Il mio viaggio di ritorno da Belfort verso Milano passa prima per Mulhouse e poi per Basilea. Siamo esattamente in bilico fra Francia, Germania e Svizzera, sotto Strasburgo. Sono seduto in un vagone con i sedili disposti a gruppi di quattro, un po' come nei nostri vecchi regionali; accanto a me ci sono una ragazza francese e due svizzeri – non è una barzelletta - tutti alquanto provati da Les Eurockéennes de Belfort, il festival da cui stiamo tornando. Si sono conosciuti in campeggio, si sono ritrovati in treno, ebbri di quell'entusiasmo di ritorno da tre giorni di festa, scambiano ricordi del giorno prima e grasse risate. I ragazzi fanno gli stupidi e lei, che probabilmente è innamorata di lui qui alla mia destra, mi guarda e dice: “l'ignorer s'il vous plait, ils sont bon garcons”, non farci caso, sono dei bravi ragazzi. Rido. “Don't worry. Sorry but... Je ne parle pas français”. “Where are you from?”, mi chiedono. “Je vien de l'Italie”, abbozzo, poi proseguo elencando le mie coordinate in inglese. Chiacchieriamo del festival, parliamo un po' di musica, infine arriviamo in stazione a Basilea. Ho due ore di attesa prima della coincidenza per Milano, così, mentre camminiamo verso l'uscita, mi faccio consigliare un buon posto dove poter passare del tempo. Senza nemmeno accorgermene attraversiamo la frontiera fra Francia e Svizzera, con un solo signorotto occhialuto, magro, alto e un po' truce, a presidiare il confine. In preda a non so quale automatismo, dico: “no passport control!”. “Schengen”, sorride il ventiseienne svizzero con la maglia di Courtney Barnett che parla quattro lingue.
Dopo averli salutati, seduto al Kuss Café Kultur Bar consigliatomi proprio da loro, ripenso a questi tre giorni di festival passati in Francia, nazione in cui è difficilissimo comunicare se non in lingua locale, all'interno di una cittadina a 60 km dal confine tedesco, in una manifestazione frequentata per 80% da francesi e per il restante da svizzeri e tedeschi, a guardare Italia-Germania in mezzo a gufi di ogni nazionalità, a rosicare per il 5-2 troppo facile della Francia sull'Islanda, qui celebrata come una vittoria della Coppa del Mondo (state calmi), a chiacchierare con colleghi olandesi dell'Eurosonic e islandesi dell'Airwaves; tutto questo mentre leggo la notizia che Nigel Farage - leader dell'UKIP, il partito nazionalista inglese uscito vincitore dal referendum che ha sancito la Brexit, la dipartita del Regno Unito dall'Unione Europea – annuncia le sue dimissioni per “tornare a vivere” e perché la sua missione è compiuta (un po' come dire: vi ho messo nella merda, ora cavatevela da soli). Ma come fate, mi chiedo, come fate a non capire che è nell'equilibrio fra specificità e differenze che sta la forza. Che non dobbiamo essere uguali ma semplicemente più vicini. Che così è più bello, più sicuro, più giusto.
Vol au dessus des Eurockéennes
Il tema dell'identità è molto sentito in Francia, tanto più a Les Eurockéennes, festival giunto alla ventottesima edizione. Organizzato appunto a Belfort, cittadina di 50k abitanti della Borgogna, accoglie in tre giorni il doppio della sua popolazione: più di 100k persone, 34k al giorno, di cui 8k in campeggio, di età e genere molto vario. Complici gli Europei di Calcio in casa, sulle guance delle ragazze non c'erano che bandiere blu, bianche e rosse, e i nomi più gettonati sulle numerosissime maglie della nazionale di calcio erano quelli di Pogba e Payet. La partita Francia-Islanda, buona per l'accesso alle semifinali, è stata trasmessa pressoché su ogni schermo disponibile e non solo nell'area predisposta ad accogliere 5k appassionati, per via dell'altissimo interesse e del rischio concreto di problemi per la sicurezza. Con una line up così internazionale, nonostante grandi nomi worldwide come ZZ Top, Disclosure, The Last Shadow Puppetts, Beck, Ty Segall, The Kills, Tame Impala e tanti altri, a fare in realtà delirio e ticket selling sono stati artisti francesi. È il caso dei Les Insus, band nata dalla reunion di 3 membri dei Téléphone, una sorta di Rolling Stones francesi (immaginatevi Jagger e Richards, però con la erre moscia), autentici mattatori rock'n'roll della prima serata; o ancora i Louise Attaque, la formazione parigina di Gaëtan Roussel, una sorta di Toni Servillo con la Fender Mustang; infine NekFeu, rapper famosissimo in Francia che ha fatto collassare decine di signorine.
In tal senso, la cosa che più mi ha colpito è successa mentre aspettavo l'inizio del concerto dei Mellow Mood, unica band italiana in cartellone, programmata peraltro in uno slot ambizioso sul main stage prima di un certo Beck. Ero pressoché sotto il palco, in decima fila più o meno, dietro di me un prato enorme modulato sulle dolcezze di una grossa collina con molta gente seduta in tranquillità. Attorno a me decine di ragazzi e ragazze giovani, intorno ai vent'anni, carichi come molle per la serata da lì a venire (erano le sette). Tutto ad un tratto, senza particolare motivo – era sabato, la partita della Francia si sarebbe svolta il giorno dopo – parte un coro spontaneo che si diffonde a macchia d'olio. È la Marsigliese, l'inno francese, cantato con alcolico ma intensissimo trasporto, con tanto di mani sul cuore di alcuni.
I Mellow Mood intanto salgono sul palco, con il prode Paolo Baldini al mixer ad arrotondare la qualità impressionante dell'impianto. Fin dalle prime note si capisce che l'unico bizzarro slot reggae di questo festival francese prevalentemente rock oriented, occupato da un gruppo di friulani doc, sarà una magia. Il concerto dei Mellow Mood (riguardatelo qui in versione integrale) è pensato benissimo e rodato ancora meglio. Dopo aver girato i migliori eventi continentali e overseas, in Centro e Nord America, neanche la stanchezza di un tour lungo mesi può scalfire questo spettacolo che mette al centro il reggae sound e il rispetto verso una Nazione, la Jamaica, la sua cultura e il suo popolo. Ambasciatori lo si diventa per nomina, ma anche e con più gusto per acclamazione.
I Mellow Mood non hanno mai piazzato hit al di fuori del mondo reggae, ottenendo numeri importanti soprattutto nella scena. Eppure la costruzione dei loro brani, gli arrangiamenti che esaltano il groove da un lato e la vocalità dei gemelli Garzia dall'altro, riesce a renderli familiari e immediatamente riconoscibili anche ad un pubblico di ragazzi francesi probabilmente non fanatici della materia, che fino ad un attimo prima avevano cantato l'inno abbracciandosi l'un l'altro. È il capolavoro di quella che oggettivamente è oggi la miglior live band reggae europea, destinata a diventare qualcosa di grosso nel mondo, soprattutto se riuscirà nell'unica cosa che ancora manca: scrivere la canzone della vita. Scesi dal palco, i gemelli Garzia – che sono friulani doc ma spesso vengono confusi per jamaicani o addirittura maghrebini – notano nel pubblico l'unica ragazza ad avere la bandiera non francese ma italiana sulle spalle, oltre al tricolore verde bianco e rosso dipinto sulla guancia. “Sei italiana?”, le chiedono. “No, francese”. È la magia del mondo, quel mondo in cui qualcuno si arroga il potere di pensare che tracciare dei confini su una mappa equivalga a impedirci di poter essere umani, curiosi e pieni di voglia di (con-)vivere.
---
L'articolo L'identità europea e il reggae: i Mellow Mood trionfano a Les Eurockéennes di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2016-07-02 00:00:00
COMMENTI (1)
Reggae from Sicily. Peace to da Twinz:
rockit.it/Triska