La notizia della morte di Ernesto Assante, firma storica di Repubblica e critico musicale tra i più influenti nel nostro Paese, ci ha lasciati molto tristi dal punto di vista umano – 66 anni sono troppo pochi per andarsene – e ci ha fatto anche riflettere sulla critica in Italia, quella particolare forma d'artigianato che si occupa di ascoltare, frequentare, digerire e contestualizzare canzoni, album, artisti, generi, perché il pubblico possa essere aiutato nell'impresa di districarsi tra mille uscite settimanali. Un mestiere che oggi, se chiedi a un qualsiasi ventenne, ti dirà che si fa su Instagram e TikTok, ma che è nato sulla carta con un'autorevolezza, un'importanza e un rigore di cui negli anni venti del duemila non abbiamo quasi più memoria.
Il mestiere del critico, oggi, non è neanche più un mestiere in senso pratico: più che spesso le persone che giudicano i dischi sono amatori, lo fanno per passione, per visibilità, senza la possibilità di ricavarne una qualche economia, quindi non c'è proprio la possibilità di un percorso che porti da qualche parte. Qualche concerto gratis, qualche incontro con artisti di cui sei più o meno fan, qualche like e si campa di soddisfazione finché non arriva il mercato libero dell'energia e del gas a chiedere d'essere pagato coi soldi veri. Individuare una singola colpa non è possibile, sono cambiati del tutto i tempi e la musica non genera più fatturato che possa scendere a cascata su tutta la filiera, critica compresa. Arrabbiarsi serve a poco, meglio tenersi buone le firme di cui ci si fida e seguirle, come faremmo per i panda in via d'estinzione.
Non è sempre stato così, anzi, diciamo pure che nel periodo d'oro della carta stampata dalla dine degli anni Sessanta in poi, i critici musicali in Italia erano vere e proprie figure di riferimento, numi tutelari del sapere, nomi importantissimi per gli ascoltatori ma ancor di più per gli artisti - basti ricordare L'avvelenata di Francesco Guccini in cui cita il critico Riccardo Bertoncelli il quale anni dopo risponde "era un viziaccio dell'epoca insegnare agli artisti cosa dovevano fare, anzi, chi dovevano essere, e io c'ero cascato".
Durante il programma di Renzo Arbore in Rai, un giovane Lucio Battisti sfidò i giornalisti musicali e il pubblico dell'epoca nel 1969. Una shitstorm in diretta, nella quale al cantante viene imputata la mancanza di doti canore, ritenendo il bel canto un talento necessario per la professione. Un'epoca in cui la critica esprimeva sé stessa tuonando contro il nuovo, spesso prendendo cantonate devastanti. La fine degli anni Settanta cambiò gli equilibri tout court nel nostro paese, dalla politica alla strada, fino all'arte che, per definizione, dovrebbe rappresentare e raccontare il presente.
Gli anni di piombo sono anche quelli in cui il mercato discografico italiano inizia a conoscere meglio quello mondiale, nei negozi di dischi appaiono gli album d'importazione, i nostri artisti prendono esempio e iniziano a sperimentare. Insieme a loro, una nuova generazione di critici musicali trova la propria voce e tra quelli più istituzionali alla Mario Luzzato Fegiz, arrivano anche Ernesto Assante, Gino Castaldo, Carlo Massarini, Red Ronnie. L'epoca delle radio libere, della musica come colonna sonora della contestazione, ma anche delle prime figure ibride che non figurano in tv o in radio come ospiti autorevoli, ma creano le proprie trasmissioni, i propri programmi per divulgare il nuovo. Una generazione di giornalisti che sanno parlare di musica a vari livelli e che riescono ad appassionare il pubblico, prima ancora che il mezzo diventi VideoMusic o MTV.
Grazie a loro, durante gli anni Ottanta e gran parte dei Novanta i giornali musicali proliferano come conigli, fino ad arrivare a coprire praticamente tutti i generi musicali esistenti. Ce n'è per tutti, da TV Sorrisi e Canzoni a H/M, Metal Shock o Dark, da Buscadero a Mucchio Selvaggio, e i critici musicali diventano in qualche modo rockstar, sono letti e riconosciuti ai concerti, gli ascoltatori si fidano e comprano dischi. Come tutte le ere, anche quella della fiorente discografia, delle grandi economie e della Critica con la C maiuscola deve cedere il passo al nuovo mezzo, l'internet dei pirati che segnerà la fine dell'industria discografica e di quella dell'informazione cartacea.
Il pioniere Piero Scaruffi col suo sito un po' istituzionale un po' mitomane, Red Ronnie che prende strade cospiratorie non più adatte al pubblico generalista, le tv musicali con VJ, che per qualche tempo hanno sostituito i critici, in totale declino e una nuova generazione di persone che ottiene una voce grazie al web. Per fare i critici non serve più aver studiato, aver fatto gavetta, basta avere un'opinione e trovare il proprio modo per dirla al meglio. È una semplificazione, ma abbastanza vicina al vero.
Passano gli anni duemila, quelli della grande confusione sotto il cielo, quelli in cui i vecchi giornalisti della carta stampata fanno fortino e cedono cara la pelle all'avanzata dei bucanieri e arrivano gli anni dieci, quelli in cui la nuova ondata di artisti italiani passa dal club con 100 persone davanti al palasport, in cui gli artisti spesso sono meno conosciuti delle webzine che li spingono. In cui si vive per la visibilità e per il like, in cui la corsa è quella a spararla più grossa, a fare sensazione, a sgomitare per farsi leggere. Anche se ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti. Ognuno fa il meglio che può all'interno di una bolla sempre più vicina allo scoppio, che avviene durante il covid.
Lì un po' tutti hanno capito che la discografia, per com'era diventata, non aveva la possibilità di durare, pattinava su ghiaccio sottile sopra l'abisso. Siamo a oggi, più o meno. In questo periodo, chiamiamolo pure di riassetto, le riviste e le web magazine sopravvissute hanno bisogno di idee forti e immaginazioni altrettanto forti, in grado di guardare al futuro e , se non c'è, di poterlo creare mattonella dopo mattonella. La critica oggi non è più tale nel senso letterale, tutto è in mano alla velocità dei tempi dei social, che danno voce a moltitudini e danno l'impressione che tutte abbiano lo stesso peso. Oggi è l'epoca delle canzoni velocizzate su TikTok, difficile pensare al ruolo del critico come era un tempo, senza dare l'idea di essere delle tonnellate di carne nostalgica che urla controvento "Era meglio prima". La critica ha il dovere di capire il presente, altrimenti non serve a niente.
Eppure, ancora oggi, sopravvivono e convivono col presente, facce e nomi di un'epoca passata che hanno saputo adattarsi, senza sgomitare né spingere, senza cadere vittime di tranelli complottistici, perdere la testa o venire risucchiati dall'ombra. Uno di questi era certamente Ernesto Assante, col suo sorriso, i suoi modi gentili e il suo sapere, che dal vivo come nei suoi interventi mediatici, sugli articoli o sui libri, non è mai stato sbandierato o usato per sopraffare, ma per esprimersi. Dobbiamo tutti tanto a una persona del genere. Mancherà.
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L'articolo Ernesto Assante: è una questione di critica di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2024-02-27 09:35:00
COMMENTI (2)
le mie recensioni a saggio poetico le trovate quà: ilmioessere79.blogspot.com/
Io sono un'amante di Lucio Battisti e posseggo, oltre ad un'innumerevole copie dei suoi dischi, circa una settantina di libri dedicati a lui. Fra questi anche quello scritto da Ernesto Assante. La prima cosa che devo dire è che (non so come ci sia riuscito data la scarsità di notizie e la prematura morte di Battisti) ha scritto un libro "nuovo". Leggendolo ho avuto l'impressione di leggere per la prima volta qualcosa che riguardasse Lucio Battisti! E fra libri e articoli, ne ho lette di cose... Ma sempre le stesse. Assante mi ha colpita proprio per la sua capacità di unire un racconto fluido, preciso, non banale ad una critica approfondita ed affascinante, ricca di spunti e riflessioni, in modo elegante, onesto e vero. Leggendo Ernesto Assante ho letto un libro vero, scritto da un uomo vero. È molto triste per me pensare che non ci sia più la possibilità futura di assaporare ancora qualcosa di suo.