Mi sono chiesto di cosa dovremmo scrivere ora. Quale slancio laterale potrebbe rendere accettabile, prima di tutto a noi stessi, lo scrivere di altro che non sia l’attualità che stiamo vivendo. Ho pensato così di lavorare a una serie di interviste che potessero farmi approdare in altri luoghi e in altre epoche. In ogni puntata di “Musiche per altri tempi” chiederò ad un ospite di Casa Verdi, la casa di riposo per cantanti e musicisti istituita da Giuseppe Verdi nel 1899 a Milano, di raccontarmi un disco dei suoi tempi. E quei suoi tempi
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"Una sera mio padre e mia madre vanno all’allora Cinema Imperiale, in centro a Bologna. Durante l’intervallo mio padre dice a mia madre: 'Vado a comprare le sigarette'. Contemporaneamente, alla stazione giunge un treno con a bordo Edoardo Bianco, direttore dell’Orchestra Argentina, uno dei nomi più grandi dell’epoca. Ha un’attesa di tre ore per un cambio, così passeggia lungo via dell’Indipendenza, la stessa che percorre mio padre per andare ad acquistare le sigarette. In via dell’Indipendenza c’era un teatro estivo, all’aperto. Mio padre non è ancora famoso, ma in città lo conoscono, così lo invitano a salire sul palco e a cantare. Edoardo Bianco si ferma ad ascoltarlo, proprio in quei giorni nell’orchestra è venuto a mancare un cantante, quindi gli si avvicina e gli dice: 'Vieni con me in tournée in Olanda. Però devi venire subito, il treno parte tra poco'. Intanto mia madre è ancora al cinema, finisce di vedere il film, torna a casa e non trova il marito. Si reca con la suocera dai carabinieri e ne denuncia la scomparsa. Al mattino seguente, io sono ancora piccola, arriva a casa un telegramma di mio padre che dice: 'Sono in Olanda con l’orchestra di Edoardo Bianco'. Questo il debutto di mio padre, Carlo Moreno».
E questo è ciò che si dice un grande inizio, di cui mi fa dono la figlia di Carlo Moreno, uno dei primi divi della radio italiana. “Si svegliava all’alba per andare in radio a cantare in diretta perché non si registravano ancora le trasmissioni”, cantante di teatro di Rivista prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, voce maschile di Signorina grandi firme del Trio Lescano e una vita in tour fra Sud America, Russia, America, fino all’approdo al Dancing Arlekin, la sala da ballo da lui aperta a Jesolo nel 1958. Dina Moreno, 91 anni, mi racconta quest’epica familiare al telefono dalla sua camera a Casa Verdi di Milano. "Non posso offrirle neanche uno spritz", dice.
Dopo avermi raccontato il debutto del padre, mi racconta il suo, al teatro Antoniano di Bologna. "Nel ’53 era solo un cinema di parrocchia e fu proprio mio padre a proporre al vicario di trasformarlo in un teatro. Io cantai alla serata inaugurale. Mio padre mi disse 'Se fai successo canti ancora. Altrimenti, smetti'. Cantai Arrivederci Roma. Il pubblico mi chiese il bis e la cantai di nuovo, conoscevo solo quella. Facevo la ragioniera e mio padre, tornato da una tournée in Sud America, siccome non riusciva più a sostenere da solo una serata, mi portò a cantare con lui in tour in tutta Italia. Ricordo che ad una data ad Alberobello, in Puglia, il pullman delle ballerine dello spettacolo di Rivista, parcheggiato all’uscita del teatro, fu preso d’assalto dal pubblico. Gli uomini si arrampicavano sul tetto, sui finestrini, assetati di vederle ancora. Infatti la sera successiva le ballerine non fecero la passerella finale e andarono via prima della fine dello spettacolo. Dietro le quinte i musicisti si attaccavano a fiaschi di vino, si baciavano, si toccavano, ma che vuole, erano tutti lontani da casa, anche per più di un anno. Mia madre si vantava: 'Mio marito ha sempre avuto belle donne', diceva. Si dava importanza perché diceva che mio padre era stato anche con la bellissima attrice Abbe Lane, moglie del direttore d’orchestra Xavier Cugat".
Per questa rubrica mi racconta due canzoni precise: Estate di Bruno Martino e Luna marinara, uno dei successi paterni. "L’estate mi ha cambiato la vita, la canzone di Martino mi ricorda quando ho smesso di cantare nei locali, cosa che non mi piaceva, e mio padre ha aperto a Jesolo il Dancing Arlekin, così avevo un posto tutto mio dove cantare. Avevamo un impresario che ci segnalava le orchestre in giro per il mondo, io partivo, andavo a vederle e le portavo da noi". Il suo sogno non era quindi cantare ma smettere di cantare con il padre in giro per l’Italia. Ripenso a Claudio Giombi, che nella scorsa puntata di “Musiche per altri tempi” mi ha raccontato invece che il suo sogno di cantare al Metropolitan di New York coincideva con il sogno di conoscere il padre, scappato in America quando lui era piccolo.
"All’Harlekin conobbi mio marito, che era il commercialista del dancing. Ho fatto non la vita da artista, ma da signora. Alla fine della stagione estiva, ogni anno, ero sempre un po’ triste. E nel ’92 ho chiuso definitivamente senza neanche saperlo, mio marito aveva venduto il locale perché avevamo ricevuto minacce e avevano incendiato altri posti in zona. Me lo disse solo mesi dopo, in inverno. Ancora adesso quando vado a Jesolo, per molti sono ancora la signora dell’Harlekin".
Di Luna Marinara ricorda la genesi: il padre è a casa con un amico e accenna la melodia seduto al pianoforte, poi continua a comporla fischiandola, perché non sapeva suonare bene il piano. L’amico la continua al pianoforte. Sopra lo strumento sono appesi tre quadri raffiguranti dei boschi olandesi, dono di Guglielmina, regina dei Paesi Bassi. Più tardi, durante la guerra, i tre quadri verranno murati in casa insieme ad altri oggetti di valore da tenere al sicuro. "Al ritorno, scoprimmo che i tedeschi li avevano presi e buttati giù da una scarpata durante la fuga. Ma io ne ho recuperato uno, e conservo questo bosco sfregiato nella mia casa di Bologna".
Al ventesimo giorno di quarantena italiana scorro su YouTube le versioni di Luna Marinara, cantata da Claudio Villa (sia in versione studio che concerto, Claudio Villa, concerto all’italiana), da Carlo Buti (interprete nel 1935 di Faccetta nera), da Luciano Tajoli, (cantante e attore che, per via di una poliomielite, in scena si reggeva sempre a qualche elemento del set, in questo caso la scenografia di una terrazza con balaustra) e dall’autore, Carlo Moreno.
Di quest’ultima versione, trovo una registrazione audio edita dalla Fonit Cetra, con l’orchestrina Zeme, diretta da Carlo Zeme che nel 1954 morirà a Milano, nella camera di una pensione a causa delle esalazioni di una piccola stufa a gas. Il lungo incedere strumentale che introduce la voce - accompagnato dal fruscio di una puntina sul vinile - è un tappeto su cui far scivolare ricordi di un’Italia in cui noi non c’eravamo. “Luna marinara, l'amore è dolce se non si impara”, canta Carlo Moreno, “Se si dice ma... / Se la bocca ignara con l'altra bocca che l'è più cara baci non si dà”.
L’ultima domanda che ho posto a Dina Moreno è questa: in quale momento della giornata consiglia di ascoltare questa canzone? "La ascolterei alle undici del mattino. Fino alla scorsa settimana, dopo cena sistemavo una sedia vicino ad una delle finestre della mia camera, ne ho quattro bifore con l’affaccio su piazza Buonarroti. Mi sedevo lì e cantavo delle canzoni spagnole che mi piacciono molto. Le provavo per studiare me stessa, per vedere fino a dove arrivavo a prendere le note e ad avere fiato. In questi giorni non so, non ne ho voglia». Infine accenna alcuni versi di Andalusia, per poi congedarmi dicendomi: «Le auguro una buenas noches".
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L'articolo Dina Moreno e l'eredità di una "Luna Marinara" di Valerio Millefoglie è apparso su Rockit.it il 2020-04-02 08:59:00
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