Lucio Battisti è stato un musicista, cantante, compositore, arrangiatore e produttore italiano come non se ne sono mai visti, prima e dopo. Quando nel 1969 andò al Festival di Sanremo, tutta Italia si accorse di lui e i giovani, che già amavano Acqua azzurra acqua chiara e lo supportavano al Festivalbar, si scontrarono coi vecchi che dicevano che non sapeva cantare, che Un'avventura era una canzone sconclusionata. Ecco, da quel giorno lì, di Lucio Battisti non si è mai smesso di parlare, a volte ricordando il suo genio, a volte polemicamente, spesso a sproposito, citato in ogni comunicato stampa di qualsiasi artista, a volte per dare una spinta "autoriale" al progetto, altre per parlare di una qualche fase sperimentale, tanto a pescare nella produzione di Battisti ce n'è per tutti e non si sbaglia mai.
Sta tornando prepotentemente alla ribalta il suo ultimo periodo della collaborazione con Mogol ai testi, quello di fine anni Settanta in cui si smarcava dal cantautorato italiano - pur di ottima fattura e dalle intuizioni musicali geniali - per produrre dischi dal respiro internazionale utilizzando musicisti britannici prodotti da Geoff Westley, il Battisti degli album Una donna per amico (1978) e Una giornata uggiosa (1980), nel descrivere influenze e arrangiamenti dell'ultimo album di Calcutta, Relax. Non è certo il primo, sono stati accostati a Battisti: Cosmo, Coma Cose, Verdena, Iosonouncane, Pop X, Dente, Max Gazzè, Riccardo Sinigallia, Morgan. Solo per stare in ambito "indipendente", se andassimo sul pop la lista potrebbe non finire più.
Non è certo un segreto né un'intuizione particolarmente geniale da parte di molta critica parlare di Battisti accostandolo al padre dell'itpop di Latina, ma quel funky e quei suoni, alla fine dei Settanta, erano un po' uno standard di tutti i cantautori coinvolti in quell'onda, da Alan Sorrenti a Enzo Carella. Eppure il nome di Lucio Battisti appare sopra tutti e, di nuovo, rischia di oscurare il processo critico.
Non è neanche solo colpa dei giornalisti se quel nome esce fuori a ogni disco italiano, gli uffici stampa come sentono un giro di accordi caratteristico o una voce che svisa in falsetto partono subito col tormentone del nuovo Battisti, che del tutto serenamente possiamo asserire mai ci sarà, come mai c'è stato prima.
Fortunatamente è un unicum, un totem e monumento della musica italiana per certi versi ancora da scoprire del tutto, un nome che accostarlo a quello dei Beatles non sfigura per niente, che come il quartetto di Liverpool ha avuto i suoi periodi ben precisi: il folk, il blues rock, il funk, certi inserti prog o disco, l'elettronica, la sperimentazione di metrica e suoni sul formato canzone, che come i Beatles nel periodo più florido della sua carriera ha smesso di fare concerti e di farsi vedere in tv, dedito solamente al produrre dischi, ma questo è un sentire comune.
Eppure a nessun critico inglese, così come a nessun ufficio stampa britannico, verrebbe fuori di parlare del nuovo disco di un qualunque artista come derivato dai Beatles o addirittura che ne raccolga l'eredità, perché probabilmente qualsiasi band da metà anni Sessanta in poi deve qualcosa ai Beatles, così come qualsiasi compositore, autore, arrangiatore e cantante italiano dallo stesso periodo in avanti deve qualcosa a Lucio Battisti, alle sue intuizioni armoniche, al modo di fare rock in italiano, alla scomposizione del formato canzone restando sempre pop - La collina dei ciliegi su tutte - e alle sperimentazione linguistico musicali di cui sopra.
In questo contesto sembra sempre ridondante riferirsi a Lucio Battisti per ogni suono o intuizione che arriva 40 o 50 anni dopo la sua opera. Casomai sarebbe interessante che gli italiani - siano essi ascoltatori, giornalisti, PR o artisti - maturassero una conoscenza più approfondita della sua opera, sia di quella nazionalpopolare degli anni Sessanta quando il sodalizio con Mogol produceva tutte canzoni da greatest hits, sia quella degli anni Settanta in cui, nonostante il paroliere sia sempre lo stesso, la musica inizia a cambiare e prende forma un pop mai sentito dalle nostre parti, per poi diventare dagli anni Ottanta un artista del tutto fuori dalla moda dell'epoca, che usava i synth e i suoni del pop per creare qualcosa di altro, non ancora del tutto riconosciuto universalmente proprio per la sua natura strana, di nicchia anche nel 2023.
Purtroppo sulle piattaforme di streaming gli album dal 1982 al 1994, E già, Don Giovanni, L'apparenza, La sposa occidentale, Cosa succederà alla ragazza e Hegel non sono ancora disponibili e si possono ascoltare solo sui cd e i vinili dell'epoca, oppure in via pirata, e probabilmente verranno capiti tra un sacco di tempo. Eppure qualche artista battistiano, nel senso del periodo degli album bianchi di Battisti / Panella c'è, ma spesso viene relegato a demenziale, sperimentale, troppo assurdo per far parte della canzone per tutti.
Ecco, quel Battisti ha ancora un sacco da insegnare mentre l'altro, quello di tutti, è un'istituzione talmente grande e potente che ad avvicinarti rischi solo di farti un po' male. Rovescio della medaglia: essendo di tutti, ha per forza di cose cambiato la grammatica della musica pop italiana e scomodarlo per ogni disco che esce forse non è più il caso. Che amara ironia questa sovraesposizione, per un artista che ha deciso consapevolmente di voler stare fuori dai riflettori.
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L'articolo È davvero il caso di scomodare Lucio Battisti per ogni disco che esce? di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2023-10-24 10:11:00
COMMENTI (3)
Secondo me è scontato pensare a Battisti ascoltando "giro con te" ma questo non le toglie nulla come bellissima canzone, Calcutta ha superato le aspettative con questo disco, canzoni come "tutti" incendieranno gli stadi per i troppi accendini accesi. E veniamo a un punto che ho trovato interessante: ascoltate "allegria, è Battistiana fino all'osso, quel ritmo vintage del periodo "amarsi un pò" ma con una forte spruzzata onirica che riporta anche ad anima latina. Ci sono anche le pause vocali di Battisti che danno tensione al tutto.
Al contrario prendiamo la citata "tutti" che premetto essere una canzone popolare e bellissima. Qui Calcutta canta quasi senza prendere fiato, con una tipica verve di scuola romana da "guarda come te la racconto". Anche se nessuno di voi lo direbbe, ci ho sentito il migliore Baglioni per non dire Venditti, quel raccontare le cose comuni su melodie spianate e molto discorsive. Ebbene non c'è niente di male a scrollarsi di dosso certi luoghi comuni e Baglioni e Venditti ne hanno scritto schifezze. Ma anche capolavori, ed anche numerosi. Adesso ascoltiamoci il disco che è troppo bello e rilassiamoci davvero, Calcutta ha già il cuore degli italiani, quello che scrivete poi conta molto meno.
Simonini scrive sempre cose intelligenti
Un'analisi perfetta! @simonestefanini