Geolier ha tutto per diventare l'ennesimo rimpianto del rap italiano

Geolier è un fenomeno, dubbi non ce ne sono. Le conferme arrivano dal suo terzo disco, che suona molto bene e macinerà streaming, ma che viene "rovinato" da una tracklist monstre, dai soliti feat. inevitabili che nulla aggiungono e da una pretesa di nazionalpopolarità che mal gli si confà

Verrebbe voglia di fare come il grande giornalista Beppe Viola che, indignato per la bruttezza di un derby Milan-Inter del 1977, invece che commentare quello 0-0 soporifero ripropose nel suo servizio per la Rai le immagini di uno scoppiettante derby del 1963. Verrebbe voglia di commentare un altro disco, il disco che un fenomeno come Geolier poteva fare e invece, come tanti suoi colleghi meno bravi di lui, non ha fatto.

Intendiamoci, Dio lo sa, in uscita domani, è tutto tranne che "il peggior album di sempre", per riprendere la definizione che un buongustaio come Viola affibiò a quel derby. Anzi, è un ottimo disco se messo in rapporto con il livello medio della miriade di uscite che il rap italiano ci riserva ogni settimana. È solo che a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità, come diceva lo zio di Spider Man. O per lo meno grandi aspettative. Ed Emanuele detto Geolier ha dimostrato di avere dei poteri enormi, il talento più brillante (da ogni punto di vista) tra i liricisti della sua generazione.

A 24 anni compiuti da poco Geolier è già al terzo disco. Il primo, Emanuele, fatto che era appena maggiorenne, aveva fatto aveva fatto gridare UANM persino a quelli di Bolzano, il secondo, Il coraggio dei bambini, lo aveva portato in un altro campionato, ma conservava una qualità altissima, una visione. Condivisa, evidentemente, visto che l'album è stato certificato cinque volte platino e aveva conseguito il primo posto nella classifica degli album più ascoltati del 2023 in Italia su Spotify.

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Un artista bravo, innovativo, e allo stesso tempo "larghissimo", quasi nazionalpopolare (almeno a livello generazionale). Capace di rendere per tutti ciò che per tutti non è: il cantato in un'altra lingua (quella cosa del napoletano che non è un dialetto alla lunga dovrei aver imparato a maneggiarla). Si può dire che negli ultimi anni l'unico artista a non cantare italiano costantemente nelle chart FIMI è stato lui. Ma non è solo una questione linguistica, che pur riserva un'importanza capitale nella musica e nel rap in particolare: Geolier canta di amore e rioni, ha "contagiato" tutti con lo stile di vita napoletano, i suoi scenari urbani, la storia e la tradizione di un territorio in cui ogni sua canzone è perfettamente inserita nonostante la carica di contemporaneità fortissima. Non è il primo artista napoletano che diventa di tutti, ma è il primo che lo fa in una maniera così dirompente grazie agli strumenti del digitale.

Mi interessa molto il fenomeno Geolier, insomma, e ne subisco il fascino, almeno quanto trovo irrilevante una larga fetta di artisti rap italiani che pur spostano numeri spaventosi. E poi questa cosa della rivincita del "napolismo", in ogni campo (proprio in questi giorni è stata definita da una rivista specializzata come "la città dove si mangia meglio al mondo"), è una narrazione che mi trova assolutamente entusiasta.

Perché dunque quell'inizio caustico, perché chiamare in causa Beppe Viola (che per altro morì il 17 ottobre 1982 a 42 anni, per via di un ictus dopo Inter-Napoli)? Perché se Dio lo sa di Geolier, che domani sarà su tutte le piattaforme e sicuramente sfunnerà le piattaforme di streaming, è da un lato la conferma dell'unicità di questo artista, dall'altro non fa che ribadire che oggi alla legge della discografia non si scappa, soprattutto chi potrebbe permettersi di farlo.

Veniamo prima alle cose buone. La scrittura e il flow di Geolier, e dici poco. Soprattutto nelle parti rap che non mancano, ma anche in quelle più pop. C'è un'evoluzione senza sputtanamento, perché dalla strada si passa sempre più a parlare di relazioni e di "vita" (inteso come scelte, percorsidi crescita, sbagli). Era quasi un passaggio obbligato, sia per l'età sia per una forma di ossequio alla tradizione napoletana. Le produzioni, poi, alcune più riuscite e altre meno. Anche qua Geolier tiene il piede in un due sneakers. Perché se da un lato la maggior parte delle tracce sono curate da Dat Boi Dee e Poison Beatz, con lui sin dall'inizio, dall'altro spuntano qua e là nomi tra quelli che vediamo in quasi tutti i progetti grossi, ma grossi per davvero, del circuito. E l'amalgama si perde. Rimane il fatto che Per sempre, Presidente, 6 milioni di euro fa, Dio lo sa, Nu sent nu vec sono delle tracce di livello (indovinate con chi sono i feat. di questi pezzi? Nessuno). 

La cover del disco
La cover del disco

Ed ecco i "rimpianti". Le uniche cose che non funzionano di questo disco sono quelle per cui questo disco andrà molto bene, e che faranno sì che le stesse strategie continueranno a essere adottate da chi un giorno sogna di prenderne il posto in vetta alle chart. Se, come detto prima, da molti punti di vista (la questione linguistica anzitutto) Geolier aveva craccato il sistema, ora anche lui corre sulla ruota dell'algoritmo. Non era lecito ritenere non sarebbe successo, Emanuele non aveva mai dato segnali di voler giocare una partita diversa da questa, ma è sempre bello sperarlo.  

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Ma quali sono esattamente le "contestazioni"? Che è un disco pensato per fare un certo tipo di percorso, un'ascesa, e queste aspettative lo condizionano. E lo peggiorano. I'p me tu 'p te è probabilmente il brano meno a fuoco di tutto il disco, dissonante rispetto agli altri, quasi decontestualizzato. Se un tempo c'era la pratica (deteriore) di cercare il singolone e buttarlo dentro a tutti i costi in una raccolta di brani che magari guardava altrove. Il pezzo per Sanremo è un'ulteriore deriva, perché (per quanto le cose siano cambiate) impone agli artisti, per esserci e performare su quel palco, di seguire determinati canoni, da cui è davvero difficile svicolare. Quel brano è in linea con il "rap" che va in radio negli ultimi due anni, e se la produzione di Geolier non è granché coerente fa nulla. 

C'è un problema di "troppismo". Ok, a Geolier piacciono i dischi monstre, e questo potrebbe anche essere una cosa figa, un gesto anticiclico. Ma non lo è: il ragazzo è consapevole del proprio consenso e lo capitalizza con 21 tracce che registreranno tutte numeri importanti e lo faranno schizzare su. Ok, ma la qualità? La definizione "zero filler, solo killer" non è proprio applicabile al prodotto. 

E poi c'è la questione feat. contenuti nel disco. Sono questi: Lazza, Sfera Ebbasta, Shiva, Guè, Luchè, Yung Snapp, MV Killa, Lele Blade, Ultimo e la star argentina Maria Becerra. Ecco, a parte Lazza, che in combo con Geolier (e non solo con lui) funziona molto bene, e in parte Luché, questi pezzi sono sistematicamente i punti bassi del disco. Sono quelli che portano fuori strada (quella del "country", della hit latina, etc.) quelli che allargano, e quelli in cui Geolier più di una volta rischia di snaturarsi. 

Quello con Shiva è debole, Sfera e Gué ormai hanno una modalità che inseriscono in automatico per quasi tutti i feat. e questo si sente (la strofa di Gué nel ruolo del capo dello swag ormai è una certezza dei dischi rap e non solo). Il brano con Ultimo è una tremenda concessione al pop, quello con Maria Becerra il tentativo di internazionalizzazione di cui avremmo volentieri fatto a meno. 

Non c'è nulla di male, o forse sì. Perché quando si ha qualcosa da dire e da dare, dire e dare quello che ti chiedono gli altri è peccato mortale. Il fatto che Dio lo sa rimanga un disco che si ascolta volentieri nonostante l'occasione persa di non fare quello che fanno tutti è la conferma che Geolier è di un'altra pasta. Speriamo non scuocia. 

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L'articolo Geolier ha tutto per diventare l'ennesimo rimpianto del rap italiano di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-06-06 10:11:00

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