È la tarda estate del 2013 quando Vice Italia, cavalcando quel pungolo narrativo che poi si rivelerà croce e delizia alla base di tutta la propria linea editoriale, pubblica un articolo dal titolo abbastanza esplicativo: Nevermind Nirvana (Ovvero Sticazzi dei Nirvana). Correva l'anno del ventennale di In Utero e il pezzo sgomita quanto basta nel marasma di cover-story commemorative ai Nirvana (che oggi si sta ripetendo, per i 30 anni dalla morte di Kurt Cobain) dedicate, basato sull'idea che il rock anni Novanta che abbiamo in testa di rimbalzo al botto discografico di Nevermind sia in toto campata in aria.
L'articolo, al di là della sua volontà militante, blasfema o educativa che fosse, (ri)prendeva a piene mani, analizzandolo, un certo modo di fare critica musicale che dal 2009 almeno imperversava in vari blog su internet e veniva riconosciuta (il mio, Yesiamdrowning, finì sul Venerdì di Repubblica) e premiata (come nel caso di Bastonate di Francesco Farabegoli) dalla critica ufficiale, che tentava anche di imitarla (per tutti: Ultima Thule di Federico Guglielmi) ma che, più realisticamente e prosaicamente, prendeva a piene mani dal giornalismo del fu Lester Bangs edulcorandolo più o meno dello stile “gonzo” e (in tutti i sensi) stupefacente.
“Da quel che capisco" è scritto nell'attacco del pezzo "per parlare dei Nirvana nel 2013 bisogna per forza partire dalla propria esperienza personale col gruppo di Kurt Cobain & co. Per qualche strano motivo è come se esordire con un classico, forse banale ma filologicamente corretto 'i Nirvana si formarono nel 1987 ad Aberdeen' sia diventato sconveniente; al contrario, in giro troverete tantissimi incipit del genere 'la prima volta che ascoltai Smells Like Teen Spirit avevo X anni ed ero in cucina, in cameretta, in galera' o che so io”. Al di là dello stupore un po' a grana grossa, bisogna ammettere che quella è stata forse la prima (o una delle prime) “tanata” clamorosa al giornalismo internettiano fatto per lo più da fan (per mezzo di blog, discussion boards, topic e tutto il resto del cucuzzaro) e non da critici o giornalisti, con la diretta e forse persino ovvia conseguenza/necessità di creare uno stretto legame, una stretta connessione, tra il proprio vissuto e il soggetto della propria narrazione: chiunque esso fosse.
E se da un lato resta indubbio che un certo modo di fare giornalismo e critica militante di alto lignaggio produce ancora oggi un movimento di rotelle e un lavorio cerebrale impareggiabile, ragionando a più ampio respiro, senza quella fucina di scribacchini forse un filo “emotivi” rispetto alla scrittura tradizionale tutta date e formazioni oggi non avremmo libri e scrittori come Musica di Merda di Carl Wilson, Meets Me In The Bathroom di Lizzy Goodman o Master Of Rality di John Darnielle. Smells Like Italy di Riccardo Cogliati (Tsunami Edizioni, 358 pagine) è, in tal senso, una sorta di monstrum definitivo di quello che Vice dieci e più anni fa scriveva, ma non sarebbe forse riuscito nemmeno a immaginare fin dove sarebbe arrivato.
Tanto più che Riccardo, classe 1980, è quasi coetaneo dell'autore dell'articolo su Vice, Valerio Mattioli, nato nel 1978. Approdato però, agli albori del nuovo millennio, nella community del sito LiveNirvana.com, ha svolto assieme a un gruppo di amici (ribattezzato l'Italian Team) una lunga ricerca incentrata sul passaggio della band di Seattle in Italia, confluita in questo tomo che posso definire unico nel suo genere.
Già, perché Smells Like Italy non è un vero e proprio romanzo, nonostante di momenti romanzati ce ne siano; non è un vero e proprio saggio, nonostante venga presentato come tale; non è una autobiografia a meno che non la si voglia intendere in senso (ampiamente detto) collettivo; non è un memoir dei Nirvana anche se ne presenta dei virgolettati: è tutto quanto questo assieme e riesce ad andare persino oltre, nell'oral history, nella non-fiction e anche nel mockumentary probabilmente.
Quindi fermarsi al solo titolo, per quanto sia esplicativo oltre ogni dubbio, potrebbe risultare un semplicistico errore. Già, perché l'odore a cui fa riferimento non è quello forte e marcato della biografia ufficiale bensì quello che, con un poco di fantasia, si respira dalle foto scattate all'alba a Kurt Cobain dopo il disastroso live al Piper di Roma, che sa un po' di asfalto e un po' di gelsomini e va perdendosi nella prima mattina romana. Allo stesso modo Smells Like Italy che è probabilmente il libro "conclusivo" sui concerti in Italia dei Nirvana dal 1989 al 1991, proprio nel suo cercare chi c'era, recuperarne ricordi e aneddoti (e uno svariato numero di immagini), confrontarli con ciò che venne scritto dai giornali specializzati, pur cercando di filtrare tutte le varie leggende che inevitabilmente ci consegna il tempo, nel fitto e appassionato dialogare a più voci, a tratti da l'impressione (presumo involontaria) del non ora, non qui, ma altrove, ormai più di trent'anni fa, sarà davvero successo così?
Che fa un po' Netflix e un po' Lucarelli, e riprende all'ennesima potenza quel modo di scrivere di musica per aneddoti, un po' da fan, un po' da intaccati e un po' da teatranti, che si contrappone al giornalismo più tradizionale e rigoroso. Se sia un bene o no lo lascio decidere a voi. Comunque oggi Vice non c'è più.
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L'articolo Di cosa odorava il tour dei Nirvana in Italia di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-06-18 10:19:00
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