Pasolini il pazzo, il cane senza padrone, il cronista delle borgate. Pasolini nato a Bologna il 5 marzo del 1922 e morto ammazzato nella notte tra l'1 e il 2 novembre del 1975 all'Idroscalo di Ostia. Pier Paolo Pasolini, il regista che nel '60, quando con Accattone esordì dietro la macchina da presa, disse: “Il cinema ha avuto più influenza sul mio gusto, e sul mio stile che il contemporaneo apprendistato letterario... Una specie di rabbioso capriccio, il desiderio di vedere realizzati i fatti, persone e scene, proprio come io, scrivendo, li vedo”. Pasolini poeta, e di poeti non ce ne sono tanti al mondo, come ricordò intenso Moravia ai funerali, capace di trasferire il proprio lettore nei luoghi declamati, come in Terra di lavoro da Le ceneri di Gramsci.
Pasolini e l'omosessualità vissuta ora come gioia, ora come condanna, i ragazzi di vita, le denunce per atti osceni in luogo pubblico, le censure, le accuse per vilipendio alla Religione di Stato. “Son stato processato per aver rapinato duemila lire, nascosto sotto un cappello nero, le mani infilate in guanti naturalmente neri e con la pistola caricata con delle pallottole d'oro”. Pasolini contro. Contro perfino i rivoluzionari-borghesi di Valle Giulia, nel 1968. Pasolini da cento anni diverso, saggio e disperato. Petrolio per bruciare i luoghi comuni, persino a casa propria. Pasolini espulso dal Partito Comunista Italiano per indegnità morale e politica, come inizia Pasolini, concerto disegnato dei Tre Allegri Ragazzi Morti, in scena per tutta la penisola fino a dicembre.
Pasolini sospeso dall'insegnamento e divenuto maestro - per essere mangiato. “Perché realizzare un'opera quand'è così bello sognarla soltanto?” dice Giotto ne Il Decameron, film del '71 diretto (anche questo) da Pasolini, eppure è vero che l'artista è anche costretto dalle scelte della vita, dalle spinte interne, dalla bramosia di conoscere e divulgare, a produrre, ad offrire in pasto ai critici e al pubblico opere. E che vi piaccia o meno, da oltre trent'anni i TARM sono a tutti gli effetti artisti e divulgatori. Con un vocabolario musicale colto (fatto di Ride, Lee 'Scratch' Perry, Mike Kinsella e altri) a cui mescolano un approccio colloquiale, Davide Toffolo, Enrico Molteni e Luca Masseroni fanno incontrare da sempre gergo e filologia.
Questa è la grande lezione di tutta la loro produzione, penso: a Dimmi, cover degli Smiths che accompagna dai tempi di Mostri e normali (1999, Ricordi) o, vent'anni dopo, al titolo Sindacato dei sogni (2019, La Tempesta) che s'innesta su palese rimando ai Dream Syndicate, oppure alla cover degli Art Brut ne La seconda rivoluzione sessuale (2007, La Tempesta), o allo swing con la Abbey Town Jazz Orchestra nel 2015, o ancora alla luce combat-folk de La tatuata bella. Non stupisce quindi questo slittamento pasoliniano. Tanto più che la realtà dei miseri, degli emarginati, la realtà dei non omologati è, per azzardo, comune tratto di entrambi.
Così come affermare che Pasolini, nella sua vita e nell'arte, aveva una visione poetica del morire proprio come i Tre Allegri Ragazzi Morti (fin dal nome scelto) potrà sicuramente sembrare un azzardo, ma oramai ho gettato il dato e tant'è. Mi riferisco alla morte vissuta con poetica sacralità di Stracci in La ricotta, il ladrone che perde la vita per aver soddisfatto la sua fame di povero con troppa ricotta, ma pure alla morte del protagonista di Mamma Roma, che va incontro a una fine tra mito e bisogno. Lo stesso si dica per la morte liberatoria di Accattone o per l'unica morte dignitosa di Salò, quella del giovane soldato che, sorpreso a fare l'amore con la serva, viene punito con la pena capitale.
Ora, se avete già letto qualche mio articolo, saprete che sono di Ostia, quindi con Pasolini, le sue idee, la sua opera e il suo tragico epilogo posso dire di avere convissuto dall'adolescenza. Lo spettacolo al Teatro del Parco di Mestre era quindi incominciato da due minuti e già avevo in mente tutti i filmati da cui gli audio estratti per lo spettacolo stesso, poi però, tornando a casa, ho pensato che Pier Paolo Pasolini non è affatto così “scontato”, specie per chi vive a Mestre, o a Montebelluna, o a Pinerolo. Davide annuisce ma precisa: “Beh, per noi in Friuli occidentale Pasolini è molto presente. Sai che è sepolto a Casarsa e che ha scritto in friulano. Che si riteneva anche friulano. Quando fu ucciso la notizia entrò in tutte le case. Il suo fantasma non ha trovato pace forse fino a oggi. Questo anno di commemorazione per il centenario della nascita è stato davvero incredibile. Una specie di abbraccio collettivo”.
Tutto lo spettacolo rimanda a un corpus articolato di graphic novel che già comprende Pasolini (Coconino Press, 2005 poi Rizzoli dal 2011) e ancor prima Intervista a Pasolini (Biblioteca dell'immagine, 2002 poi Coconino Press 2005), più una serie di tavole. Tuttavia lo stesso spettacolo è autonomo rispetto e allo stesso tempo gli deve immagini e parole. “Lo spettacolo è una biografia ellittica", come mi dice Davide stesso, "Il fumetto è più complesso. È una specie di meta-fumetto sulla parola. Poi quello in scena è davvero Pier Paolo Pasolini, quello del fumetto un mitomane”. Chi vedrà la messa in scena, capirà.
Tutto inizia e sembra avere un taglio biografico, oserei dir scolastico, ma subito si capisce che no, non lo ha, è piuttosto una vera e propria personale selezione della vita e dell'opera, quindi con più o meno palesi mancanze e altrettante rimarcature di dettagli di secondo o terzo piano. Viene da chiedersi se tutti gli spettacoli saranno così o varieranno le citazioni di spettacolo in spettacolo. “Voglio mettere in scena la dimensione didattica di Pasolini e Uccellacci e uccellini mi aiuta", sintetizza criptico chi potrebbe aiutarmi. "Poi mi interessa dar voce alla parte comica che spesso vien sacrificata rispetto a quella tragica che in qualche modo contiene”.
Del resto, quando chiedo a Davide se pensa a Pasolini, qual è il primo film o il primo libro o quale cosa a cui lo associa, Davide risponde: “Per me Pasolini è principalmente il suono della sua voce. E il bianco e nero de La ricotta”, che lascia intendere quanto di espresso e al contempo inespresso c'è in questa opera, come giusto che sia, per non appesantirlo di completismo e quindi pedanteria. Per quanto mi riguarda, e al netto della linea comica detta, ho trovato la messa in scena molto politica. Non dico troppo, ma molto sì. Pure perché so Pasolini essere stato altro, molto altro, oltre che spirito critico e contestatore.
Anzi, ho sempre considerato che, spesso, per farne uno scomodo personaggio politico si è finito per lederne la figura di artista e di poeta che potrebbe essere amato anche da chi della sua ideologia non gliene frega nulla. Davide però mi corregge: “Non credo sia troppo politica”, e mi invita a riflettere: “Penso sia più filosofica ed esistenziale che politica. Ci sono riflessioni sulla sua realtà che ancora rimbalzano sulla nostra. Se parla di comunismo, borghesia e capitalismo è perché era il ragionamento del suo contesto. E io non posso escluderlo dal ragionamento”. Allora mi pare abbia ragione, soprattutto se rifletto che col farne un artista “non conforme” scisso al contesto i fascisti di Casapound hanno già provato a più riprese di appropriarsene - e questo non è di certo un bene, forse meglio politicizzarlo anzichenò ed evitare così del pericoloso revisionismo.
Tornando a noi, il tutto è accompagnato, naturalmente dal vivo, da Enrico, Luca e Andrea Maglia (“Le musiche sono tutte del nostro repertorio tranne una rivisitazione di un brano di Morricone, Tutto il mio folle amore”) in cui i TARM, che non sono di certo né un gruppo ambient né post-rock (“I TARM fanno i TARM!”), si approcciano a questa inedita veste di compositori ed esecutori strumentali con gusto e concretezza: Enrico si diletta tra basso e seconda chitarra con pertinenza, Andrea fa da collante con le immagini e Luca sostiene tutto con il suo drumming primitivo e di pancia. L'unica canzone del repertorio inserita all'interno della rappresentazione è una commovente La ballata delle ossa, che Davide canta solo accompagnato dalla sua chitarra. “Non saprei dire se è una canzone pasoliniana. Certo nella drammatizzazione del concerto arriva contestualizzata e aiuta a capire il passaggio dalla morte al recupero del ricordo”.
Vale quindi per osmosi, e come trattino di unione in uno spettacolo che poi risulta bipartito: una prima parte per Pasolini che, messi da parte i disegnini (“Non li do e me li chiedono. Mi risulta difficile staccarmi dai disegni. Vedremo più in la se mi libero di questa cosa!”), sfocia in una seconda all'insegna del (citando) “facciamoci una cantata”. Apprezzabile e, ancora di più, comprensibile, anche se viene (s)oggettivamente da chiedersi se sia veramente così difficile per una band che oramai esiste da trent'anni staccarsi da sé stessa con un pubblico alla fine accolto per vedere altro. Io non avrei trovato nulla di male o di strano se lo spettacolo fosse durato 15 minuti in più e la cantata di meno. Per dire. “Serve più a me che devo sgranchirmi dopo tutta quella concentrazione. Forse hai ragione. Lo metto ai voti col gruppo”. Chi andrà, ci faccia sapere.
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L'articolo Diversamente saggio, irrimediabilmente disperato: Pasolini secondo i Tre Allegri Ragazzi Morti di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-11-22 09:30:00
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