L'Exit è un festival nato nel 2000 come gesto, atto politico attraverso la musica, organizzato da un gruppo di ragazzi costantemente ostracizzati dalle istituzioni locali (tanto che alcuni di loro sono stati addirittura arrestati, in passato). Oggi è un momento di cultura e business, modello europeo. Quindici palchi, ogni possibile genere musicale, 200.000 persone. Rockit era tra i media partner. Un lungo racconto di Carlo Pastore. Foto di Ascanio Sforza.
Sbronzarsi la sera immediatamente antecedente ad una sveglia crudele non è furbo. Ti sopravvaluti, non hai visto che caldo c'è fuori? Mancano le energie. Hai preso il Supradin? L'aria condizionata e poi il caldo marcio… sei debole, dovresti fare attenzione. Te l'ho sempre detto. Sempre. Detto. Tre ore scarse di sonno e il taxi aspetta sotto casa sua per andare verso Linate, 10 euro a culo appena poggiato no dai, non è civile. E quel tassametro cos'ha? E' dopato? Tu quoque, tassista, continui a piangere miseria. Malgrado Belgrado prima c'è lo scalo a Roma. Sono 4 ore di volo da Milano alla capitale serba, per poi trasbordare verso Novi Sad - cittadina da me finora solo conosciuta per essere stata patria calcistica del giovane Milos 'Freccia Serba' Krasic - in questo contesto invece location dell'imponente Exit Festival cui mi accingo a partecipare. Non so nulla. Non mi sono organizzato. Vado con il flow. Poggio la mia testolona su di te che sei la mia salvezza. E dormo un po'.
Il sole continentale restituisce un brivido alla pelle atrofizzata dall'aria condizionata. In aeroporto prendo un caffè italiano per 190 denari (1,90 € circa, ma non disperate: mi hanno inculato), e mi sento subito Carlo Magno. Accettano anyway gli euro, l'Europa accetterà anyhow la Serbia? Nell'hangar ragazzi francesi, tedeschi e inglesi. Soprattutto inglesi. Per un festival, è ottimo segno. Aspettiamo il pullman-navetta che ci porti verso Novi Sad. Sono circa 80 km. Attorno a noi è un gran vociare di facce corvine che offrono taxi, cui puoi reagire con 1) la paura del diverso 2) lo scarto della ragione 3) il presobenismo da festival. Ti guardo negli occhi e intanto arriva il benedetto mezzo. Raccogliamo il nostro bagaglio a mano in due, esco dalla porta scorrevole, cercando un qualcosa di simile al mio concetto di pullman di linea. Errore #1. A Novi Sad ci porta un autobus di linea, quello con più posti in piedi che a sedere, con i tubi gialli a cui aggrapparsi, il dovere morale di far sedere le vecchie prima dei giovani e la scritta "uscita / exit" in corrispondenza della porta centrale. Dev'essere che qualche città italiana abbia svenduto l'usato alla bisognosa Serbia post-guerra dei Balcani. 900 denari e siamo su. Poggio il mio culo sugli ultimi posti, ancora incastrato nella logica da scuole medie anni ottanta, che se ti siedi in fondo sei un gallo e le tipe ti sfitinzieranno (?). Peccato che scelga il cosiddetto "posto del babbo", ovvero quel sellino di primo acchito tanto confortevole, salvo poi trasformarsi in un mattone rovente. Errore #2. Mentre alcuni australiani di fianco a me parlano un inglese surfistico e si lamentano dell'odore acre di benzina che il nostro "pullman" ci regala internamente, io, dietro i miei occhiali da sole, guardo fuori dalla finestra.
È come se stessimo tagliando, sballottati ciondolanti per vie delle pause dell'asfalto, una gigantesca provincia italiana, dignitosamente rurale, di 40 anni fa. Mi sembra di rivedere le foto di Veruno e della provincia di Novara negli anni Sessanta e Settanta. Solo senza l'azione lenitiva della nostalgia, con il bianco e nero ad aiutare le luci e nascondere le ombre, o viceversa in un'opera di stratificazione dell'emozione. Case sparse e raggruppate in piccole comunità, in mezzo ai campi. Discariche di pneumatici a cielo aperto, automobili abbandonate e senza più targa. In giro si intravedono circolare pochissimi mezzi contemporanei, la gran parte dei veicoli sono stati immatricolati negli anni Ottanta e Novanta (Volkswagen, Fiat, Opel, Citroen, Yugo). Molti chioschi e baretti al lato della strada. Ebbri di benza, con il culo incendiato, stanchi e in silenzio, mi dici:
- Sarà un pullman anni Novanta. D'altronde, anche i Pulp sono anni Novanta.
(L'autobus)
Catapultati nel caldo umido e nel bazar delle camere in affitto. Mi colpisce la grande duttilità con l'inglese della maggioranza della gente che gravita attorno al festival. Quasi tutti i tassisti se la viaggiano alla grande, anche se è tutto scassato: dalle auto alla grammatica. Penso all'Italia e mi girano – subito - le balle: la nostra spocchia dantesca e quel frocio ciondolarsi, il volemose bene e l'annamo avanti. Qui dove le ferite bruciano ancora anche se i fori alle pareti sono stati coperti, molta gente vive con 200 euro al mese, non c'è tempo per il puzzo cheesy dell'Arbre Magique. Leoni nella vasca dei piranha. Fame since 1985. E anche senza maiuscola: non ho mangiato niente. Dammi due denari, baby.
- Cinese o le alette di pollo?
- Cinese. Fatti mettere le noccioline.
(La fortezza, l'ingresso al festival)
Seduti su un tronco, guardiamo scendere il sole sul Danubio. Dentro la Fortezza Petrovaradin, dopo aver schivato ragazzine che vendono fialette di vodka ad un euro e poliziotti che perquisiscono in cagnesco all'ingresso. Dentro 12 ettari e circa 16 km di tunnel di capolavoro architettonico, location top assoluta finora fra tutti i festival cui ho avuto fortuna di partecipare. Ancora spaesati. Ci vuole un attimo per capire quanto è grosso e quanto è bello e quanto è sorprendente l'EXIT.
- Birra?
- Prendine 5.
- Ti piace la birra, eh?
Andiamo a vedere i Bad Religion, la loro prima volta in Serbia, un battesimo di fuoco. In questo giovedi 7 luglio che sta solo per decollare. La solita, caldissima messa di hardcore melodico californiano. Raccolgo un giornaletto per terra e pianifico la serata: Arcade Fire, Pulp, Verdena, Beirut, Magnetic Man, Deadmau5.
- Forse sono stanca, non lo so. Sicuramente sono stanca. A me gli Arcade Fire hanno un po' annoiato.
- Ti dico che il concerto al Transilvania nel 2005, quando scendevano in mezzo alla gente in una sorta di marcia, mi aveva cappottato. Pure bliss. Per davvero uno dei miei concerti più belli di sempre. "Funeral" è un album incredibile, anche "Neon Bible" mi piace un sacco. Al Rock En Seine l'anno scorso fra i Roxy Music e il vino rosso e la pioggia, boh, anche no. Questa volta mi è piaciuto.
- Sarà che non conosco tutte le canzoni e non sono invasata. Mi sembrano un gruppo per famiglie. Invece i Pulp perfetti, Jarvis è un figo pazzesco, una voce incredibile, dei visual della madonna.
- Un gruppo morto.
- Ma cosa dici! Un concerto bellissimo.
- Sui visual ti do ragione, assoluti, ma è stato un karaoke.
- È stato uno spettacolo perfetto, da reunion dove sai quello che ti aspetti: un best of. Lui carichissimo e carismatico e stronzo e intellettuale e in formissima.
- Mi sono rotto il cazzo delle reunion. E anche del vintage. E del fatto che di certi santoni non puoi parlare, neanche male, se no le fan giovani e idiote – e non dico chi c'era allora – scrivono puttanate su Facebook. E anche del folk. E fanculo a questo giornale che c'era scritto l'orario dei Verdena sbagliato e mi son visto solo l'ultimo pezzo.
Sdraiàti in una zona relax di fianco al palco reggae dove un pessimo dj suona dischi mediocri. Il fastidio per non aver visto l'intera perfomance dei Verdena (nel peggior palco del festival, un piccolo ghetto con un impianto così così) si visualizza nelle facce corrucciate di Alberto e Roberta a fine concerto, smontano in fretta, mentre Luca intima alle stoiche fan in prima fila di non gridare il loro nome, che non è serata. Chiudo gli occhi, sdraiato su un puff. Sucheranno Magnetic Man e Deadmau5.
- - Però "Common People" che capolavoro E'? Pazzesco.
(La terrazza)
Svegli con calma. Il caldo assoluto. Infiliamo bottigliette di vodka cheap nelle mutande per sopraffare poliziotti curiosi. Toccano dappertutto. Entriamo muniti. In attesa degli headliner già la situazione è incredibilmente più densa di gente. Un giro di ricognizione fra palchi ci porta a rimbalzare fra il Latino con i suoi balli di gruppo (giuro) e una terrazza cocktail con vista mozzafiato, proiezioni di corti e piccoli laboratori d'arte. Purtroppo però niente cocktail intesi come ben sappiamo, solo misurini. La nostra sete non si misura: scrivetelo sui muri. Ciondoliamo in zona mainstage e mi fermo a guardare Amadou & Mariam. Una coppia di musicisti non vedenti del Mali. World music, Africa, e disco. Un groove potentissimo. Partono di fronte a 100 persone che si moltiplicano piano piano come pesci. In ballo adorato.
- Ma quanto era bella la sua Strato dorata?
- A me faceva riderissimo quando ogni fine canzone urlava "R u feelin alright?". Sempre uguale.
- Ah ah ah.
(Il palco Latino)
Un altro giro per palchi e scopro e dimentico centinaia di gruppi slavi, o europei, che suonano sui millepalchi di questo festival. Dal metal al fusion. Ce n'è per tutti. Come allo Sziget, ma molto meno punkabbestia. Fondamentalmente, la musica "alternative" e "indie" è drammaticamente uguale e inutile, con la variante della lingua, che non addolcisce l'ascolto. Berrò l'ennesima birretta a 190 denari per dimenticare. E corriamo, si fa per dire, dalla vera band-festival di questi ultimi cinque anni. Gli Editors. Dai Joy Division ai sintetizzatori gli arrangiamenti esprimono quella gamma di gusti lì. Le canzoni, in una scaletta perfetta e sempre pressoché uguale, ci sono. Così ce la godiamo di brutto. Facile, pedissequo. In attesa di lei, la donna più bella del mondo: M.I.A..
- Uh. E' stato bellissimo o no? Non ho capito.
- A me non è piaciuto.
- Gelosa.
- Ma va, era tutto un gran casino. L'unica cosa che ha fatto ridere è quando ha fatto andare tutti i fotografi sul palco, così li ha messi al centro della scena e lei ne risulta fighissima.
- Geniale.
- Però non ha voce. E anche far salire tutta la gente a ballare lo fa sempre anche Iggy Pop.
Occhi a cuoricino.
- Ma guarda te, sto babbo!
- Ah ah ah, dai facciamo così: prima Alexander Robotnick all'Elektrana, poi Dance Arena.
(La Dance Arena)
E così giunse il momento di aprire le nostre porte a questo micro macro matto mondo, un festival dentro il festival, una vera a propria arena collegata da due soli ingressi ripidissimi, una bolgia paradisiaca senza muri con la gente aggrappata alla terra che balla e lancia le mani verso il cielo terso e tu lei lui le pastiglie la birra i cessi chimici Marco Carola che suona ha finito Carl Craig? sparano il fumo lanciano i coriandoli lei quanto se la sta sentendo? nessuno è pigliato male secondo me non c'è neanche tutta sta fattanza ho trovato questo braccialetto sembra carino ma forse è spazzatura lo vuoi?
Il sole sorge prestissimo qui in Serbia. Alle 4.30. Occhiali da sole.
Sabato è il nostro ultimo giorno qui. Non è l'angoscia, pensare il primo giorno che tutto finirà presto è un ottimo modo per rovinarsi bei momenti, e ne sono esperto. Ma domani si va per davvero, quindi stasera sarà per davvero come senza un domani. Fino a Santigold non c'è molto da dichiarare, se non un bellissimo pomeriggio speso in centro a Novi Sad, in una viuzza che sembra di essere a Stoccolma, con i baretti 24/7 a mangiare cose buone e bere, cà va sans dire, ottima birretta. Misurami sta sete, fratello.
- Tenera: provava i suoni con tutta la gente già lì sotto. Sembrava imbarazzata.
- Chissà cosa le è successo, non è normale che un headliner faccia il suo soundcheck prima di salire sul palco.
- A me sono sembrate abbastanza cheap le sue coreografie casuali.
- Così cheap che hanno fatto il giro e mi sono piaciute! Aveva dei vestiti bellissimi, molta gente sono sicuro non li abbia capiti.
- Santigold è la New York perfetta, che evoca nostalgia e distanza.
- Amo la sua voce elegante. Perfino troppo elegante forse per un festival.
- Adesso c'è JK!
- Te l'ho mai detto che un mio vicino di casa a Veruno si chiama Jamiro? E' un ragazzetto con due occhi blu grossi così.
(Pulp, M.I.A., Jamiroquai, Santogold)
Jamiroquai senza aspettative vuol dire 1) un cantante bravissimo, un performer assoluto 2) ore di funky come macinare chilometri sulla fascia 3) stare pigiati come sardine 4) pensare: "suonano bene questi" 5) birretta 6) pensare "bravi, ma anche basta dai" 7) I'm going deeeper undergroooound there's too much panic in thisss town!
Mangio un hot dog e mi abbiocco sotto un orologio gigante. Non misurare il tempo. L'erba è un ottima coperta al contrario, ci hai mai pensato? Se sola potessimo ribaltare il mondo, ci appoggeremmo sull'aria e ci copriremmo d'erba. Conosco almeno 49 persone che vorrebbero farsi coprire d'erba. Altre sette vanno a correre tutte le mattine per finta. Altre 27 come il club.
- Carlo, Carlo! Andiamo?
Finiamo alla Dance Arena a crivellare le stelle e non il contrario. Presumo che stasera siano loro ad ispirarsi e a brillare della luce riflessa di questo posto. Prima Groove Armada, poi Dj Sneak. Pestano. Morbido. La gente balla, non poga. Mica abbiamo 14 anni e dei genitori fuori che ci aspettano. Quelle robe le abbiam già fatte. Fatti. Non tutti ma molti. Il sabato è diverso, le gabbie sono aperte. Chi sono quei due Ivan Bogdanov che menano pugni in aria? C'è un giovane gonfio di paste e steroidi che fa piegamenti su una americana. Falene disperse nel ventre di balene. Loro si baciano in mezzo alla discarica di bicchieri di plastica vuoti. L'amore ai tempi dei cessi chimici. Lui non ce l'ha fatta a pisciare, è caduto prima. Noi andiamo a farci fottere, perché domani dobbiamo andare via? Il tempo di stare tre ore in albergo, raccattare il nostro bagaglio a mano in due, prendere la solita navetta – che questa volta il culo lo poggio giusto – e vedere che tutti rimangono ancora lì. "Take care", mi dice il bigliettaio. Presagi? Disagio. Buche. Caldo. Saliamo in quattro: io, te, un tedesco e Jamie dei Klaxons (!) - attraversiamo un paese pieno di cocomeri. Arriviamo presto per aspettare ore un aereo con un ritardo direttamente proporzionale alla nostalgia che cresce.
(Il cielo di Novi Sad)
Come questo festival nato come atto politico, un messaggio a Slobodan Milosevic, al suo nazionalismo sanguinario e violento. Come dire: "Non penso che la sicurezza possa risolvere i problemi. Dobbiamo insegnare di più il rispetto" (Fabian Stang, Sindaco di Oslo). Come dire: "Risponderemo con più democrazia" (Stoltenberg, primo ministro norvegese). In questo senso: è assolutamente Europa. Un festival che oggi – parole ufficiali del sindaco di Novi Sad – per ogni euro investito ne produce 67 sull'economia della città. 200.000 persone. Mediamente felici. Prezzi accessibili, mica vorrete entrare nell'euro per raddoppiarli vero? Quante lezioni all'Italia dei trotta trotta cavallini rampanti (ma noi siamo Europa?). Non basta che lo leggi sui libri, che lo senti dire in tv. Non basta che lo senti nei dischi. Il festival è diverso. Il festival è un'altra cosa. I gruppi puoi metterli in fila sempre, le motivazioni non si misurano. La filigrana resiste. La musica insiste e continua la cura. No, inutile che insisti, il busto di Tito non l'ho trovato.
(L'amore al tempo dei cessi chimici)
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L'articolo Exit - Novi Sad di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2011-07-07 00:00:00
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