L'EAST SEA Music Festival è il più grande festival sulla spiaggia di tutta la Cina, a cui ogni anno partecipano artisti da ogni parte del mondo. Quest'anno è toccato agli Eugenio in Via Di Gioia, che hanno passato quattro giorno tra musica e turismo in giro tra Pechino – dove si sono esibiti all'interno dell’Auditorium of Italian Cultural Institute – e Wenzhou. In questo viaggio, oltre a essere nata una instant-meme-song dal titolo Wǒmen yīqǐ chànggē, sono successe un sacco di cose. Ce le siamo fatte raccontare qua.
GIORNO 1
Ore 13.00: partiamo da Milano Malpensa, destinazione Pechino. È il nostro primo viaggio intercontinentale e ci aspettano dieci ore di volo. Quasi nessuno riesce a prendere sonno, a parte Eugenio che dorme per tutto il viaggio, ma non riesce a scampare al cibo horror dell’aereo. Per il fuso orario ci troviamo a Pechino alle 4.30 di mattina e appena sbarcati conosciamo due ragazzi molto simpatici, Ma e Abba, che ci accompagnano in hotel. Già alle 5.30 c’è un traffico assurdo che ritarda il nostro arrivo alla meta tanto agognata: il letto.
Riusciamo a dormire 4 ore e ci risvegliamo per andare con Sean a mangiare l’anatra alla pechinese. Sean lo abbiamo già incontrato a Milano, se siamo qui il merito è suo, perché organizza le trasferte di artisti italiani in Cina. Dopo aver assaggiato le migliori prelibatezze della capitale, ci dirigiamo verso piazza Tienanmen e notiamo una ragazza accovacciata a terra. La guardiamo preoccupati ma Sean, Ma e Abba ci rassicurano: è un modo per riposarsi, qui si usa così. Si è fatto tardi e non ci fanno entrare in piazza, è blindata a causa della visita del ministro americano Blinken.
Prossima tappa: lo studio di una band cinese nel cuore della vecchia Pechino. Qui tutte le case storiche sono molto basse, perché l'imperatore vietava la costruzione di edifici più alti del palazzo reale.
Scesi dal furgone siamo immersi in uno scenario incredibile. Potremmo definirle poco più che capanne, i motorini elettrici sfrecciano per le viuzze e tutti guidano senza casco. Sean ci racconta che quelle case costano 40.000€ al metro quadro, ma non hanno il bagno. I servizi sono collettivi e si trovano in strada, venendo condivisi tra i residenti. Chiediamo perché costano così tanto e Sean ci spiega che c’è una prestigiosa università nel quartiere dove non puoi iscrivere i tuoi figli se non sei residente nella zona.
Finalmente arriviamo allo studio musicale, di proprietà di un importante producer cinese amico di Sean. Nonostante la struttura sia molto caratteristica, di architettura antica cinese (il tetto avrà avuto almeno 150 anni), restiamo stupiti da quanto la strumentazione sia simile a quella che si può trovare in qualsiasi studio italiano o europeo. Mixer, microfoni, amplificatori sono top di gamma e marchiati dai brand a noi molto familiari. Questo fa capire quanto ormai sia uniformato il modo di produrre musica a livello mondiale, anche se la Cina ancora resiste ai trend musicali del mercato occidentale.
Lo studio è frequentato da molti musicisti giovani che ci fanno ascoltare i loro lavori, con tanto di strumenti tradizionali locali come l’Erhu (una sorta di violino cinese molto simile alla lira calabra), il Guzheng (una specie di cetra), lo xiao (un flauto verticale). I musicisti ci raccontano che in Cina è difficile se non impossibile poter affrontare liberamente tematiche politiche nei testi delle canzoni, è per questo che la maggior parte dei brani trattano temi più leggeri, come l’amore. Per certi versi, non che sia troppo diverso in Italia.
Anche noi facciamo ascoltare qualche nostro nuovo brano e anche qualche artista mondiale di riferimento. È a questo punto che capiamo davvero quanto la Cina sia ancora isolata nella fruizione del pop mondiale. Artisti come Ed Sheeran, Justin Bieber, Due Lipa, non sono molto ascoltati, ci dicono, e qui ci crollano tante certezze, per qualche secondo restiamo increduli. Decidiamo così di rompere gli indugi e tutti insieme ci fiondiamo sugli strumenti, moderni e tradizionali, facendo partire una jam session italo cinese di un paio d’ore finché non arriva ora di cena.
Ci rechiamo alla “trattoria” lì accanto per degustare diversi tipi di ravioli, insieme a tutte le persone conosciute in studio. Tutti molto entusiasti di farci assaggiare le specialità del posto e noi molto entusiasti di ingozzarci fino a scoppiare, bevendo bibite tradizionali a base di succo di litchi. Torniamo a dormire verso l’una. Primo giornata molto intensa!
GIORNO 2
Ci svegliamo abbastanza presto e la colazione maestosa dell’hotel ci dà il buongiorno, probabilmente una delle migliori colazioni da hotel mai vissute, per qualità e quantità. Ma, il nostro referente cinese, viene a prenderci per portarci verso piazza Tienanmen, nel pieno centro di Pechino. Dopo una serie di controlli e di divieti (per esempio: non fare video in cui si dichiara qualcosa o in cui ti muovi), visitiamo l’enorme piazza mentre l’aria si fa sempre più afosa sotto il sole cocente. Piazza Tienanmen ci dà la sensazione di essere sotto controllo, ci sono telecamere ogni cinquanta metri e polizia ovunque.
A livello architettonico, troviamo la piazza molto spoglia e poco accogliente, degni di nota sono gli edifici circostanti, cioè il Museo Nazionale della Cina e l’ingresso della Città proibita, dove si erge la foto di Mao Tze Tung. Notiamo che la maggior parte dei turisti intorno a noi (tutti cinesi) si dirige proprio verso la città proibita e con dispiacere le guardie ci informano che per gli stranieri è vietato entrare, a meno di un permesso speciale.
Il caldo è insopportabile quindi poco dopo ci spostiamo al Tempio del Cielo, sempre accompagnati da Ma. Il posto è stupendo, richiama l’antica Cina e il suo splendore. Edifici antichi molto curati si ergono ricchi di decorazioni e colori accesi, siamo ammaliati e rimaniamo in quel luogo per almeno tre ore. Facciamo un’intervista in inglese per una radio cinese e poi arriviamo all’Istituto di Cultura presso l’Ambasciata Italiana. Ci accolgono dei ragazzi italiani che lavorano lì da qualche mese e ci sentiamo a casa. Giusto il tempo di fare il soundcheck e ambientarci nell’auditorium che subito torniamo in hotel (che dista solo cento metri) per una bella doccia. Al nostro ritorno siamo felici di vedere che la sala è già bella piena di cinesi di ogni età e, finalmente, ci esibiamo.
L’impatto col pubblico è subito positivo: Eugenio trasmette tutto l’entusiasmo che ha e la barriera linguistica non è un problema, anzi, è una occasione per lui per sbracciarsi ancora di più e inventare smorfie mai viste prima pur di provare a comunicare la sua gioia. Prova anche a scandire qualche parola in cinese imparata a memoria e il risultato è esilarante, tutti sono molto divertiti dalla sua goffaggine e le nostre canzoni vengono applaudite con energia.
Ovviamente la risoluzione del cubo di Rubik è la ciliegina sulla torta, a un certo punto un ragazzo con un italiano molto elementare ci chiede addirittura di intonare Bella Ciao e noi lo accontentiamo. Abbiamo anche l’opportunità di esibirci con una star cinese, Zan Chu, per la sorpresa del pubblico. Noi eravamo stati avvisati di questa eventualità, è per questo che avevamo preparato un suo brano prima di partire, ma farlo insieme è stato davvero emozionante. Il pubblico Pechinese è conquistato! Concludiamo la giornata con una cena tipica insieme a Diodato e la sua squadra, appena giunti dall’Italia, ci fermiamo a parlare con il direttore dell’istituto di cultura italiana e stringiamo amicizia con Liz, influencer cinese che insegna italiano all’Università di Pechino.
GIORNO 3
Una bella sveglia alle 5 del mattino e si parte in direzione Wenzhou. All'aeroporto ci accoglie un altro ragazzo, si fa chiamare Mao. Non ci chiediamo se sia il suo nome vero o quello che si è assegnato, per noi è Mao e basta. Curioso che i cinesi scelgano un nome ‘semplificato’ per noi occidentali, però è interessante che a un certo punto si possa scegliere un nome a proprio gusto. Mao è molto simpatico e ha un bel senso dell’umorismo, molto italiano, sarà perché ha studiato a Milano e ha vissuto in Italia molti anni. Sappiamo che è un bravo chitarrista e cantante, in auto ci fa ascoltare alcuni suoi brani.
Ci dice anche che lavora nel campo del diritto d’autore, spiegandoci che in Cina non sempre vengono riconosciuti i diritti agli artisti per i passaggi radio. Le distanze in Cina sono enormi e ci vuole almeno un’ora per raggiungere qualsiasi posto, come dall’hotel alla location del festival, alla periferia della città. Il clima è tropicale e ci rendiamo conto di essere in mezzo ai monsoni. Arriviamo in hotel e dormiamo qualche oretta. Poi, ricaricati, siamo pronti per il soundcheck all’East Sea Music Festival. Due ore di viaggio e ci ritroviamo in mezzo alle montagne cinesi, quasi al confine con la Cambogia. Anche qui si mette a piovere fortissimo compromettendo diverse strutture della location.
Appena la pioggia smette tutti si mettono all’opera per riallestire le parti danneggiate e alle dieci di sera riusciamo a salire sul palco e fare il soundcheck. Notiamo un enorme cervo in legno con la testa di cane proprio davanti al palco e scopriamo che è l’area vip. Intanto dei ragazzi iniziano a scavare sotto al palco una canalina per mettere sotto terra i cavi del mixer audio, diciamo una soluzione particolare. Torniamo in hotel distrutti ma contenti. Non ci manca però la forza di andare a mangiare in un luogo tipico della periferia di Wenzhou.
In questi giorni abbiamo notato che nei nostri pasti sono sempre abbondanti le quantità di carne, quindi chiediamo a Mao, almeno per questa sera, di poter mangiare solo verdure e del riso in bianco. Lui ci tranquillizza dicendoci di non preoccuparci e che saremo accontentati. Peccato che il posto in cui ci porta serva solo carne di ogni tipo da cucinare direttamente al tavolo. Mentre facciamo l’ultimo brindisi con birra cinese, entra nel locale un ragazzo con una chitarra che si avvicina a noi, sorridendo. Non parla italiano né inglese, allora ci porge un quadernetto con dei testi, Mao ci spiega che possiamo scegliere una di quelle canzoni e lui la intonerà per noi; lasciamo che sia Mao a scegliere e il ragazzo parte a suonare e cantare con grande passione, molto bravo! Gli spieghiamo che anche noi siamo musicisti allora ci porge la chitarra per far cantare anche noi. Gli facciamo Non vedo l’ora di abbracciarti, mentre i gestori del locale filmano la scena.
Alla fine il ragazzo – di cui non ricordiamo il nome – si siede con noi, gli offriamo della birra e a un certo punto va via contento senza accettare le nostre monete. È tardi e andiamo via anche noi, tornare a piedi e scoprire il mondo notturno fatto di rospi in mezzo alla strada, esseri umani che ci fermano perché siamo occidentali e di persone ubriache stese a terra.
GIORNO 4
Ci svegliamo alle nove per visitare un luogo caratteristico della zona, fatto di strutture in legno e stagni pieni di carpe. Ci fermiamo per prendere dei ravioli per pranzo e compriamo del tipico tè cinese, molto buono, da portare in Italia. Oggi è anche il giorno del concerto al festival. Naturalmente arriva un altro monsone poco prima di salire sul palco, ma non ci perdiamo d’animo e saliamo per fare il nostro show. I cinesi apprezzano molto La punta dell’iceberg, perché nel ledwall alle nostre spalle c’è la traduzione in cinese.
Eugenio cede il suo cubo di Rubik al pubblico, ma il pubblico non riesce a completarlo. Anzi, nemmeno Eugenio riesce e quindi lo distrugge (no, Eugi non se la prende quando non riesce a risolvere il Cubo…). Il concerto piace molto e appena scendiamo molti ragazzi vogliono fare foto con noi e ci fanno molti complimenti. Bello notare anche le differenze fra i vari pubblici, la timidezza iniziale dei ragazzi al festival lascia il posto alla carica e alla voglia di ballare.
Appena finito il concerto ci dirigiamo all'aeroporto di Wenzhou, distante quattro ore di auto. Sull’aereo del ritorno ripensiamo all’avventura incredibile che abbiamo vissuto, al cibo assurdo che abbiamo mangiato e all’emozione di conoscere culture diverse, quanto ci faccia crescere. Non vediamo l’ora di tornare!
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L'articolo Eugenio in via della seta di Eugenio in Via Di Gioia è apparso su Rockit.it il 2023-07-03 09:50:00
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