Non sarà New Orleans, che proprio in queste ore teme di dover fronteggiare l'ennesima iradiddio dal cielo, ma ultimamente anche a Milano quando il meteo riporta un triangolino con il punto esclamativo dentro, non c'è da stare particolarmente sereni. Le previsioni per la serata sono le peggiori possibili. E non è semplice sfiduciarle, visto che alle 19.30 non si sono mosse di un centimetro: alle 20 inizierà a piovere, alle 21 un temporale bello incazzato.
Tempistica impeccabile per questo live, in un posto, l'Idroscalo, in cui molti di noi non hanno abbastanza dita per contare le volte che ci siamo trovati sotto un diluvio (magari in motorino, sorry per l'autobiografia. Poco dopo le 20 dovrebbe iniziare l'opening - e che opening! -, poco dopo le 21 un concerto attesissimo, la prima volta in Italia del signor Thebe Neruda Kgositsile aka Earl Sweatshirt. Ma a volte, anzi sempre, crederci paga. E alla fine, nonostante 3bMeteo, i tuoni dell'ora di cena e nuvoloni belli determinati, nemmeno una goccia cadde dal cielo. Bello, a volte, scularla così.
Sono stati in tanti a non credere ai profeti digitali di sventura, e godersi così un appuntamento con la storia del rap, ordito in occasione della terza data (dopo Unknown Mortal Orchestra e Subsonica & Friends) di Cuori Impavidi, la rassegna organizzata da MI AMI Festival e Circolo Magnolia. Una serata che conferma una volta di più come il rap in Italia abbia cambiato passo definitivamente, non solo quello italiano, non solo quello da classifica, non solo i nomi più "immediati". Tutto un movimento, con le sueavanguardie. Che oggi, in una città come Milano, hanno un pubblico appassionato al punto da sfidare una presunta apocalisse.
La serata hale dimensioni del culto. Ma è una roba da politeisti. Prima dell'artista di Los Angeles ma nato a Chicago tocca a un collega nato in provincia di Agrigento ma cresciuto in Germania, che con la parabola di Earl ha molti tratti in comune. Atipico da ogni punto di vista, fino al limite dell'indecifrabilità. Pufuleti - che per altro all'ultimo MI AMI aveva già affrontato l'inclemenza del cielo durante la prima serata del festival - si è fatto conoscere in questi anni per il suo flow e un timbro vocale fuori da ogni canone, quel suo talento estremo nel "rivisitare" la lingua italiana, un approccio sgangherato eppure stilosissimo, il suo gusto per il surrealismo e per la citazione che non ti aspetti. Sul palco è magnetico, e anche etilico, come dimostra la bottiglia di Ribolla con cui si accompagna. Fomenta il pubblico con le sue canzoni, essere underground oggi, in un genere che è diventato egemone fino a snaturarsi, significa avere un progetto come il suo. La gente apprezza, noi pure.
A riempire i vuoti e scacciare la pioggia arriva il sound di Black Noi$e, dj e producer di Detroit che si mette ai piatti e prosegue nel mood di una serata in cui i beat sono ora dilatati e ora più aggressivi, quel cielo grigio pare messo lì apposta. Poi sale sul palco Earl Switshirt ed è il boato. E i telefonini tutti su. Sotto il palco molti ragazzi giovani e giovanissimi, ma anche parecchi volti noti del rap italiano. Anche l'old school di casa nostra dimostra di apprezzare questa nuova onda nata nel 2009 in California.
Earl Switshirt, per chi non lo conoscesse, è stato con Tyler, the Creator e Frank Ocean (in un secondo momento) il nome più noto di Odd Future, collettivo di artisti e creativi che ha segnato un prima e un dopo nell'hip hop americano. La sua parabola è stata incredibile, come la sua biografia. Figlio di una professoressa universitaria e di un poeta e attivista sudafricano, ha sempre avuto un talento sconfinato per la scrittura e l'arte. Ha però avuto sin da giovane problemi di droga, è stato "spedito" a vivere a Samoa, poi è tornato negli Stati Uniti. Ha fatto il botto con un disco che si chiama Doris, che vi dovete andare subito ad ascoltare. Poi ha lavorato a mille altri progetti, ogni tanto è sparito e poi è tornato. Da poco ha detto che in futuro si vede in una fattoria più che su un palco (tutte queste cose sono raccontate con molto meno pressapochismo nell'ultima puntata della newsletter Paper Boi, in "allegato" a quella di MI AMI: qua per leggerla).
La faccia sorridente e mooolto rilassata, i pugni sempre al cielo ad autogasarsi (ma con moderazione, il personaggio non è che si lasci andare a facili entusiasmi). Tra i capelli un fermaglio molto black (i dread con cui tutti pensano a lui non ci sono più da alcuni mesi), la maglietta dei Tribe Called Quest. La voce può sembrare diversa, meno profonda rispetto a quella che si sente nei dischi, compreso l'ultimo Voir Dire, del 2023. Eppure lo stile è inconfondibile, quel modo in cui, ora come dei proclami e ora come flussi di coscienza, la sua voce si fonde con i beat.
Il pubblico urla per i pochissimi minuti di Doris presenti nell'ora e mezza del suo live, così come per la sua sincera riconoscenza, espressa più volte sul palco per questa prima volta in Italia, più di dieci anni dopo l'inizio di una carriera in cui ha sempre fatto le cose a modo proprio. Ma anche gli inediti e non sono pochi riscuotono grande successo, è la performance tutta ad essere di un livello altissimo, grazie anche a una figura e a un modo di stare sul palco magnetici. Quando tutto è finito, dopo un rapido bis, la gente rimane a parlare di quel che ha sentito. Non saranno i numeri di Travis Scott o Kanye West (nemmeno i loro, però, erano "scontati" in Italia fino a poco fa), ma una serata così fino a poco tempo fa non sarebbe stata possibile. E magari avrebbe pure piovuto.
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L'articolo Earl Sweatshirt scaccia pure le nuvole di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-09-12 10:20:00
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