È un titolo semplice Oro blu. Due parole di tre lettere dal fortissimo potere evocativo, un'espressione borsistica – è così che l'acqua viene definita nel gergo dei mercati finanziari – che Bresh prende come esempio di quanto anche le cose più importanti, anche quelle necessità che tendiamo a dare per scontato, hanno un prezzo. Ma quello che colpisce, a farci caso, è come sembri esserci una linea diretta tra questo disco e altri due album, usciti lo scorso anno, distanti ma neanche troppo dalla rinnovata immagine del rapper genovese: Oceano paradiso di Chiello e Blu celeste di Blanco.
Al di là della differenza anagrafica – anche se pure Bresh è stato precocissimo nel suo rapporto con la musica, debuttando col primo mixtape da 16enne nel 2012 –, è interessante notare come pure Bresh parta da un immaginario acquatico per raccontare la sua conversione pop, se così vogliamo chiamarla. Perché se Chiello arrivava dal delirio della FSK per mostrare il suo animo sensibile e Blanco ha messo il suo canto sguaiato al servizio di un pop intimo e dolce, Bresh smorza la sua trap con suoni più morbidi, abbracciando definitivamente la melodia – già parte imprescindibile del suo sound – e allargando così la platea senza perdere sé stesso. E lui, che col mare di Genova ci è cresciuto, apre il suo disco partendo proprio dall'immagine di un Ulisse che attraversa il Mediterraneo, lontano da Itaca, per descrivere uno smarrimento che può essere sentimentale, umano, personale, ma non artistico.
La rotta, anzi, sembra essere ben tracciata, complice la guida di Shune, fin dall'inizio figura fondamentale nel percorso del rapper e qua capace di dare una ventata di freschezza a tutto il disco: giusto nel terzo brano del disco, Parli di me, compare il feat. di Rkomi – comparso anche nel primo album di Bresh, Che io mi aiuti –, che appena l'anno scorso ha dato con Taxi Driver la sua svolta definitiva verso il pop: in entrambi i casi si vede la necessità di scrollarsi di dosso un'etichetta prima che finisca per rimanere troppo appiccicata in fronte. Come per Rkomi, Bresh mostra l'urgenza di avere un suono plasmabile all'occorrenza, di trovarsi a suo agio anche in un contesto che lo porti fuori dalla sua comfort zone, o quanto meno gli faccia mettere un passo fuori dalla realtà in cui lo si confinava.
In realtà, non che si allontani poi così tanto da quello che ha sempre fatto. L'hip hop è lì, saldo alle radici, così come una spiccata vena cantautorale, si tratta solo di dargli una veste nuova, più catchy ma non per questo meno conscious, per usare due inglesismi tanto orribili quanto comuni. Rimane la ruvidezza di brani come Se rinasco, dove alle crude barre di Massimo Pericolo risponde con versi apertamente politici e una condanna a sé stessi senza possibilità di redenzione – "Vorrei rinascere mio padre per non far nascere me" –, ma è in contrasti come la hit Angelina Jolie, trascinatore del disco e già da un anno in classifica, e la dura autobiografia di Andrea, altro singolo che aveva anticipato il disco, che si sintetizzano le due anime di questo Bresh.
A contribuire a variegare le sue declinazioni ci sono feat ragionatissimi, dalla zarraggine di Tony Effe in Fottiti alla delicatezza di Francesca Michielin nell'ultima traccia del disco, La presa B e la presa male. Rimane una mossa un po' paracula per solleticare l'algoritmo di Spotify, ma va riconosciuta una certa coerenza, riesce comunque tutto a funzionare nell'immagine che il rapper si è costruito fino a questo momento e che adesso ha la possibilità di arrivare davvero alle orecchie di tutti. Anche se filtrata da quell'autotune che fa storcere il naso a molti, la voce di Bresh si sta prendendo uno spazio importante. E che segna, una volta di più, la grande trasformazione del rap nel vero pop contemporaneo.
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L'articolo È arrivato Bresh di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2022-03-04 13:48:00
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