La rivoluzione ci ha delusi: la storia di “Disoccupate le strade dai sogni” di Claudio Lolli

“Disoccupate le strade dai sogni” sarà un album profetico, in grado di prevedere la sconfitta di una generazione. Vi raccontiamo la storia del capolavoro di Claudio Lolli

“Disoccupate le strade dai sogni” esce nel settembre del 1977. Claudio Lolli è reduce da “Ho visto anche degli zingari felici”, pubblicato l’anno precedente: un disco – contrariamente ai suoi predecessori – arioso e policromo, portatore sano di gioia e rivoluzione. Un album politico, accolto con entusiasmo dall’arcipelago del Movimento Studentesco e dai gruppi della sinistra extraparlamentare, dei quali Lolli diventa il cantore. Un rapporto quasi osmotico: il musicista bolognese assurge a ruolo di feticcio della piazza, è l’ospite d’onore delle manifestazioni, il punto di riferimento ogniqualvolta si rende necessario raccogliere fondi per Radio Alice (l’emittente vicina all’ala creativa del Movimento) o per un compagno sbattuto in galera. Rispondere no agli inviti dei Festival dell’Unità e a una liturgia ormai logora è una conseguenza logica, una scelta coerente, atta a sottolineare la spaccatura insanabile tra il PCI, sempre più convinto della necessità del compromesso storico con la Democrazia Cristiana, e la sia pur frammentata sinistra rivoluzionaria.

Se “Ho visto anche degli zingari felici” è frizzante e vivace, “Disoccupate le strade dai sogni” suona freddo e plumbeo, come il cielo di Bologna nei giorni di marzo ’77. Lolli arriva all’appuntamento con il nuovo lavoro sulla scorta di una decisione sorprendente: dopo cinque anni, il rapporto con la Emi si interrompe. «Il contratto con la Emi era scaduto» – ricorda tra le pagine di “Claudio Lolli”, a cura di Piero Cannizzaro, Lato Side, 1982 – «e io avevo la curiosità di cambiare ambiente. Volevo trovare una maggiore partecipazione, una maggiore consonanza tra le mie idee e quelle del discografico (…). Cercavo un ambiente più simpatico, più vicino a me (…), volevo essere più dentro al tutto». La nuova destinazione è “L’Ultima Spiaggia”, fondata da Nanni Ricordi e Ricky Gianco nel 1974, etichetta dotata di un catalogo ricco di giovani promesse come Ivan Cattaneo, di cantautori non allineati, leggasi Gianfranco Manfredi o in cerca di rilancio, tipo Enzo Jannacci. Lolli ha le idee chiare: vuole un disco al passo coi tempi, al passo di quel ’77 caotico. “Disoccupate le strade dai sogni” sarà un album profetico, in grado di prevedere la sconfitta di una generazione.

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Le canzoni finite all’interno del quinto vinile firmato Claudio Lolli sono quasi tutte scritte prima del marzo 1977. Addirittura un paio di esse (“Autobiografia industriale”, una ironica disamina dei giorni passati in Emi, e “Canzone scritta su un muro”) risalgono ai tempi del disco degli zingari.
Stringato ma necessario riassunto degli avvenimenti di quel fine inverno: l’11 marzo, all’Istituto di Anatomia Umana di Bologna, Comunione e Liberazione indice un’assemblea, un pugno di attivisti del Movimento Studentesco tenta di parteciparvi. Ne nasce una rissa, intervengono le forze dell’ordine mentre un nutrito gruppo di studenti si organizza per contestare i colleghi di CL. La tensione è altissima, volano bombe molotov, un poliziotto spara, Francesco Lorusso, 24 anni, iscritto a Medicina, militante di Lotta Continua, è ferito a morte. Seguono scontri violenti, saccheggi, il giorno dopo la Polizia irrompe negli studi di Radio Alice, il 13 il ministro dell’interno Francesco Cossiga chiude la pratica spedendo sotto le due Torri i carri armati. Un’aria pesante, che rivivrà tra i solchi di “Disoccupate le strade dei sogni”.

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Lolli entra in sala di registrazione in maggio assieme ai musicisti che lo accompagnano in tour, quelli della cooperativa bolognese “La Cicala”: Piergiorgio Bonafè ai fiati, Marcello Castellana alle tastiere, Roberto Costa a basso e trombone, Bruno Mariani alle chitarre, Adriano Pedini alla batteria, ai quali lascia massima libertà di azione. «Claudio ci ha lasciato campo libero. Il suo gruppo di allora – e io in particolare – aveva l’urgenza di mischiare il linguaggio poetico cantautorale con sonorità molto più raffinate e ardite» (Bruno Mariani in “È vero che il giorno sapeva di sporco”, Mario Bonanno, Stampa Alternativa, 2017).

Il suono di “Disoccupate le strade dei sogni” è apocalittico, cupo, percorso da innesti jazz e free jazz, se non prog. Ma con dei distinguo: «Capisci (…) che l’importante non è scrivere cinque strofe in corrispondenza dal punto di vista metrico, ritmico e strutturale, ma può essere molto diverso, molto più libero (…). Il materiale era un po’ sulla scia degli Zingari felici, la prima facciata è una specie di suite, mi piaceva molto questa idea di andare oltre la forma canzone. La seconda parte, invece, pesca qua e là. Per me il disco è la prima facciata, quelle prime quattro canzoni (…). Tutto era così agitato che abbiamo scelto una musica anch’essa agitata, non canonica» (Claudio Lolli in “È vero che il giorno sapeva di sporco”, op. cit.). Il lato A rappresenta al meglio il clima di una città da fine del mondo: «(Le canzoni) non raccontano esattamente quello che succedeva in quel gran casino che era Bologna nel ’77, però risentono di quell’atmosfera lì.».

Cominciamo dall’artwork della copertina: grattacieli sullo sfondo, un “Cristo pagliaccio” (personificato da Roberto Manfredi, fratello del già menzionato Gianfranco, allora impiegato dell’Ultima Spiaggia), con una falce tra le mani e un sorriso beffardo ad attraversarne lo sguardo, lo stesso sorriso di quel potere che decide il corso della nostra vita, che la massifica oliandone l’ingranaggio. “Alba meccanica”, l’apertura del 33 giri, non lascia speranze, il nostro percorso è già disegnato, non importa quante albe nascano ogni santo giorno: sono tutte uguali e conviene sopportare la loro meccanicità.

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Mentre la band di Lolli comincia a disegnare scenari angoscianti e pieni di tensione. Ribaditi in “Incubo numero zero”, il pezzo centrale del disco, quello che profetizza gli scenari del ’77. È la canzone della disillusione, della perdita dell’innocenza, della restaurazione. “Disoccupate le strade dai sogni, sono ingombranti, inutili, vivi. I topi e i rifiuti siano tratti in arresto, decentreremo il formaggio e gli archivi. Disoccupate le strade dai sogni per contenerli in un modo migliore, possiamo fornirvi fotocopie d’assegno, un portamonete, un falso diploma, una ventiquattrore”. E ancora: “Disoccupate le strade dai sogni e regalateci le vostre parole, che non vi si scopra nascosti a fare l’amore, i criminali siano illuminati dal sole”. Nessuno spazio per la devianza o l’immaginazione, la socialdemocrazia, ci vuole in fila per tre, ordinati e puliti. Un incubo nel corso del quale è evocata Ulrike Meinhof, la giornalista e rivoluzionaria (nonché terrorista) tedesca, “suicidata” nel carcere di Stoccarda nel 1976: una presenza inquietante. In sottofondo, sembra quasi di ascoltare il rumore dei blindati che invadono Bologna, delle manette, dei sogni che si spezzano.
Come annota Jonathan Giustini in “Claudio Lolli. La terra, la luna e l’abbondanza” (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2003), «Nessun desiderio frutto di un lavoro culturale collettivo deve più ingombrare le strade: la vita non è fatta per essere vissuta sulla base di regole di civiltà e dignità». L’incubo prosegue con “La socialdemocrazia”, marcetta ironica che sembra voler sbeffeggiare la sinistra tradizionale, quel “mostro senza testa” rassicurante e al tempo stesso pericoloso (“la socialdemocrazia è quel nano che ti arresta”), e poi con “Analfabetizzazione”, ovvero il bisogno di ridefinire le dinamiche interiori partendo dal significato delle parole. E se “Attenzione” è un grido lanciato a tutti i compagni per esortarli e rimettersi al centro di una situazione che sta sfuggendo di mano (e anche in questo caso, c’è un aggancio a quel che succederà al Movimento da lì a poco), “Canzone dell’amore o della precarietà”, la chiusura del primo lato, è la storia di un rapporto vissuto sull’insicurezza del domani, fotografia di tempi anch’essi incerti, sospesi.

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Il lato B di “Disoccupate le strade dai sogni”, come accennato poco sopra, è più che altro un contenitore di canzoni. Belle, ma senza un vero e proprio filo conduttore, e con una band che si fa meno invasiva. Già detto della delicata “Canzone scritta sul muro” e di “Autobiografia industriale”, il passo successivo è “Da zero e dintorni”, dedicata a un’amica sull’orlo di un abisso. Ma nel finale Lolli riprende in mano la situazione: “I giornali di marzo”, l’unico pezzo scritto dopo i fatti di marzo, rappresenta una sorta di esperimento poetico-linguistico. A parte gli ultimi quattro versi, il testo è un Blob degli articoli del Resto del Carlino e La Repubblica usciti l’11 e il 12 marzo 1977, un patchwork dagli effetti a tratti esilaranti: “Un bottegaio a guardia della sua bottega, guardati con rabbia da un capannello di persone, ho l’orlo del pantalone perforato, grida, m’ha salvato lo scarpone”. “Disoccupate le strade dai sogni” si chiude così, riavvolgendo i fili, tornando nel punto dal quale si era partiti.

Il disco avrà un’accoglienza tiepida, o perlomeno meno calorosa di quella ricevuta da “Ho visto anche degli zingari felici”. Forse per la rappresentazione poco o per nulla consolatoria di un’epoca giunta verso il tramonto. Lo stesso Claudio Lolli si staccherà piano piano dal Movimento, o meglio, dai Movimenti, a un certo punto si sentirà addirittura inadeguato. Eccolo ricordare i tre giorni del “Convegno sulla repressione”, organizzato a Bologna nel settembre del ’77 «Una sera, mi ricordo, suonò un gruppo che si chiamava “Centro d’Urlo Metropolitano”, da dove, se non sbaglio, sono venuti fuori gli Skiantos e i Gaznevada. Una situazione direi emblematica, ci siamo ritrovati a suonare con il referente comune di appartenere al movimento, ma io – come espressione musicale – rappresentavo il passato, loro il futuro». (“È vero che il giorno sapeva di sporco”, op. cit.). Lolli continua a registrare dischi e a suonare ovunque gliene venga offerta la possibilità: le canzoni di “Disoccupate le strade dai sogni” sono ancora parte del suo repertorio live, sintomo di come e quanto questo album abbia segnato il suo immaginario e quello di una generazione che ha preferito inseguire, e sognare, l’utopia di una rivoluzione sconfitta prima ancora di partire.

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L'articolo La rivoluzione ci ha delusi: la storia di “Disoccupate le strade dai sogni” di Claudio Lolli di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2017-09-19 09:22:00

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