Al loro rientro a casa, un pomeriggio di inizio anni ’50 a Washington D.C., i coniugi Seeger – lei ricercatrice di folk americano, lui compositore – si imbattono in una scena inaspettata: la loro domestica – una donna afroamericana di oltre sessant’anni, assunta dopo che li ebbe aiutati a ritrovare una figlia smarritasi ai grandi magazzini Lansburgh dove la donna lavorava come commessa – è seduta da sola in cucina e sta suonando la chitarra di uno dei loro figli. È mancina, ma la arpeggia mantenendone l’accordatura per destri, cantando una melodia che racconta del viaggio di un treno merci.
Il nome della donna è Elizabeth Cotten: primo concerto a 67 anni, un Grammy a 92 nel 1985, un pezzo ripreso da decine di artisti (Freight Train), ma la cui storia è scivolata nell’ombra. È anche lei fra le protagoniste di Countin’ The Blues. Donne Indomite (Arcana Edizioni), primo libro di Elisa De Munari – onegirlband come Elli De Mon –, dedicato alle prime donne del blues. Che, come ci ha raccontato Elisa, ha l’obiettivo di colmare un vuoto nella letteratura musicale dedicata al genere, recuperando le storie delle prime musiciste blues ed esplorando inoltre come i temi in esso cantati siano vissuti e recepiti nell’Italia del 2020.
“L’idea – racconta Elisa – è nata perché ho sempre trovato poco che riguardasse le prime donne del blues. Conoscevo pezzi di artiste che mi piacevano tantissimo, che però non erano mai citate nei libri dedicati al blues”. Inizia così una ricerca fra vecchi 45 e 78 giri americani, filmati d’epoca e l’opera di Angela Yvonne Davis, dedicata alla blues legacy e al femminismo nero.
“Le artiste degli anni ‘20 vengono dipinte solo come un fenomeno commerciale manovrato dai bianchi – prosegue Elisa – ma leggendo i loro testi si capisce che dietro c’è molto di più. Nei libri sul blues, si sottolinea spesso come questa musica non abbia velleità politiche e come il bluesman chiami in causa le ingiustizie della società americana senza intenti di accusa o denuncia. Io credo invece che le artiste afroamericane abbiano dimostrato quanto il blues potesse essere politico, perché una donna che canta e denuncia pubblicamente gli abusi sessuali subiti, la propria omosessualità o il bisogno di controllare il proprio corpo si espone in modo radicale. E spinge una comunità a prendere coscienza di se stessa”.
La violenza, l’omosessualità, il sesso, Dio. E poi la libertà, la droga, la morte, la rinascita. Diviso in undici capitoli che spaziano fra le storie di Bertha Chippie Hill e Lucille Bogan, di Alberta Hunter, Lottie Kimbrough, Bessie Smith e Sippie Wallace, il volume include inoltre i contributi di diverse musiciste italiane, da Folake Oladun a Stefania Pedretti, Maria Antonietta, Sara Ardizzoni, Caterina Palazzi e molte altre: “Colleghe e amiche, con cui ho condiviso un percorso o dei concerti. E che ho voluto coinvolgere per far vedere quanto siano attuali i temi che toccarono le donne del blues” spiega Elisa.
"Ogni capitolo prende il via da una canzone e, attraverso il suo testo, racconta la storia della comunità afroamericana e quella dell’artista che la cantava. Da lì, la parola passa ad una musicista contemporanea, che tratta quello stesso argomento e la propria esperienza. Molte vengono dal punk o dalla sperimentazione e hanno poco o nulla a che fare con il blues. Ma hanno tutte in comune la pervicacia nel procedere in direzione ostinata e contraria. Proprio come le artiste blues degli anni venti".
Nel 1927, in seguito alla Grande Alluvione del fiume, oltre tredicimila persone scappano dalla città di Greenville, Mississippi, e raggiungono un argine: è ancora integro ma, se la pioggia continua, l’argine si romperà. Nel 1971 i Led Zeppelin pubblicano il loro quarto album, un disco privo di titolo ufficiale: sulla cover un contadino solitario, con una fascina di legna sulla schiena. L’ottava traccia è When The Levee Breaks: una cover – monumentale – di un blues composto dalla musicista Memphis Minnie, raccontata nell’ottavo capitolo di Countin’ The Blues: “Il titolo del libro, invece, omaggia Ma Rainey, una delle prime ad esporsi in modo radicale. In quel testo, elenca tutti i blues che la attanagliano. Il libro fa lo stesso: dà voce a quei blues”.
(Geeshie Wiley)
Tra le altre storie raccolte nel libro, quella di Geeshie Wiley: biografia lacunosa ed enigmatica, ancora non pienamente ricostruita, estesa in un punto imprecisato fra il South Carolina o più probabilmente il Texas e basata su pochissimi documenti, testimonianze dei discendenti e frammenti di registrazioni, come quella allo studio Paramount Company di Grafton, nel Wisconsin: “Su di lei si trova pochissimo, ma quel poco è stupefacente. I suoi pezzi sanno di fango, palude, vita vissuta, polvere”. E poi, Victoria Spivey e i suoi blues dedicati a un’umanità emarginata, peccaminosa e desolata, che sniffa per sentirsi ricca come Henry Ford, ammette ad un giudice un delitto per gelosia e medita il suicidio mentre lascia per sempre Detroit: “Victoria Spivey fu un’antesignana in fatto di gotico sudista: canzoni decadenti, macabre, che hanno preceduto il cammino di artisti come PJ Harvey e Nick Cave. Un’altra vita che mi ha colpita è quella di Elizabeth Cotten: la storia di un riscatto, arrivato in parte e solo in età avanzata. Un altro nome fondamentale ma mai citato, soprattutto nei manuali chitarristici”.
Countin’ The Blues diventa così anche un’occasione per riflettere sul significato della parola blues: “Non mi sono mai soffermata troppo a dare confini a questa parola. Anche nel libro, tento di far capire che il blues è un atteggiamento nei confronti della vita, da non ghettizzare in una determinata forma e genere. Anche io non suono propriamente blues, ma lavoro con quel tipo di sensazioni. Perché le sue radici si trovano in posti diseredati: è un ronzio, un vecchio ipnotismo ritmico, al valico tra magia e realismo. Per questo non potrà mai morire. Cambierà sempre pelle e rinascerà”.
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L'articolo Come le donne del blues hanno fatto la rivoluzione di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2020-03-11 17:34:00
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