Una selva di braccia alzate al cielo. Un corpo steso sopra di esse, che si lascia trasportare dalla corrente di mani che parte da sotto il palco e va a occupare tutto l’Alcatraz di Milano, imbottito di gente, come non si vedeva da circa 2 anni. Quel corpo è Marco Jacopo Bianchi, aka Cosmo, gettatosi in mezzo al pubblico nel pieno de La musica illegale, dopo che per mesi ha combattuto da casa sua per poter tornare a questa vita qua, che poi è la sua, a far impazzire i suoi fan che si dimenano in pista. Ed è qua che, di fronte all’arsenale di smartphone alzati al cielo per catturare il suo stage diving, Cosmo sbotta: “Avete rotto il cazzo con sti telefoni. Le cose si perdono, lasciamoli andare 'sti momenti”. È un po’ in queste parole che si nasconde il senso di Blitz, primo evento post pandemico con Cosmo protagonista, dopo che si è visto rinviare la festa dell’amore dallo scorso ottobre al prossimo aprile: lasciare andare. Lasciarsi andare. Perdersi.
Non c’è modo di cristallizzare con una story su Instagram una serata che è prima di tutto un atto politico, una battaglia dichiarata contro l’oppressione che la musica ha accettato di subire per il bene comune, finendo però per rimanere dimenticata, abbandonata a sé stessa. Ed è strano, dopo così tanto tempo, ritrovarsi circondati da persone, sentire l’odore pregnante di sudore, guardarsi intorno e vedere solo volti, senza che ci sia un angolo libero di terra. Una sensazione di angoscia che è strascico della pandemia, che ancora non riusciamo a scacciare del tutto, che ci fa sentire disorientati nel prendere parte a un rituale collettivo così intenso. Come mi dice una amica incrociata per caso inizio live, scherzando sul fatto di essere arrivata troppo presto rispetto all’inizio dell’evento: “Non so più come si partecipa ai concerti”.
Ma è chiaro fin da subito che questo non sia davvero un concerto, quanto una lotta. Una lotta che si combatte non con la violenza, ma con l’amore. “Hey, ho, let’s go”, rimbombano le casse appena prima che Cosmo e soci salgano sul palco. La Blitzkrieg Bop dei Ramones è il grido che prepara il campo di battaglia, un inno di liberazione che incarna lo spirito di rivalsa per cui la gente, tantissima e giovane, è qui, a riprendersi il presente ballando. Le luci si spengono, delle figure si muovono nell’ombra. Arriva Cosmo, accompagnato da Marco Foresta (Fabio Fabio) e Roberto Grosso Sategna (Dieci). Siamo pronti. Si parte.
Per essere un Blitz dichiarato, la durata del live è consistente: quasi 3 ore, 25 brani in scaletta bis compresi, il tutto quasi senza pausa. C’è bisogno di scaricarsi di dosso l’atrofia da lockdown che ancora attanaglia i muscoli. È un po’ come trovarsi a correre una maratona fuori allenamento, ma con una voglia di arrivare al primo posto talmente forte che ci fa trovare subito il passo giusto. Così già con Dum Dum, brano che fa da starter, veniamo subito ammaliati dai morbidi synth ambient, per poi venire bombardati da una raffica di bassi come granate. E si comincia a correre.
Un’energia primordiale e animalesca cerca in tutti i modi di uscire e azzannare il mondo esterno, c’è un qualcosa di sopito che di colpo viene risvegliato. È la consapevolezza di essere qui e ora, il rendersi conto che tutto questo sta succedendo, dopo che avevamo imparato a rinunciarci. È inebriante, liberatorio, ma al tempo stesso c’è qualcosa di distinto che tormenta l’animo: la paura. Non la si può nascondere, si può fingere di non pensarci, ma è lì. E scacciarla è compito di Cosmo, generale di questo disordinato e stupendo esercito dell’amore, che ha bisogno prima di tutto di qualcuno che li porti fuori da qua. “Sono stufo della paura”, dirà un po’ commosso a fine concerto, rendendosi conto della folla immane che ha di fronte agli occhi.
Per questo Blitz è un viaggio così lungo: c’è tanto da smaltire, da scaricare, da buttare fuori. Da Dum Dum si passa ad Antipop, con quel “Fai la hiiiiiiiit” detonante, poi a Cattedrale, in cui sbuca pure una chitarra flamenco, seguita da Le voci. È tutto un flusso, non c’è tempo di chiudere gli occhi, siamo burattini che si muovono diretti dai fili di Cosmo, mentre le luci sul palco mettono in piedi quest’orgia impazzita di colori. Un richiamo costante al desiderio che con Fresca, col palco immerso in un rosso accesissimo, ci tira la gola, senza ancora farci raggiungere il picco di piacere. Ma ci siamo quasi.
Prima del delirio, c’è spazio per una parentesi più emotiva, con Dicembre prima e Quando ho incontrato te poi. Si tira un attimo il fiato, c’è bisogno di respirare perché non siamo ancora a metà, ce n’è da sudare ancora. Ed è per questo che Tristan Zarra scoppia con una potenza devastante, scatenando il pubblico a suon di “POLIZIA POLIZIA”. “Avete voglia di ballare, stronzi?”, grida Cosmo agitandosi senza freno. E noi con lui, sentendo quella paura atavica rimpicciolirsi sempre di più, scacciata dalla furia sonora che impazza attorno, dai bassi vibranti che ci attraversano il corpo, dalle percussioni pulsanti che scuotono ogni particella del nostro organismo, dalle scorribande di guerriglia che Pan Dan fa quando appare sul palco.
Si torna a frenare di nuovo con una parentesi ambient, quel rallentamento fino a fermarsi del tutto che Cosmo aveva testato nel progetto Nuova Sauna Possibile a inizio anno. Tutto quello che abbiamo visto fino adesso è stata un’esercitazione, un test per vedere se siamo pronti alla seconda parte del live. A guardarsi intorno non ci sono dubbi: sì, lo siamo. Dopo Le cose più rare cantata in coro e Gundala dominata dal pianoforte i bpm tornano a salire e a prenderci a schiaffi, a farci ribollire il sangue in un dimenticato rito tribale che viene dal futuro. Turbo, Puccy Bom, La musica illegale, Mango, è tutto un inseguire il delirio, un cacciarsi di testa nel ritmo, affondare i denti nella carne di questo presente perché è l’unico modo per afferrarlo davvero.
Il crescendo di piacere culmina con L’ultima festa, che in realtà è la prima, dopo tutto questo buio. “Mantenete le distanze” è il grido con cui Cosmo apre la gabbia in cui ci siamo confinati fino ad adesso, per sprigionare tutta la nostra vitalità repressa. È disorientante, è strano, è folle, ma forse, più di tutto, è necessario, riprendere in mano tutto questo. E anche l’intervento al flauto dolce di Bitch Volley nel finale del brano, degno del canale YouTube shittyflute, sembra avere un qualche contorto senso.
Il bis con Vele al vento – in uscita il 3 dicembre come singolo –, Sei la mia città e Noi ha un che di mistico e romantico al tempo stesso. È una carezza che ci saluta dopo averci sconquassato il corpo, averci risvegliato dal torpore che ha rappresentato la nostra quotidianità pandemica. È uno squarcio per guardare un futuro migliore, sicuro per tutti, e allo stesso tempo un passato che abbiamo imparato a dimenticare. “Lasciamoli andare ‘sti momenti”, perché dobbiamo costruirne di nuovi. Il blitz è finito, andate in pace.
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L'articolo Cosmo: stage diving contro la paura di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-11-24 17:00:00
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