Elisa e De Gregori, la Poetessa e il Principe. A 17 anni dall'ultimo duetto (con Fiorella Mannoia) De Gregori presta la sua voce al testo e alla musica scritti da qualcun'altra: Elisa Toffoli. Un brano autobiografico che guarda indietro agli oltre 20 anni di carriera della cantante friulana. Potrete ascoltarlo da venerdì 14 settembre, ma oggi vi presentiamo il testo in anteprima con il commento di Carlo Pastore.
ELISA ft. FRANCESCO DE GREGORI
QUELLI CHE RESTANO
DE GREGORI
È che mi chiedevo se la più grande fatica è riuscire a non far niente
A lasciare tutto com’è fare quello che ti viene e non andare dietro la gente
È che mi perdevo dietro a chissà quale magia quale grande canzone in un cumulo di pietre
Sassi più o meno preziosi e qualche ricordo importante che si sente sempre
ELISA
È che mi lasciavo trascinare in giro dalla tristezza quella che ti frega e ti prende le gambe
Che ti punta i piedi in quella direzione opposta così lontana dal presente
Ma noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano
E gli occhiali li tolgono e con l’acceleratore fino in fondo le vite che sfrecciano
DE GREGORI
E vai e vai che presto i giorni si allungano e avremo sogni come fari
Avremo gli occhi vigili e attenti e selvatici degli animali
ELISA
È che mi voltavo a guardare indietro e indietro ormai per me non c’era niente
Avevo capito le regole del gioco e ne volevo un altro uno da prendere più seriamente
DE GREGORI
È che mi perdevo dietro chissà quale follia quale grande intuizione tra piatti sporchi e faccende
Tra occhi più o meno distanti e qualche ricordo importante che si sente sempre
Ma noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano
E gli occhiali li tolgono e con l’acceleratore fino in fondo le vite che sfrecciano
E vai e vai che presto i giorni si allungano e avremo sogni come fari
Avremo gli occhi vigili e attenti e selvatici degli animali
E più di una volta e più di un pensiero è stato così brutto da non dirlo a nessuno
ELISA
Più di una volta sei andato avanti dritto dritto sparato contro un muro
Ma ti sei fatto ancora più male aspettando qualcuno
INSIEME
Ma ti sei fatto ancora più male aspettando qualcuno
Siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano
E gli occhiali li perdono e sulle autostrade così belle le vite che sfrecciano
E vai e vai che presto i giorni si allungano e avremo sogni come fari
Avremo gli occhi vigili e attenti e selvatici e selvatici selvatici
Siamo quelli che guardano una precisa stella in mezzo a milioni
Quelli che di notte luci spente e finestre chiuse non se ne vanno da sotto i portoni
Quelli che anche voi chissà quante volte ci avete preso per dei coglioni
Ma quanto siete stanchi e senza neanche una voglia
Siamo noi quei pazzi che venite a cercare
Quei pazzi che venite a cercare
Quei pazzi che venite a cercare
Quei pazzi che venite a cercare
Eccolo arrivare, il Principe. In quel teatro di Roma dove tutto è quieto il suo ingresso scuote l'aria. Cammina tre passi. Si ferma. Si toglie gli occhiali da sole (ma non il berretto), e con il tono di chi vuole far sapere d'essere arrivato chiede: dov'è la Poetessa? L'amore riempie la stanza. Segue un lungo abbraccio, di quelli che solo i musicisti sanno fare, con le schiene che diventano tastiere e le vene corde di chitarra. Qualcosa di importante sta per succedere.
Il Principe è in realtà Francesco De Gregori. La Poetessa, invece, è Elisa Toffoli. Sono in studio a registrare quella che diventerà la prima canzone ufficiale della nuova vita discografica di Elisa, che dopo 22 anni di collaborazione con Sugar Music ha ripreso in mano la sua carriera, firmato con un'altra casa discografica (Universal), modellato ogni angolo e sfumatura del proprio corpo di lavoro. E può dirsi pronta a ripartire da zero, a buttarsi nella seconda fase di una carriera con alle spalle praticamente 20 album (fra dischi di inediti, live e raccolte) celebrata l'anno scorso con i 20 anni dal suo esordio ufficiale. Da 20 a 0 e 2, chiamate un numerologo presto!
In ogni ripartenza c'è un doppio senso: di pieno e di vuoto, d'abbandono e scoperta, di inquietudine e vertigine. Non è un caso che la prima frase di “Quelli che restano” sia una domanda non troppo retorica, che arriva come a metà di un discorso aperto: “è che mi chiedevo se la più grande fatica sia riuscire a non fare niente”, inizia, “a lasciare tutto com’è fare quello che ti viene e non andare dietro la gente”. Due linee che raccontano di un'artista che ha la percezione chiara di ciò che le sta accadendo attorno in questo circo pieno di giostre nuove, che si pone domande sul senso della (propria) musica, sul rapporto mai del tutto risolto fra arte e pubblico.
Da vera padrona di casa, Elisa lascia che sia il Principe il primo a cantare. È un semplice gesto gentile, ma la circostanza è storica. Era da quasi quarant'anni che De Gregori, artista di per sé non troppo generoso in collaborazioni, non cantasse parole scritte da una donna in un duetto. Elisa è la sola autrice di questo brano, ha collaborato a arrangiamenti e produzione. Questa canzone è sangue del suo sangue. Che circoli anche grazie alla voce di una leggenda come Francesco è trasfusione di ruoli, è passaggio di consegne, è la benedizione definitiva. Il sigillo su un'artista che ha deciso di provare/rischiare tutto per rimanere rilevante. Unica donna della sua generazione nel ring della canzone con i guantoni ancora indosso; se vi sembra un fatto trascurabile, be’, non è così.
L'impressione in “Quelli che restano” è che, pur senza un impianto narrativo classico, gran parte del testo sia autobiografico, una riflessione evocativa sulla propria carriera, sul senso dell'essere artisti (pop). Provo a rileggerne degli estratti collocandoli – in maniera del tutto coatta - nella timeline dell'Elisa che ha appena fatto il giro di boa dei vent'anni di carriera, che sta cambiando casa discografica, che vede attorno a sé una nuova generazione di artisti raggiungere il grande pubblico.
Non è facile rimanere lucidi in un mondo iperconnesso e iperstimolato da cui è semplice sentirsi tagliati fuori alla prima buona occasione (“È che mi lasciavo trascinare in giro dalla tristezza quella che ti frega”); non è scontato capire che il passato che ti ha cresciuta e fatta diventare grande non sia più quello che fa per te (“È che mi voltavo a guardare indietro e indietro ormai per me non c’era niente”); può prendere male (“più di una volta e più di un pensiero è stato così brutto da non dirlo a nessuno”); serve forza – e una vacanza più lunga – per districarsi nelle dinamiche del quotidiano, “tra piatti sporchi e faccende”, cercando “chissà quale follia quale grande intuizione” quando in realtà ciò che serve capire è il senso profondo di ciò che si fa (“Avevo capito le regole del gioco e ne volevo un altro uno da prendere più seriamente”).
Grazie a dio – o chi per lui – la paura è spesso solo una proiezione e allora basta stropicciare gli occhi, contare sul proprio talento e sul proprio lavoro; cantare, dare un bel bacio e il sole torna a splendere della luce dei nostri occhi. È la Primavera di nuovo, laddove “i giorni si allungano” e tutto torna a rifiorire dopo il letargo; il momento in cui decidiamo che il futuro è dove ci porta il desiderio, dove “avremo sogni come fari” e dove - qui torna la ragazza un po' freakkettona di Monfalcone in armonia con il cosmo - “avremo gli occhi vigili e attenti e selvatici degli animali”. Perché gli artisti in equilibrio instabile sono “quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano”, “quelli che anche voi chissà quante volte ci avete preso per dei coglioni”. Ed è proprio sul finale di canzone che emerge una certa ispirazione sixties nella scrittura e si palesa per la prima volta una astratta dicotomia fra noi e voi, con Elisa e De Gregori che si rivolgono direttamente ai loro opposti (“quanto siete stanchi e senza neanche una voglia”) rivendicando il senso del loro essere liberi (“Siamo noi quei pazzi che venite a cercare”).
Ma queste sono tutte mie congetture, perché questo brano non è una storiella e nemmeno una canzone con la morale. È la colonna sonora di un flusso arrovellato di sentimenti, di un periodo, di un evolversi. Ed è costruita proprio come fosse una colonna sonora, con gli archi di Patrick Warren (compositore già autore dello score del film “Magnolia”, già collaboratore di Bruce Springsteen, Bob Dylan e Lana Del Rey) a fare da tappeto assieme a dolci arpeggi di chitarra, con le ritmiche dietro in lontananza. Sarebbe potuto essere un brano di Vasco Brondi o di Weyes Blood, e invece è semplicemente il primo capitolo della nuova, matura, intensa vita di Elisa. La Poetessa con il suo Principe.
---
L'articolo Il Principe e la Poetessa: se De Gregori canta Elisa di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2018-09-13 13:30:00
COMMENTI (16)
È qualcosa di unico, un racconto in musica o qualcosa del genere. Non lo so definire, ma è così ancestrale e nel contempo è davanti a quasi tutto. Un parlare di sé alzando gli occhi al mondo, senza sdilinquire. Con quelle voci, poi... Boh, smetto di capire e ascolto. Fantastico. Bella anche l'interpretazione data qua da Pastore. Mi riservo di scriverne ancora, sono inappagato dal mio ragionamento
Commento vuoto, consideralo un mi piace!
Mi sorprende leggere questi commenti rivolti ad un sito come Rockit che è tra i pochi a fare giornalismo sul web. Avete mai letto i trafiletti e le pillole di Rolling Stone oppure tutti gli esterofilissimi rockol, sentire e ascoltare e altri?
Grazie a Rockit scopro giornalmente bella musica e giustamente ci fanno anche un articolo con un testo davvero bello come quello di questa canzone.
Parlare invece di musica piuttosto di quanto siamo documentati e preparati?
A me personalmente mi colpisce Elisa. È sempre stata combattuta fra italiano e inglese, rock e cantautorato eccetera ma che buffo vederla transitare prima con Morricone in una colonna sonora, poi andare dal parrucchiere di Takagi & Petra e subito dopo gettare via il phon e scrivere un ottimo testo musicandolo con una musica che ricalca proprio lo stile del suo ospite. Se devo dirla tutta musicalmente non è uno strike e non aggiunge nulla alle pagine migliori di De Gregori ma il testo la solleva molto più in alto. Devo poi candidamente ammettere che trovo più originale e piacevole da ascoltare “in the night” che rimane una bella canzone pop.
Prego!
@vito.vita perdona l'attesa, abbiamo fatto un controllo incrociato con i management degli artisti. il ruolo di De Gregori nel pezzo della Sorrenti è ben diverso da questo di Elisa, ma è a tutti gli effetti un duetto. abbiamo dunque corretto. grazie per la segnalazione.
quanta bellezza
si ascolta tanto e spesso ci si perde in in mezzo alla musica del non senso, senza una prospettiva ci si volta indietro, poi basta una canzone come questa e l' orizzonte è di nuovo ben visibile.
Un capolavoro..-
No Carlo, anche questo è sbagliato. Non è la prima volta che canta un testo scritto da una donna: nel 1979 ha cantato "Lampo", scritta da Jenny Sorrenti, in duetto con lei nell'album omonimo.
@vito.vita si tratta, anche in questo caso, di artisti uomini. è la prima volta che canta un testo scritto da una donna. ripeto, può sembrare una banalità ma non lo è. specifico meglio nel testo per evitare ulteriori misunderstanding.
Guarda Chiara che anche la canzone degli Orage "La teoria del veggente" è stata scritta da un altro artista (dal gruppo stesso, cioè Alberto Visconti e Vincent e Remy Boniface), così come quella di AVitabile ("Lotto infinito") e quella di De Angelis ("La casa in riva al mare)