Come se la passa la critica musicale?

Surclassata da streaming e social network, la stampa musicale vive tempi duri (ma non per questo è destinata a soccombere)

- foto via promocionmusical.es
18/05/2016 - 13:12 Scritto da Manfredi Lamartina

Facciamo un po' di conti. Secondo quanto riporta il database di Rockit, in Italia ci sono oltre 25.000 band e artisti; dal lunedì al venerdì sul nostro sito vengono pubblicate in media cinque recensioni (a volte anche di più) ogni giorno, che in un anno fanno circa 1.700 dischi ascoltati, analizzati, celebrati, stroncati. E stiamo parlando soltanto di album italiani. Bisogna partire dunque da questi dati prima di rispondere a una domanda che molti si pongono, oggi che il mercato è stravolto dall'all you can eat dello streaming: a che cosa serve, nel 2016, la critica musicale?

Solitamente le risposte sono due: a) a niente; b) a nulla. La prima risposta si basa su una verità difficilmente contestabile: i dischi ormai si possono ascoltare integralmente prima dell'uscita ufficiale, dunque spesso chi legge le recensioni ha già un'idea ben precisa delle canzoni. Per il lettore l'articolo o la recensione diventa allora un semplice test per verificare se il giornalista ha fatto i compiti, o per verificare se le proprie impressioni collimano con quelle della stampa. La seconda risposta, invece, prende spunto da una convinzione largamente diffusa: la recensione viene letta soltanto dalla band e dal giornalista stesso. Si tratta, come è evidente, di due visioni antitetiche - tutti ascoltano i dischi, nessuno ascolta i dischi - che però sfociano nella stessa conclusione: la critica musicale, di fatto, è inutile. Ma è davvero così?

"Ho sentito dire recentemente che i ragazzini che usano Twitter sono il nuovo Pitchfork. Se ci fossero i nuovi Arcade Fire, se ci fossero i nuovi Broken Social Scene, se ci fossero i nuovi Clap Your Hands Say Yeah, sarebbero riconosciuti come tali prima che Pitchfork possa fare qualcosa", ha detto qualche tempo fa a Noisey US il giornalista di Pitchfork Ian Cohen. In realtà le dinamiche dei social, in cui i ruoli di chi scrive e di chi legge ormai sono totalmente sovrapposti, riproducono fedelmente le cerimonie che funzionavano anche prima del web 2.0: gli articoli più letti sono quelli che riguardano i nomi più chiacchierati della musica moderna, di cui parlano proprio le testate specializzate. Dunque la storia continua a essere sempre la stessa: sono le riviste e i giornalisti (ok, certe riviste e certi giornalisti) a darci fiducia, non solo il passaparola, che è importante ma che da solo non basta a spostare gli equilibri. Non è infatti così comune una vicenda come quella dei Radio Dept., che tra il 2002 e il 2004 sono passati dall'anonimato totale ad un contratto con la XL Recordings grazie anche al supporto di blogger lungimiranti. E allora siamo sicuri che i nuovi Broken Social Scene e i nuovi Clap Your Hands Say Yeah verranno lanciati dagli utenti sui social anziché dai giornalisti di Noisey o di Pitchfork? Detta in altri termini: il passaparola può sostituire il lavoro del critico musicale? No. Di fatto, l’agenda viene ancora dettata dalle testate giornalistiche specializzate, che hanno generalmente una visione molto più ampia e una consapevolezza maggiore della produzione discografica. Ricordate i 1.700 dischi l’anno?

 

Un altro malcontento diffuso circa il giornalismo musicale è la convinzione che sempre più spesso finisca per convergere sugli stessi nomi, ignorando invece le realtà più piccole e indipendenti. Ma non è affatto così. Le testate specializzate in genere coprono (e scoprono) tutte le novità più significative, non solo quelle più popolari. Basta essere ricettivi, sapere cercare, leggere anche gli articoli con pochi like. Il punto di vista semmai va ribaltato: non è la critica a ignorare gli artisti meno allineati, è il pubblico (termine stereotipato ma inevitabile) che non sembra essere particolarmente sensibile al tema. Ci sono tantissimi gruppi con un'ottima rassegna stampa che sui social vengono ignorati, magari perché la maggior parte dei lettori preferisce attaccare briga sui Radiohead o sulle scelte televisive di Manuel Agnelli. Attività legittima e per qualcuno magari anche divertente, ma che spesso porta poco in termini di discussione, riflessione e sostanza.

La critica musicale dunque è ancora fondamentale? Certo che sì. Il discorso però è diverso quando parliamo delle testate generaliste, entrano in campo big player come la tv e le major e i numeri diventano davvero importanti. Fenomeni come Benji & Fede sono totalmente imprevedibili per il mondo del giornalismo, che infatti poi si ritrova in ritardo e in difficoltà nell'approcciare la questione: meglio ignorare, stroncare, o cercare di essere indulgenti? In tutti e tre i casi, il critico farà la figura del vecchio che vuole rovinare la festa ai giovani e non riuscirà a incidere né in positivo né in negativo. Stesso discorso per chi esce dai talent: adesso sulla stampa generalista Marco Mengoni viene trattato come se fosse il nuovo George Michael, però prima c'erano i risolini e le sopracciglia alzate. Bisogna ammettere dunque che la carriera di Mengoni è stata supportata da altri attori del mercato musicale e non certo dai giornalisti delle grandi testate, che arrivando per ultimi spesso agiscono di rimessa, limitandosi a fotografare l'esistente e a dire l'ovvio (fa schifo; è un grande artista) solo per illudere uffici stampa e lettori distratti di essere sul pezzo e raggranellare qualche like. Ma dov'è l'approfondimento? Dov’è l'analisi? A volte la soluzione è la più semplice, e forse basterebbe limare certi personalismi e spingere meno sulla polemica a tutti i costi per trovare una risposta sensata alle nuove logiche di mercato.

Ma è anche vero che è il giornalismo in generale a vivere una condizione difficile. Da un lato l'intera categoria appare ricattabile sul fronte interno, quello delle aziende editoriali (stipendi da fame, licenziamenti e precariato come destino ineluttabile, fino al braccio di ferro sul nuovo contratto giornalistico). Dall’altro soffre di un deficit di credibilità sul fronte esterno, quello presidiato dai lettori, che non vedono più nei giornalisti delle voci autorevoli e interessanti. Per quanto l’intero sistema musicale stia affrontando profondi cambiamenti, la stampa musicale specializzata però ha ancora un suo ruolo importante, sia pure con qualche scricchiolio. Davvero ne vogliamo fare a meno?

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L'articolo Come se la passa la critica musicale? di Manfredi Lamartina è apparso su Rockit.it il 2016-05-18 13:12:00

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COMMENTI (3)

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  • MaxGit 8 anni fa Rispondi

    opinione per opinione, le 'testate giornalistiche specializzate' secondo me invece inseguono i siti web dove si fa critica musicale. Rockit fa molto meglio di Rolling, che a mio giudizio si limita a dire, per lo più a monosillabi e con irritante linguaggio pseudo-cool, quello che tutti sanno un mese dopo che è successo LOL. Qui invece ho trovato ad esempio giovanni truppi, any other, the giornalisti, calcutta, ancor prima prima che arrivassero alle riviste di nicchia come left, rumore, etc, e secoli prima che, oramai conclamati, fossero, alcuni, degnati di un cenno nelle riviste mainstream. Le testate giornalistiche specializzate, se non muovono il culo, non avranno più una lira dal sottoscritto (questa non è opinione è dato di fatto LOL). Eppure proprio per la proliferazione delle produzioni, sarebbe ora più che mai utile la buona critica musicale, ma bisogna muovere le gambe e andare a caccia, e avere abbastanza esperienza e cultura da riconoscere qualcosa quando ci sei davanti. Un critico musicale, insomma. Casualmente proprio ora rileggo Lester Bangs e mi viene un coccolone, egotico quanto volete, ma appassionato, e bravo, per la miseria-uno che si sbatteva parecchio ...

  • jakinodj 8 anni fa Rispondi

    La stampa musicale specializzata (sia magazine cartacei che webzine) ha subito un forte calo d'attenzione e interesse da parte del “pubblico” forse perché il livello medio della qualità di scrittura, unita alla dubbia capacità d'analisi musicale di un “giornalista/critico musicale”, oggigiorno si è abbassato di parecchio. È vero, le nuove modalità di ascolto e reperimento musicale (con lo streaming in testa) hanno cambiato di parecchio le abitudini di ascolto e la ricezione, aumentando di conseguenza la preparazione musicale degli ascoltatori. Ma non dobbiamo dimenticare che oggi, anche a causa dell’avvento del web, l'editoria non naviga su acque limpide dal punto di vista commerciale e contrattuale. Tutto questo spinge le testate giornalistiche musicali, ma non solo, (tradizionali, major, vecchie e nuove) ad ingaggiare persone con una preparazione intellettuale e culturale alquanto bassa, sia dal punto di vista linguistico che prettamente musicale, dal momento che in genere la maggior parte di questi “pseudo-giornalisti musicali” sono dei ragazzi che: o non hanno mai avuto un’esperienza viva e attiva con la musica (sia eseguita che composta) oppure non hanno mai studiato una pagina di critica musicale, storia della musica e tutto quello che si può apprendere con una formazione di tipo musicologica.

  • aoxomoxoa_rds 8 anni fa Rispondi

    "Da un lato l'intera categoria appare ricattabile sul fronte interno, quello delle aziende editoriali". Tipo far pagare l'accredito stampa al Mi Ami 10€ al giorno?