Da alcune settimane siamo diventati amici di penna di Maurizio Carucci, musicista fondatore degli ex-Otago e contadino con il suo progetto Cascina Barbàn. Questo era stato il primo scambio di missive tra noi, cui ne è seguito un altro, per raccontare il suo nuovo singolo Paura. Oggi esce un altro pezzo, che si chiama Origini. Tutte canzoni che confluiranno nel suo primo disco solista, Respiro, 11 tracce che usciranno il 1 aprile (ma non è uno scherzo) e che saranno portate in tour da novembre, quattro date al via il giorno 16 dai Magazzini Generali. La nostra conversazione riparte da dove l'avevamo lasciata, la trovate qua sotto.
Milano, 22 febbraio
Ore 17:21
Buonasera Maurizio,
è un po' che non ci si sente, tipo dieci giorni. Nel frattempo ho visto che lì ha fatto tipo sei metri di neve un giorno, giusto. Mi sa che ha "attaccato". È ancora tutto bianco?
Non per pigliarci male ancora una volta, però l'ultima volta parlavamo di paure e ora siamo qua con i tg che fanno il countdown alla fine del mondo. L'altro giorno parlavo con la mia compagna e ci siamo resi conto di come le nostre paure appunto differissero proprio concettualmente. Lei era stata atterrata dalla pandemia, questa cosa del virus invisibile e ineluttabile che condiziona le vite di tutti. A me invece fa terrore quanto l'uomo possa essere contemporaneamente stupido e stronzo, come dimostra nei casi della guerra. Perché so essere abbastanza fatalista, mentre ci sto di brutto male quando accade una cosa che ritengo evitabile. Sono un po' un rosicone, in generale, uno che fatica a tenere a bada i rimpianti. Alla fine le paure possono nascere anche dall'incapacità di capire o di accettare, o a meno a me funziona così.
Cambio argomento, e sono felice di farlo. Venerdì esce il tuo nuovo singolo, questa volta parli di Origini. Ho un po' di domande. Mi chiedevo questa cosa della "dance" e degli anni '90 (o pure '80, boh) quand'è che ha preso così tanto il sopravvento? Perché hai scelto queste sonorità per accompagnare i temi, enormi, di cui parli nel disco?
Nel pezzo dici – anzi, è il concetto attorno a cui ruota il pezzo e credo buona parte del disco che sentiremo – che "non è necessario sapere chi siamo". Perché? Ma soprattutto, se chi siamo è "opzionale": quali sono invece le cose che è imprescindibile sapere, diciamo le basi della vita?
Ti mando un abbraccio,
Dario
Albera Ligure, 23 febbraio
Ore 17:55
Ciao Dario, 40/50 centimetri di neve fresca, praticamente oro di questi tempi.Le previsioni davano qualche centimetro invece la mattina ci siamo ritrovati praticamente sommersi.
Così mi sono subito messo a spalare e a fare i corridoi per arrivare alla macchina e al capanno dove teniamo il cibo per gli animali.
Il pomeriggio invece sono andato a camminare, partendo da casa mi sono buttato nei boschi con Grigio.
La sera ho letto uno dei tanti libri che ho sulla resistenza a Genova e in Val Borbera.
Leggere vicino alla stufa è uno dei motivi chiave che mi ha spinto ad andare a vivere nei boschi.
Sto seguendo il disastro dell’invasione russa dell’Ucraina e devo dirti che non ho parole per descrivere lo sdegno e la rabbia che provo.
Davvero, non ho una parola adatta.
Spero solo che ci sia una mobilitazione internazionale politica e sociale che fermi questa gente perversa e maligna.
Tornando al tema della paura credo che dovremo nel tempo stare sempre più attenti, ormai sta diventando una sorta di strumento politico con cui progettare e veicolare delle proposte e sempre di più una condizione che conosciamo e che permea e risiede facilmente dentro di noi.
Quindi, in generale forse, conviene guardare negli occhi le nuove o vecchie paure e scoprire se davvero ci impauriscono, se davvero ci conviene dargli ascolto.
Parlando invece di Origini devo dirti che ho sempre amato parlare di temi giganti o delicatissimi accompagnato da sonorità che invitano al movimento.
Al movimento dance.
L’ho sempre un po’ fatto con gli otaghi.
Diciamo che come avrai sentito amo mischiare il diavolo con l’acqua santa, il sacro con il profano.
L’elettronica a volte molto spinta con il pianoforte spesso con pezzi piano voce.
E lo faccio perché amo profondamente entrambi i mondi, forse, in questo momento, mi piace meno tutto ciò che c’è in mezzo a questi pianeti.
Iper elettronico.
Iper acustico.
Su queste due rive sto bene.
Non importa sapere chi siamo perché forse a forza di cercare di provare a capirlo ci passa davanti la vita.
Ecco non vorrei passare i miei giorni a cercare un’identità definita e perdermi momenti o possibilità preziose.
Preferirei forse acquisire maggiore consapevolezza del fatto che sono un essere vivente complesso, che ha delle pulsioni che lo portano in alcuni luoghi della vita.
L’importante forse è rimanere sinceri e innamorati.
E condividere.
Ciao Dario la prossima volta ci beviamo un vino..
Milano, 24 febbraio
Ore 10:11
Eh, il vino ci starebbe eccome. Qua cominciano a esserci troppe parole e troppo poco alcool tra noi, dovremmo riequilibrare il rapporto.
Che poi sicuro ci si becca al tour dai. Anzi, di sicuro a questo punto non c'è più nulla. Però ci si becca al tour e basta.
Io sono felice che dici questa cosa dell'identità. Perché a me questi tempi dove tutto – dall'arte alla politica ai rapporti umani – è appunto costruzione dell'identità, consapevolezza e rivendicazione di essa, cominciano a starmi strettissimi, a strangolarmi. Non ci sarebbe nulla di male di per sé, non fosse che alla fine diventa tutto marketing e raccolta di dati che non ho particolare piacere di condividere. Personalmente quando ho deciso di annacquare la mia identità, credo di aver capito come vivere un po' meglio. Boh, forse è un po' infantile questa cosa dell'identità.
La roba forte – ci penso mentre guardo queste meravigliose foto sotto la neve – è che tu stai "abbattendo" la fissa dell'identità da un posto che invece invita molto a trovarla, perché lì sei te e te. Forse la spiegazione è in quesa frase di Origine: Alla fine sono andato via per sempre, anche se il posto in cui son nato è per sempre
O forse no.
Detto questo ora tutti – anche chi non legge Rockit... – hanno un titolo per il tuo album, delle tracce, una data d'uscita.
Si chiama Respiro. Perché? Mi piace immaginare la scelta del titolo di un disco come la scelta del nome di un bimbo. Quali erano le altre idee? E perché le hai scartate? A chi è piaciuta la proposta e a chi no di coloro con cui ne hai parlato? Che alternative avevano?
Ti abbraccio. Non guardo i tg, non guardo i social (in questo mi ero già portato avanti, cancellandoli tutti) che sta roba della guerra pure a me non puoi capire come mi sventra...
E aspetto di risentirti al prossimo singolo.
Albera Ligure, 25 febbraio
Ore 09:33
Eh me effettivamente aiuta penso, avere un’identità chiara e inequivocabile e probabilmente in molti la hanno.
Non è il mio caso.
O meglio, credo di avere un’identità variegata, magari pure forte chissà ma senz’altro meticcia.
Il meticciato per me è una ragione di vita, ogni cosa che faccio è figlia di questo approccio e modo di stare dentro al mondo.
Sono un cantautore ma anche agricoltore, nei mie pezzi c’è molto piano acustico e molta elettronica.
Sono sempre misto.
A volte la detesto questa condizione di permanente complessità, a volte l'adoro e penso che sia una cosa meravigliosa.
Il disco l’ho chiamato respiro perché è il termine che più mi riporta al mio album che per me rappresenta una porta immaginaria, un’aura, un respiro appunto.
Una via per uscire da qui.
Non si può sempre stare dentro, a volte, bisogna uscire.
Trani vari titoli scartati ricordo “Spirito” che tutt’ora mi piace.
Devo dire che tutto quello che sto facendo e proponendo è sempre stato molto apprezzato dallo staff che lavora con me.
Posso dire di aver fatto davvero tuto quello che ho voluto.
Senza regole o limitazioni.
Il mio manager Pietro in questo è stato grande.
Spero che chiunque ascolterà Respiro si avvicini a me, e percepisca il lato artigiano di quello che ho fatto, per me importantissimo.
Nell’era in cui i talent ahimè stanno avendo sempre più “successo” c’è un cristo in Appennino che si scrive i testi, le armonie, le melodie della sua musica.
Che si fa le fotografie e le grafiche per i singoli e per l’album.
Trovi che tutto questo abbia valore indipendentemente dalla musica che può piacere o meno.
Fare dischi così, (per fortuna non sono l’unico che ha questo tipo di approccio) ha un valore anche politico.
È un fare controcorrente, che si allontana da molte logiche dell’industria della musica che come ogni industria, sinceramente non mi interessa molto, anzi, cerco per quanto riesco di starci lontano.
RESPIRO potrà anche non piacerti ma quando schiacci play stai parlando con me, con nessun altro.
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L'articolo Epistolario Appenninico n. 3: mettiamo in crisi l'identità di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-02-25 10:47:00
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