fa capolino. E non è un caso se Kafka venga realmente citato in felice (lo stesso titolo richiama Felice Bauer, prima fidanzata di Kafka): lui, l’autore icona e simbolo dell’inadeguatezza e della finitezza umana, con la sua lucidità sconcertante sugli ultimi secoli di questo animale evoluto che è l’uomo. Nel testo ci si sofferma su questa imperitura “non felicità”, mentre si sente tantissimo Franco Battiato.

In nella parte di mondo in cui sono nato si avverte deciso il lavoro fatto sui brani di Tutti Fenomeni e risalta tra tutto la frase: “Nella parte del mondo in cui sono nato se qualcuno parla di anima è un invasato, un complottista, non è vaccinato”. La stessa nascita a cui si assiste in madre, come in un time-lapse, con suoni di parto simulato annessi in traccia: “Nove mesi nel vulcano, vita senza vergogna, il regalo della cicogna”, a cui segue la riflessione sul senso concreto della vita e sul perché si venga al mondo. “Prima ovulo e sperma e poi cenere e terra”.

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Ma l’uomo non è nulla senza amore. Forse anche per Contessa. E infatti in carbone si ragiona su “Chissà perché due sconosciuti, continuano a chiamarsi amore”, uno dei brani più belli a livello di composizione di tutto il disco. Mentre le parole d’ordine sono sempre quelle: semplicità, umiltà e schiettezza. Il sound di buio, che richiama reminiscenze quasi industrial, chiude il cerchio con un’altra onda, in cui si intravede una neppur tanto lieve simpatia per il concetto di reincarnazione, così come quando tutto ha inizio, e cioè nel momento della nascita: “Ogni volta la prima volta”. E allo stesso identico modo, come nel momento della morte: “E per un attimo sarai persa per sempre”.

La cosa veramente incantevole, dopo tutti questi anni, è che, citando un altro brano epocale de I Cani, Asperger, Niccolò ci è riuscito: “nessuno mai si aspetterebbe niente da lui”. L’attesa e il silenzio annientano le aspettative, la pressione sul futuro e rinnova il significato stesso del tempo. Nessuno si aspettava niente da I Cani, ma tutti lo speravano. Ed eccoli, improvvisamente qui, tra noi: suoni e parole cupi, a tratti violenti, ma come ogni volta in cui si parla di loro/lui, di una sincerità luciferina (nel letterale senso di portatori di luce), perché è proprio vero, inutile nascondercelo, è così in “piena vista”: “C’è poca luce nel mondo, c’è poco amore nel mondo”.

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L'articolo Contessa arriva all'improvviso, come la morte: come suona il nuovo disco de I Cani di Natan Salvemini è apparso su Rockit.it il 2025-04-10 14:43:00

Tag: album

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