Enzo Jannacci: padre, maestro, fratello minore

Abbiamo visto ‘Enzo Jannacci - Vengo anch’io’, il documentario presentato alla Mostra del Cinema di Venezia che cerca una nuova chiave per raccontare questo artista unico, morto 10 anni fa. Perché forse, come dice Vecchioni, “Jannacci è l’unico grande genio musicale che abbiamo avuto in Italia"

Jannacci da giovane in uno still del trailer del documentario
Jannacci da giovane in uno still del trailer del documentario

Una versione ballad di Vengo anch'io, no tu no, una canzone che a detta di Paolo Jannacci fa tremare l'anima per la sua composizione armonica. È questo il segno iniziale di Enzo Jannacci - Vengo anch'io, nuovo documentario di Giorgio Verdelli, prodotto da Indigo Film e Sudovest Produzioni, e presentato fuori concorso all'ottantesima Mostra del Cinema di Venezia. La versione malinconica di una canzone che allegra non è, perché tratta il tema dell'escluso, e che serve a introdurre la figura guida del film, Roberto Vecchioni, con addosso un giaccone scuro e brutto, seduto su un tram fermo. E sarà stranamente proprio Vecchioni, non certo una cima per simpatia e ars oratoria ironica, una delle voci migliori che Verdelli sceglie di intervistare per calcare questo ritratto, per certi versi abbastanza tradizionale, di colui che è stato "l'unico grande genio musicale che abbiamo avuto in Italia".

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La grande fortuna di Verdelli è quella di aver scelto una figura che si racconta da sola, nonostante la sua scomparsa di ormai un decennio fa. Il grande merito di Verdelli invece è quello di aver intervistato Enzo nel 2005, e di aver usato questo materiale, irresistibile, per far da spina dorsale al film. E grazie a questo riesce ad emergere lo Jannacci più schivo, a tratti disperato nell'essere così restìo, borbottante, come era classico vederlo dal vivo, ma non scontato a parole. 

"Ma io ho avuto Dario Fo", lo si sente quasi urlare seduto alla poltrona, come per sminuirsi, per dire che avendo quell'altro genio al suo fianco era normale avere un'esplosione del genere. Ma forse proprio questa vergogna a mostrarsi nei primi tempi, quando suonava nei Rock Boys di Celentano, lo ha portato ad essere il maestro perfetto per tanti, ad essere quel corpo sempre possibile, quella voce, "non certo squillante" ricorda qualcuno, ma unica. Era maestro, era padre "ma anche fratello minore", come ci tiene a ricordare Paolo Rossi, malconcio e malinconico davanti a un bicchiere di rosso. Qualunque cosa voglia dire questo è illuminante, perché ci si può trovare un significato umano incredibile, oppure può essere un'espressione direttamente figlia del retaggio surreale che Paolo da Enzo ha ereditato.

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Jannacci e Gaber, migliori amici dagli anni '60, vengono mostrati come complementari. Giorgio meticoloso e ossessivo - quasi come De André ore ed ore su singole frasi dei testi delle canzoni -, con la mente del regista, Enzo improvvisatore, genio dall'intuizione fulminea. Chissà com'era essere amici di quei due ai tempi de I Due Corsari, ai tempi del Derby, o ai tempi della loro maturità, quando si prendevano in giro con lo sguardo, come testimoniano le bellissime immagini di repertorio che Verdelli dosa con saggezza, divertendosi tanto quanto noi che guardiamo incantati la comicità che ci si spiega davanti.

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Perché Enzo Jannacci era la più cristallina forma di comicità che l'Italia avesse, ma era anche - e soprattutto - un grandissimo musicista, e questo lo rimarcano, a sorpresa, Diego Abatantuono e Valerio Lundini, in un unico ed essenziale intervento. "Mi manca il suo modo di mettere le dita sul pianoforte", dice Paolo Jannacci, in uno dei suoi pochi momenti non retorici, ma ricordando "papà" con dolcezza. Ma il più tenero di tutti rimane senza dubbio Vasco, emozionatissimo e un po' affannato. Racconta che il Messico di Vado al massimo viene da Messico e nuvole, che Siamo solo noi prende la struttura da Quelli che..., che Enzo lo aveva notato e portato in tv quando tutta Italia lo credeva un degenere da tenere lontano. La versione di Vita spericolata cantata dai due negli studi di Rai2 è da crepacuore, così come il finale scelto saggiamente da Verdelli, sulle note di Lettera da lontano. Perché quella famosa "Lettera a Vasco Rossi" esiste davvero, ed è lui a leggercela prima che i titoli di coda scorrano.

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In Enzo Jannacci - Vengo anch'io si ride tanto, per gli aneddoti a profusione, attenzione alla siringa di Campari iniettata - o forse no? - ad Abatantuono, il tentato suggerimento ad Andreasi durante il debutto di Aspettando Godot al Goldoni di Venezia, i nomi sulle seggiole di San Siro insieme a Treves. Le risate sono sempre rigate dagli occhi pieni di vita di Enzo, di cui si racconta l'anima malinconica, anche per una scelta musicale saggiamente calibrata tra grandi successi e ballate che potevano velare persino gli occhi di Monica Vitti.

Quello di Verdelli è un omaggio, non tanto una biografia, che non sempre brilla nelle interviste – un po' sotto tono Bisio, Frassica e Cochi Ponzoni –, ma che mostra una figura di maestro ormai inusuale, che prende per la collottola i suoi allievi ed eredi, che li giudica con amore con lo sguardo dopo un errore caciarone nei tempi comici. Soprattutto riesce a far capire quanto Jannacci fosse il ritratto della dignità, un metodo di comprensione del mondo, che non si poteva prevedere, che creava una variazione di se stesso un secondo dopo la precedente. Uno dei pochi che sapeva che "è sulla vita che si imbastiscon le canzoni".

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L'articolo Enzo Jannacci: padre, maestro, fratello minore di Gabriele Vollaro è apparso su Rockit.it il 2023-09-13 11:13:00

Tag: film

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