Dalla coperto di sale (quasi un’autobiografia al registratore) è un lungo racconto di se stesso che esce nel settembre 1977 in "Lucio Dalla. Il futuro dell’automobile, dell’anidride solforosa e di altre cose" (Savelli), probabilmente raccolto da Simone Dessì, curatore del volume e alias di Luigi Manconi, allora critico musicale di Muzak e vicino a Lotta Continua, poi parlamentare dei Verdi negli anni '90, sottosegretario alla Giustizia per i DS dal 2006 al 2008 nell’ultimo governo Prodi e oggi marito di Bianca Berlinguer. L’abbiamo riproposto così com’era, zeppo di errori di punteggiatura, correggendo solo qualche titolo sbagliato citato a memoria e inserendo tra parentesi altre correzioni. Il libro uscì dopo la svolta di "Come è profondo il mare" e conteneva, oltre ai testi di Dalla, alcuni interventi critici verso di essa, a cui lo stesso Dalla rispondeva piccato in chiusura del volume. L’autobiografia è però stata raccolta prima della registrazione di "Come è profondo il mare" ed è un documento prezioso e raro. Questa è la prima puntata. Godetevela.
1. Ho cominciato in pratica ad avere la sensazione di essere un attore, quindi un protagonista, in piazza Re Enzo di fronte al cinema. Lì c’era il varietà, al caffè Centrale. Mia madre e mio padre andavano lì a prendere il caffé e io una volta vi andai a cantare (avevo 3 anni quindi questo mi è stato raccontato). Cantai una canzone che si chiamava Op Carolla in dialetto bolognese, con l’orchestra. Fu un successo perché avevo 3 anni, ero anche piccoletto, quindi sembravo ancora più piccolo. Lì c’era un signore che si chiamava Dalostra, gestiva una compagnia di ragazzi che si chiamava «Primavera d’arte», così cominciai a recitare in questa compagnia di bambini. Prima era una compagnia sgangherata, poi si è andata sempre più affermando nelle zone vicino a Bologna sino a diventare famosa a livello nazionale.
Andammo al Valle a Roma, per esempio, ed era prosa, prosa cantata, operetta. Per esempio ebbi delle offerte daDe Sica, da Taranto. Facevo questo senza rendermene conto, come tutti i bambini; non me ne fregava niente, anzi allora era un peso. A mia madre piaceva, ma andava sempre in giro perché faceva la sarta e quindi io andavo avanti per forza di cose, finché diventai più grande. A sette-otto anni fu un guaio perché non potevo più recitare il ruolo del bambino; quindi smisi di fare questa cosa.
(La copertina di Cambio, 1990, con la madre Iole Melotti e un piccolo Lucio Dalla)
Feci due o tre tentativi di tornare sulle scene ma fu un disastro, ero timido, si vede che era scoppiata qualcosa dentro, forse la pubertà… La fine del teatro coincideva proprio con la scoperta dell’erotismo. Ora sembra una cosa stupida, in realtà era così. Erano gli anni ’50, quindi si viveva nelle strade, c’erano molte bambine, situazioni strane, i più grandi erano più avanti, più svegli di noi, quindi smisi decisamente di essere il bambino prodigio quando cominciai ad avere i primi rapporti, i primi stimoli: tutto ciò mi bloccò completamente. Durò sino all’età di 12-13 anni. Allora… ah, suonavo la fisarmonica, e mi regalarono un clarinetto, così cominciai a suonare il jazz, prima in gruppi tradizionali bolognesi di tipo New Orleans. Era una cosa molto strana perché facevo dei progressi enormi, nel giro di settimane facevo quello che di solito si fa nel giro di mesi. Tutto questo da solo, senza maestro: era quasi un rapporto medianico con lo strumento. Allora diventai conosciuto proprio a livello nazionale.
A 15 anni in pratica emigrai. Andai a Roma a suonare con la Seconda Roman New Orleans Jazz Band che era proprio il massimo, quindi affrontai per la prima volta un rapporto di professionismo anche se assolutamente sbrindellato. Il gruppo si sciolse e io tornai a Bologna con un’angoscia dietro l’altra: la paura di morire, la paura delle malattie, la crisi mistica ecc., tutta una serie di componenti… anche perché ero un pazzo sfrenato, una volta… Forse sto dilungandomi troppo.
Mia madre, che non poteva darmi tanti soldi perché faceva la sarta, mi disse che per ovviare alla questione della casa andassi a Ostia dove c’era una sua amica, anche lei molto strana, che aveva una pensione. D’inverno abitavo lì, era una cosa spaventosa perché era una pensione emiliana a Ostia, dove non c’era nessuno; mi presi un esaurimento talmente forte che culminò nel fatto che c’era un bambino mongoloide olandese che era stato portato lì per prendere l’aria del mare e aveva un fischietto che suonava continuamente dalla mattina alla sera. D’altronde ero sempre lì perché non avevo un lavoro… poi c’era uno che faceva il cameriere e era cartomante. Io avevo sempre avuto paura di queste cose; una sera che c’era il temporale mi beccò, mi fece le carte e mi disse le cose più spaventose. Da quella sera presi una sbandata, scappai, tornai a Bologna e dissi: «Io voglio morire nella mia terra». Da Bologna non andai più a Roma perché ero proprio impaurito.
(Uno spot per Carosello con i Flippers)
2. Dopo due anni presi degli accordi con un complesso che allora era famoso, si chiamava i Flippers. Si era sparsa la voce che ero bravo e allora vennero a Bologna e mi convocarono. Presi coraggio, sempre con la paura della morte, e arrivai a Roma proprio il giorno che morì Papa Giovanni.
Cominciai così a stare un po’ meglio, guadagnavo di più. In un Cantagiro che feci con i Flippers conobbi Gino Paoli, diventammo amici, allora era un uomo diverso, era anche stressante da tanto era diverso. Mi sono dimenticato di dire che suonavo il jazz a livello serio a Bologna in quell’intervallo delle due esperienze romane. Suonavo con musicisti grossi, ero diventato un musicista moderno, quasi.
Fra le tante cose che feci con Paoli, mi convinse a cantare. Credo che Paoli lo facesse così, sinceramente, perché non gliene fregava niente, quasi fosse una battuta. Comunque mi portò alla RCA, che già conoscevo come clarinettista, mi fecero un provino con una canzone, uno spiritual che io scelsi e che Paoli tradusse, si chiamava Lei (l’originale si intitola Careless Love ed è un traditional che era stato portato al successo nel 1962 da Ray Charles, n.d.R.) .
Così questo fu il mio debutto come cantante, una cosa spaventosa; la critica ne parlò bene ma non vendetti dischi, poi al Cantagiro mi capitò di tutto. Allora nel ’64 c’erano 50-60 mila persone e il Cantagiro si faceva o nelle spiagge o negli stadi. In effetti io allora cantavo diverso da tutti e poi ero grosso, avevo la barba, vestivo malissimo, sembravo, non so, l’americano... Poi andai coi Flippers in Grecia e lì cominciai a cantare. Praticamente eravamo costretti a star fermi ad Atene e così imparai a cantare, ero molto preso dai ritmi che c’erano in Grecia. Infatti mi consideravo un genio.
Improvvisamente un’altra pazzia di Paoli: l’anno dopo questa canzone che si chiamava Lei mi portò a Sanremo (in realtà fu due anni dopo, nel 1966, n.d.R.). Affrontai Sanremo per la prima volta con Paff-bum senza nessuna tensione.
Andai a Sanremo; presi l’aereo da Atene senza avere un soldo e mi presentai con una canzone che era un assurdo. Pensa a San Remo, così rigida, così priva di fantasia che premiava solo il drammone…
Era il ’65 (sic! n.d.R.). La canzone non aveva testo, era un pretesto. Per esempio, obbligai i coristi a non cantare ma a fischiare tanto che uno pianse dalla vergogna. Poi anche lì fui rifiutato: non andai in finale. Però mi ricordo che avevo la sensazione, progressivamente, giorno per giorno, che qualcosa aveva funzionato. Praticamente questa irrequietezza, questa non ufficialità, questa mancanza di drammaticità nella partecipazione aveva rotto degli schemi che erano assolutamente rigidi come gli schemi d’ascolto e gli schemi televisivi. Lì cominciai ad avere un primo approccio col successo.
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L'articolo Lucio Dalla coperto di sale (quasi un’autobiografia al registratore) di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2012-03-04 14:36:00
COMMENTI (1)
Adorato Lucio....non ce ne saranno più come te...quanto mi manchi! Ma grazie per tutta la musica libera e piena di vita che hai regalato a chiunque l'abbia amata...buon viaggio ovunque tu sia...