Se abitate a Napoli, è da qualche ora che il feed dei social è praticamente identico per tutti i miei contatti: colore dominante il nero, l’emoji di una goccia rossa, la ricondivisione di un reel in bianco e nero. Il momento tanto desiderato, inaspettato, lontanissimo e, per molti improbabile è arrivato: I Cosang, uno dei gruppi fondamentali del rap napoletano ha deciso di riunirsi e tornare in scena come duo.
Luchè e ‘Ntò tornano insieme dopo dodici anni con una data evento il 17 settembre (sold out in pochi minuti e replicata il 18) nella piazza più importante della città, Piazza del Plebiscito, il salotto buono di Partenope. Eppure, soltanto pochi mesi fa, ospite di Muschio Selvaggio, Luchè allontanava le possibilità di una reunion, dopo i dissapori che 12 anni fa hanno allontanato il duo e portato alla cancellazione di un disco in produzione e alla divisione delle strade dei due rapper, che poi hanno inanellato successi (soprattutto Luché, a dire il vero) con le rispettive carriere soliste.
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In tutta la rinascita del rap napoletano, e l’ascesa al centro dell’urban italiano, questo ritorno sulle scene della band sembra la chiusura di un cerchio perfetto: Dopo Clementino e Rocco Hunt che hanno sdoganato la lingua napoletana nel rap mainstream, ma anche e soprattutto la pletora di rapper che hanno riempito le playlist da Enzo Dong a MV Killa, Lele Blade, Samurai Jay, Coco, per non citare il fenomeno Liberato. C’è Geolier che ha quasi raggiunto la vetta dell’evento mediatico più importante del nostro Paese, e raggiungerà il traguardo storico di tre stadi sold out. Quando un colosso come Netflix decide di produrre la versione italiana del talent show dedicato al rap Nuova Scena, a vincerlo è Kid Lost, talento made in Qualiano (piena area nord).
I Co’Sang sono alla base della cultura hip hop della città: hanno iniziato quando il mercato della musica rap non esisteva, nei pieni anni 90 in cui c’erano giusto Articolo 31 e pochissimi altri e da Napoli solo Almamegretta e 99 Posse erano riusciti a superare i confini della Campania con un suono che avesse radici più urbane che neomelodiche, seppur con una connotazione politica ben marcata. Per intenderci: i Co'Sang hanno iniziato a fare rap quando neanche Gigi D’Alessio aveva esordito sul palco di Sanremo.
Luchè e ‘Ntò provengono da un posto particolare: se nei telegiornali qualsiasi quartiere periferico di Napoli viene automaticamente – ed erroneamente – etichettato come Scampia, loro in verità crescono a Marianella, un quartiere che confina con Chiaiano - con cui condivide il vecchio nome di una fermata della metro - e a pochi chilometri Miano, Piscinola, Secondigliano e, appunto, Scampia. Luoghi che in questa grande rinascita della città si sono popolati di associazioni e realtà positive che hanno fatto di tutto per ribaltare la narrazione di questi posti ma che anni fa potreste aver intraletto tra le pagine dei libri di Saviano o le serie tv tratte da questi.
I Co'Sang scrivono e pubblicano dischi nel periodo delle scissioni, delle guerre di camorra degli anni zero, delle piazze di spaccio che attirano clienti da tutto l’hinterland napoletano. Luoghi difficili in cui, parole loro tratte da un vecchio documentario per Current Tv: «si parte svantaggiati e la qualità della vita è squallida, in cui i bambini tornano da scuola sugli stessi marciapiedi in cui si bucano in quindici». Loro, insieme ad altre realtà seminali per il rap della periferia come Fuossera e ‘A67, prima e meglio di chiunque altro altro hanno saputo raccontare la vita – e la morte – nel rione, insegnando a tutte le generazioni successive la grammatica del rap in una lingua perfetta ritmicamente ma ancora troppo poco esperita su quei beat.
Il disco capolavoro Chi more pe' mmè testimonia in maniera credibile un pezzo di città, senza romanticismi e celebrazioni. Nessuna apologia della camorra, bensì fotografie di una parte di città che prima venivano tenute nascoste in favore di cartoline. Uno degli album più contemporanei che questa città abbia mai potuto ascoltare, vivi e pulsanti nel momento in cui escono, in cui i testi sembravano riflettersi direttamente nelle silhouette di gesso sull’asfalto o sulle prime pagine dei giornali. Tra quelle associazioni che hanno riempito e bonificato Scampia e altri territori di quella zona, è pieno di crew di breaker e writer, piccole scuole di rap e beatmaking, piccoli studi di registrazione, anche nel cuore delle vele, che hanno seguito la strada tracciata da Ntò e Luchè per uscire da quei territori attraverso il rap. O per restarci, come hanno fatto in tanti, ma con gli strumenti per sopravvivere.
In un’intervista proprio con Roberto Saviano per XL dicevano: «Noi non pronunciamo mai la parola “camorra” né la parola “Scampia”, sono termini abusati, vogliamo raccontare al di là delle idee banali che sono state dette su questi temi e queste terre». La vita quella era e quella raccontavano, dando una versione dei fatti simile a quella dei giornalisti embedded, che non combattono ma lo fanno testimoniando fedelmente gli scenari di guerra, riuscendo a trovare la comprensione sia di chi quella guerra la sta vivendo sulla propria pelle – ai tempi, i ragazzi di Sistema – sia di chi assisteva dall’esterno, ben consapevoli che quel tipo di mentalità toccava in qualche modo anche chi con la camorra non ci aveva mai avuto a che fare. Un male sotterraneo che sfiorava nche i ragazzi benestanti, che magari avevano pure paura di andarci a Scampia o Marianella, e che si cambiavano per non andarci con i vestiti buoni, nell’mp3 avevano i pezzi dei Co’Sang. E anche loro, ora, nel mio feed condividono il reel del loro ritorno.
Dopo il loro scioglimento, Luchè ha scritto dischi che hanno ampiamente superato i confini di Napoli, influenzando tutta la nuova generazioni di rapper – e la presenza con Geolier alla serata cover di Sanremo con Guè e D’Alessio ne è la dimostrazione. Ha raggiunto anche anche il pop mainstream recentemente, con i picchi di memetica toccati dal dissing con Salmo, apparentemente messo in guerra fredda. Dal canto suo, Ntò ha scritto con Lucariello sul beat di Luis Rodriguez la colonna sonora di quella pietra miliare della serialità italiana – e non solo – che è stata Gomorra - La Serie, esempio più unico che raro di racconto romanzato, seppur ispirato a fatti realmente accaduti, in cui non esistono tracce di speranza o di positività in nessuno dei personaggi. L’unica speranza della serie era proprio nella canzone sui titoli di coda: Nuje Vulimme ‘na Speranza.
Certo, c’è la retromania, c’è la nostalgia dei tempi andati, di quei trentenni che si sono visti tornare in faccia la musica che ascoltavano durante l’adolescenza, ma c’è anche la soddisfazione di potersi godere sul palco della piazza più bella della città due talenti che hanno acceso la miccia del genere che ora è esploso e caratterizza una delle più fertili scene di Napoli. E anche se i problemi di Napoli di certo non sono spariti, e tutti quei mali non sono ancora stati debellati o sconfitti completamente, c’è il lievissimo sollievo di poter ascoltare quelle canzoni che hanno testimoniato vita e morte, di dolore, lacrime e sangue, soltanto come un racconto di qualche anno fa, festeggiando la musica al centro di una città in rigogliosa rinascita.
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L'articolo Reunion dei Co'Sang: perché per Napoli saranno sempre una cosa speciale di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2024-05-02 22:38:00
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