La storia procede per pause e strappi, come le migliori competizioni ciclistiche. Che lo prevedesse il piano di gara oppure che sia il caso a dare la carte, a un certo punto succede tutto quello che non è successo per anni. Così si comincia a raccontare un'altra storia. È quello che sta succedendo al liscio italiano, genere – che poi credo in realtà sia un ballo, oppure no, per quanto mi sforzi non riesco a decretare chi viene prima e chi dopo – di cui ci capita di occuparci sempre più spesso negli ultimi tempi.
Merito soprattutto degli Extraliscio, che nelle scorse settimane hanno portato – o per lo meno evocato – il liscio sul palco più prestigioso e istituzionale del Paese, quello dell'Ariston. Pochi giorni dopo la loro performance – acclamata dalla critica, o per lo meno senz'altro da Rockit – un altro evento spediva sulle prime pagine di tutti i giornali italiani la musica nata in Romagna. A 83 anni moriva dopo aver contratto il Covid Raoul Casadei, che del liscio è stato volto e voce negli ultimi 50 anni. Due avvenimenti evidentemente slegati tra loro – uno lieto e nazionalpopolare, l'altro luttuoso (e pure accompagnato da qualche polemica) –, con un mondo in comune. Colorato, pieno di note, un mondo in cui Gatteo e non New York è il centro di ogni cosa, dove signore fresche di messe in piega e uomini con la camicia a mezza manica non smettono di volteggiare.
Quella del liscio è una bella storia italiana, a livello di cultura pop una delle più affascinanti. Nato tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo successivo, il genere – o ballo, insomma ci siamo capiti – è un mix di suoni e movimenti provenienti da varie parti del mondo, che lungo la riviera romagnola hanno trovato una nuova amalgama e nuove diciture, e infine anche il successo grazie all'energia sprigionata dall'incontro del sax col clarinetto, su cui si va a innestare un cantato allegro e innamorato, romantico e un po' nostalgico.
Impossibile e poco utile ripercorrere qua la storia che ha portato un immaginario fatto di orchestre variopinte e non di rado sgangherate, balere e mezzi di rosso frizzante a imporsi dentro e fuori i confini nazionali. Di certo nulla di tutto ciò sarebbe avvenuto senza la dinastia dei Casadei, il lavoro iniziato dal "godfather" Aurelio detto Secondo nei primi anni del Novecento e poi proseguito dal nipote ed erede artistico Raoul, che nel 1971 – dopo anni di apprendistato, mentre di "vero lavoro" faceva il maestro elementare – ne raccolse il testimone.
Una storia fatta di picchi di popolarità, come nel secondo Dopoguerra, quando il liscio divenne una delle colonne sonore del Boom economico e il suo ballo un atto liberatorio e quasi apotropaico, con cui il popolo allontanava decenni bui. E di momenti meno luminosi, su tutte il passaggio tra i due millenni, in cui il genere sembrava avvitato in una spirale di ospitate sulle tv locali ed esibizioni da piano bar nelle feste campestri (o di quel che restava dei partiti) sparse per la penisola.
A quella storia gli Extraliscio – formati dall'eclettico Mirco Mariani e da tre ex musicisti dell'orchestra di Raoul Casadei come Moreno "Il biondo" Conficconi, Fiorenzo Tassinari e Mauro Ferrara – hanno dato nuova linfa, una spolverata di contemporaneità e "locura" più che necessarie per fare sì che quella culminata con lo show sanremese non fosse solo rievocazione, ma arte e cultura (organismi vivi per definizione).
A fare conoscere Mariani – uno che suona ogni tipo di strumento e che ha accompagnato grandi come Capossela, Bianconi, Fresu e Bollani, oltre ad aver fondato i Saluti da Saturno – con gli altri futuri membri della band – che negli ultimi anni erano passati all'Orchestra Grande Evento – è stata Riccarda Casadei, figlia di Secondo e cugina di Raoul, che in tutti questi anni (pure in quelli "difficili") con le sue Edizioni Musicali Casadei Sonora ha portato avanti un'opera instancabile di divulgazione del liscio, della sua storia e dei suoi valori.
Il nostro racconto dello stato (di grazia) del liscio oggi in Italia non può che partire da Savignano sul Rubicone, in provincia di Forlì-Cesena, e da lei. "Nel momento in cui ho fatto incontrare Moreno Conficconi, direttore artistico delle nostre edizioni, e Mirco Mariani, sapevo che poteva nascere qualcosa", racconta Riccarda. "Immediatamente è scattata la scintilla artistica fra questi due musicisti un po’ folli, entrambi aperti alla sperimentazione e alle novità, che hanno subito accolto con entusiasmo il desiderio mio e della mia famiglia di cercare di portare questa musica storica a un pubblico nuovo".
Mentre tutti celebriamo il trionfo del rock e del roll a Sanremo grazie alla tribute band di se stessi formata da quattro ex concorrenti di X Factor – che dite, troppo acido?! –, il vero ritorno in grande stile è quello del liscio. "Che sia un periodo di grande visibilità è indubbio", conferma Riccarda. "Grazie agli Extraliscio e al lavoro di Elisabetta Sgarbi, che ha voluto fare un film su di loro (vincitore di un premio al Festival di Venezia, ndr) e che li ha voluti portare a Sanremo: mi sembrava un sogno vederli su quel palco prestigioso, e tuttora non mi sembra vero che non passi giorno che si parli di loro in qualche trasmissione televisiva o in radio. Bianca luce nera non corrisponde ai canoni più tradizionali della nostra musica, ma è un modo molto simpatico per sdoganarla e portarle freschezza e visibilità".
Imponiamo una rapida virata al nostro racconto. Lorenzo Ottone è un giornalista e ricercatore che vive a Bristol (città di una certa rilevanza per la cultura UK contemporanea). Tra i mille progetti cui si dedica, di recente ha dato vita assieme al collettivo Ragazzi di Strada alla fanzine Liscio Got Me Hardcore, che affronta (in inglese, con traduzione italiana) la storia del genere nato in Romagna con l'approccio di chi debba raccontare il fenomeno punk, i Mods o l'epopea di Ian Curtis e dei suoi soci.
"Definire il liscio una sottocultura è una provocazione", spiega Lorenzo. "Per definire una scena sottocultura ci vogliono, generalmente, quattro elementi: un'estetica definita, un certo sound, un'estrazione sociale piuttosto precisa e – anche se io tendo a essere scettico su questo punto – degli ideali socio-politici. Anche se in passato il liscio poteva apparire come un genere tutt'altro che controculturale, in chiave retrospettiva si può affermare che rispetti tutti questi canoni. Anche perché, vivendo in tempi post-moderni, credo che sia giusto guardare alle sottoculture non più secondo canoni limitati a una visione classica e convenzionale".
Liscio Got Me Hardcore, reperibile online qui, fa proprio questo lavoro: traccia paralleli estetici, sociali e comportamentali – "si pensi all'estasi condivisa sul dancefloor o alla pratica dei leader delle orchestre di introdurre le canzoni come se fossero dei DJ ante litteram, dei toaster Giamaicani o degli MC" – tra il Liscio e altre scene, dal Northern Soul inglese – "anch'esso, per altro, elevato a sottocultura a posteriori" –, alla Hardcore Techno o il Reggae.
La sfida è introdurre un pubblico giovane a tematiche spesso esclusive "di nicchie più mature" (sul tema segnalo anche un pezzo, super come sempre, di Giulia Cavaliere su RS). Lo spunto iniziale viene girando per mercatini dell'usato: "Ho sempre pensato che se fossi un turista straniero, farei incetta di quei dischi in cui degli outfit e delle grafiche micidiali da gruppi di Black Music si fondono a tematiche italiane, anzi romagnole".
Da questa prospettiva estera, svuotata degli inevitabili (o forse sì) stereotipi che gli italiani si portano appresso parlando di Liscio, nasce il concept alla base della fanzine. "L'identità sottoculturale del Liscio emerge ancora di più in opposizione a tutte quelle scene sia underground che mainstream che all'epoca lo snobbavano o lo trattavano con ironia, come i punk. Come disse Raoul Casadei in una bellissima intervista per il documentario Lissio di Claudio Rispoli (QUA SOTTO!), il Liscio è il 'genere altro', dunque il genere di tutta quella gente che non si sente rappresentata da quello che passano le classifiche o che si suona nei circuiti underground", prosegue Ottone.
Un genere fuori da schemi e quasi sempre messo alla porta dal dibattito pubblico, che vive in una galassia sua. Dove, però, almeno un tempo è stato totalizzante. "A cavallo tra '70 e '80", dice il giornalista e ricercatore, "era così integrato nel tessuto sociale e culturale emiliano che, addirittura, nel primo album di Vasco Rossi Ma Che Cosa Vuoi Che Sia Una Canzone, ci sono elementi di Liscio a sottolineare il background di balere e cultura popolare da cui il giovane musicista arriva".
L'alternanza di momenti di popolarità e calo della stessa è fisiologica per i fenomeni culturali, andrebbe scritta sul loro bugiardino. Hype and down. "Si consideri inoltre che il Liscio dei '70 e '80 era a sua volta un revival di un genere che di fatto ha radici profondissime nella musica da ballo mitteleuropea, dove generi come la polka e la mazurka segnarono vere e proprie rivoluzioni di costume".
Da qui gli anni complicati, in cui venne meno non solo l'egemonia nel proprio territorio di riferimento, ma quasi ogni forma di visibilità. Sabbie mobili da cui spesso si emerge buttandola in macchietta, e finendo per impantanarsi ancora di più. Ma non c'è nulla – se crea una qualunque forma di valore – che non possa ripresentarsi. In questo kartodromo hegeliano di corsi e ricorsi ci sono delle specie di piccoli acceleratori storici, i cui effetti in questo caso saranno quantificabili solo tra qualche tempo. "La concomitanza dell'uscita di LGMH con la partecipazione a Sanremo degli Extraliscio e Davide Toffolo e, poco dopo, la scomparsa di Raoul Casadei sta contribuendo a riaccendere i riflettori su questa cultura. Come nel caso della riscoperta del post-punk da parte di molti giovani inglesi in seguito alla dipartita di Mark E. Smith (frontman dei The Fall, ndr) nel 2018, spesso l'attenzione mediatica che segue la morte di personaggi iconici può incentivare fenomeni revivalistici", dice ancora Lorenzo Ottone.
Mica così semplice, in questo caso. "Con il Liscio, nel caso, la sfida sarebbe quella di riattualizzare un genere folkloristico per un pubblico nuovo, abituato a ballare musica in 4/4. Le soluzioni non sono così immediate come quelle offerte, per esempio, dalla disco partenopea o dall'afro beat, due tipi di musica etnica che negli ultimi anni sono stati oggetto di riscoperta. Ciò che credo sia soprattutto importante è la riabilitazione della cultura del Liscio, a cui per troppo tempo è stata sottratta la dignità che merita".
Da Bristol al ponte sul Rubicone – sì, quello di Giulio Cesare e delle aree di servizio fighe in autostrada –, nonostante le restrizioni, è un attimo. "La nostra musica – mi viene sempre da chiamarla così, non liscio – pur essendo amatissima da una gran parte di gente, soprattutto ballerini, è stata sempre poco valutata, snobbata e considerata di serie b, e lo è tuttora", dice Riccarda Casadei.
Che prosegue con la biografia. "Io stessa da ragazzina mi presentavo a nuovi amici dicendo solo il mio nome e non il cognome, perché se dicevo 'sono Riccarda Casadei' subito mi rispondevano 'sei la figlia di quello del valzer? Di quello dell’orchestra campagnola?' E un po’ mi seccavo".
E il re del liscio cosa rispondeva? La abbracciava e le diceva che comprendeva bene quello che provava. "Poi aggiungeva 'ma guarda che non è una cosa brutta: pensa alla campagna, ai fiori, agli alberi, ai frutti, ti sembrano cose brutte? La campagna è meravigliosa… e poi vedrai, verrà un giorno che sarai fiera di questo nome'. E infatti è proprio così. Penso che questa sia una musica bella, piena di sentimento, di energia, di positività, di capacità di unire e far divertire. Ci sento la gioia, il dolore, la malinconia e la speranza, è una musica che accompagna la vita, come ha sempre accompagnato la mia".
Una visione poetica, che il cugino Raoul aveva teorizzato nell'idea del ballo come diritto al divertimento e alla felicità, uno dei principi cardine del liscio, ragione sociale più che dignitosa. Che assume quasi una dimensione di sogno in questi tempi di semireclusione. "La missione di questo genere è sempre stata far dimenticare per un po’ i pensieri ed i problemi, fare incontrare le persone (quante coppie si sono formate andando ai concerti dell’orchestra Casadei!), dare sollievo e divertimento e fare bene anche al fisico: sai quante calorie si perdono con una polka, e come ne beneficiano il cuore ed il sistema circolatorio? Per non parlare dell’umore? Sono fiera che la nostra musica sia messaggera e ambasciatrice di leggerezza e positività".
Una missione "politica" nel senso più generalista e più alto del termine. Mettere assieme l'ideologia alla spensieratezza di questa musica può parere un ossimoro, ma non lo è affatto. "Personalmente non definirei il liscio come una sottocultura politicizzata, quanto più come un genere che si sviluppa in una terra, l'Emilia Romagna, in cui c'è, da sempre, una forte coscienza politica", premette Lorenzo Ottone.
"Di conseguenza, essendo molto diffuso tra le classi sociali più umili, il Liscio incarna quegli ideali di solidarietà e condivisione propri della vita agreste e operaia. Questo concetto è espresso molto bene da Raoul Casadei che definisce il Liscio come il suono della gente semplice, che la mattina si sveglia e va in fabbricai in bicicletta e nel fine settimana si concede un ballo e qualche bicchiere di San Giovese".
Il Liscio, aggiunge il creatore di Liscio Got Me Hardcore che cita il lavoro di Lorenzo Cibrario, altro bravissimo giornalista e studioso italiano in UK, incarnava una forma di resistenza "nei confronti dell'edonismo e del liberalismo ruggente di stampo reaganiano che caratterizza l'Italia della Milano da Bere e dell'Italo Disco. Oggi, questa forma di resistenza dei valori, della cultura e dell'estetica di una certa Italia provinciale delle piccole cose di gozzaniana memoria risulta ancora più importante alla luce della globalizzazione omologatrice a cui siamo destinati".
Riparte da qui Riccarda Casadei, la cui prospettiva nel vedere le cose è sempre di cuore. Parliamo dell'intera vita sua. "Mio padre con la sua orchestra fin dalla sua fondazione, nel 1928, ha portato felicità a tanta, tantissima gente", dice. "Una volta le occasioni per festeggiare e per incontrare il partner erano veramente poche, e qui Secondo Casadei con la sua musica non mancava mai. Dopo la guerra, con l’avvento del boogie, so quanti sacrifici e sofferenza ha dovuto affrontare per affermare la sua musica, poiché le nuove generazioni naturalmente volevano poter ballare solo i nuovi ritmi che arrivavano da oltreoceano".
Eppure, ricorda la figlia e testimone della sua opera, Secondo aveva talmente fiducia nel "genere romagnolo", che – pur avendo tutti contro, compresi molti suoi colleghi che lo prendevano in giro perché continuava a proporre il "repertorio antico” – proseguì per la sua strada, fino a riuscire a imporre quel suono (e quell'estetica). "La sua missione era anzitutto fare sì che i romagnoli tornassero a riapprezzare la musica della loro terra. Ha sempre creato le sue composizioni cercando di accontentare le esigenze dei ballerini e soprattutto di portare gioia. I suoi brani, anche quelli più malinconici e struggenti, finiscono sempre in tonalità maggiore, positiva, com’era il suo carattere e in generale quello della nostra gente, verso la quale aveva grande affetto e massimo rispetto, e dalla quale è stato sempre ricambiato, tanto che poi è stato chiamato 'Strauss della Romagna'. Romagna mia l’ha composta pensando alla sua terra, e riassume tutto l’amore che aveva per essa, la sua semplicità è arrivata al cuore di tutti".
Quasi in fondo a questo racconto in bilico tra gli studi sociali e gli affetti, tra il cattedratico e il confidenziale, è il momento di tornare sulla figura che più di ogni altra – di certo per quelli della mia generazione – ha diretto le danze e orientato questo corso di carsici inabissamenti e ritorni di un genere musicale concepito altrove, eppure che ha finito per rappresentare una delle forme più autentiche e rilevanti di "italianità": Raoul Casadei.
"Personalmente, sono sempre stato scettico dei 'santini' di cui si appropriano le sottoculture", è la premessa di Lorenzo Ottone. "Credo che siano più che altro figure strumentali alla narrazione delle sottoculture, che alla vita delle sottoculture stesse. Si pensi, per esempio, a come icone del mondo Mod quali gli Who o il 'modfather' Paul Weller abbiano incarnato esteticamente, e ancor meno musicalmente, la cultura di cui si sono fatti portavoce per un arco di tempo limitatissimo. Ho sempre creduto che le vere icone – i Mod direbbero le 'faces' – di una scena siano ragazzi e ragazze di cui spesso si sono persi i nomi, ma che emergono gloriosi da foto o filmati d'epoca incarnandone lo spirito del tempo, per poi finire chissà dove, risucchiati come la maggior parte di noi dalla vita adulta e dalle sue responsabilità".
Si arriva al punto. "Nel caso di Raoul Casadei, però, credo che l'etichetta di 'padrino' del Liscio sia doverosa, in quanto è stato una figura importante nel contribuire a portare il Liscio su un livello altro, da genere musicale popolare ma di provincia a fenomeno pop e di costume da classifica. Oltre ad avere degli outfit strepitosi, compresi i jumpsuit bianchi in stile Elvis, Casadei è soprattutto stato un uomo di grande intelligenza. Nell'intervista già citata con Rispoli, facendo il paragone tra i Beatles e la dubbia qualità di molti complessi esplosi durante la Beatlemania, spiega come sia sbagliato maturare pregiudizi su un intero genere basandosi sull'ascolto di una sola orchestra. Più in generale si può riconoscere questo merito al lavoro dell'intera famiglia Casadei, da Secondo, autore di molti classici del genere, alle edizioni musicali Sonora che hanno creato un vero e proprio indotto culturale attorno al genere".
Raoul Casadei era entrato nell’orchestra di suo zio poco più che ragazzino, negli ani '60. Tra i due c'era una sintonia enorme: Secondo apprezzava il suo entusiasmo ed era consapevole di quanto quella ventata di freschezza e novità che il ragazzo si portava dietro fosse preziosa per il successo dell’orchestra. Lui apprese tutto quello che poteva dai "vecchi" pionieri e ci mise parecchio del suo, andando incontro ai gusti dei più giovani e incrementando in dieci anni di collaborazione il repertorio di canzoni con brani di grande successo come Il valzer degli sposati, La mia gente, Io cerco la morosa, Il Passatore, San Marino Goodbye e tutte le cover dedicate alle località della riviera romagnola.
"Io e Raoul siamo stati fianco a fianco per tanti anni anche dopo la scomparsa di mio padre, quando gli lasciò l’orchestra e io ne gestivo la segreteria" lo ricorda Riccarda, la cugina. "Lui era un vulcano d’idee, straordinario nella comunicazione e di grande capacità imprenditoriale. Ha saputo raccogliere questa eredità con grande intelligenza e portarla al massimo con note nuove e vincenti. Certamente ha contribuito parecchio alla diffusione del liscio in Italia, un lavoro che mio padre aveva cominciato a fare, ma che non ha potuto portare a termine poiché è venuto a mancare molto presto, all’inizio del boom, quando i tempi non erano ancora maturi per una diffusione così ampia".
La forza di Raoul e della sua orchestra è stata non ancorarsi al genere tradizionale, ma da lì partire per cercare strade nuove. "In questo rivedo anche la personalità di mio padre, sempre aperta – ha ascoltato ed apprezzato ogni genere musicale –, con un occhio attento alle novità e alle contaminazioni, mai statico anche se convinto portavoce di una tradizione precisa e quindi di una cultura popolare".
Concedendoci un ultimo pensiero bello – che il tempo non li agevola, ma se ne sente l'impellenza –, chiediamo infine a Riccarda Casadei dove sogna di organizzare un grande evento di liscio quando si potrà tornare a danzare, per celebrare la fine della traversata e per salutare un grande. "Ovunque", risponde. "Sogno che tutte le generazioni possano scoprire la bellezza dell’abbraccio che c’è in un valzer, l’allegria e il divertimento legati ai salti della mazurka e della polka. Spero che riaprano le balere e che la gente possa riversarsi nelle piazze in libertà. Spero che tutti possano scoprire chi era Secondo Casadei, e come ha portato in alto con la sua passione e il suo talento il nome della musica italiana nel mondo".
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L'articolo Etica ed estetica del liscio, la musica più italiana di tutte di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-03-29 16:28:00
COMMENTI (1)
Sdoganato il liscio al MEI 10 anni fa, l'Extraliscio che inaugura il MEI 5 anni fa e portati poi alla grande Notte del Liscio!