Il refrain lo conosciamo tutti: il rap in italia è la nuova musica pop, il nuovo “El Dorado”, l'unico genere che oggi riesca a vendere e a riempire di propri artisti la classifica. I nomi una volta era facile ricordarli, si contavano sulle dita di una mano. Oggi a piazzare i propri dischi nelle chart invece sono tantissimi, da far perdere il conto pure agli addetti ai lavori. Ma è davvero tutto oro quel che luccica?
Attenzione, premessa importante. Qui non si intende fare un'analisi qualitativa di quanto viene prodotto oggi, non è l'ennesimo accorato articolo in stile “era meglio prima”. L'intenzione qui è più di “prendere la temperatura”, tastare il polso al rap italiano e capire se davvero sia riuscito a raggiungere, anche commercialmente e a livello di popolarità, una sua piena maturità o se invece abbia ancora bisogno di qualche stampella, di qualche trucchetto per consolidare la sua posizione, per fare certi numeri.
Questo 2015 è stato un anno particolarmente florido a livello di uscite discografiche nell'ambiente, quasi tutte corredate da ampia esposizione mediatica e lunghi tour di instore e “firmacopie” prima ancora che di concerti. Quasi tutti i big sono usciti con il loro disco, seguendo chi più chi meno questo schema.
Poi c'è Fibra.
L'artista di Senigallia, oltre a cacciare fuori il suo disco a sorpresa in piena notte, ha scelto un approccio totalmente diverso. Nessun instore, nessuna intervista, zero firmacopie. Nessun appoggio mediatico se non quello dei suoi social. Una bella sfida insomma. Una sfida che può essere il punto di partenza perfetto per la nostra analisi: il più esposto degli artisti rap italiani esce puntando solo su se stesso. L'occasione perfetta per capire se sta roba sta in piedi da sola.
Come è andata? Disco d'oro, anche se dopo più di sei mesi. Un risultato di lettura non proprio immediata. Se da un lato è vero che oggi si vendono in assoluto molti meno dischi di qualche anno fa, è anche vero che i numeri per raggiungere questo traguardo sono cambiati (oggi per fare un disco d'oro si devono vendere 25.000 copie). Inoltre, la promozione classica (che qualcuno definisce doping delle vendite) funziona bene, e ha garantito ad artisti molto meno esposti e validi di lui risultati spesso migliori. Come interpretare questa cosa?
“Sei mesi per un disco d'oro non è un tempo lunghissimo”, ci dice Paola Zukar, manager di Fibra e figura centrale nell'ambiente. “Calcolando tutte le variabili che entrano in gioco alla pubblicazione di qualsiasi album, tenendo presente che non c'è stata appunto alcuna promozione attiva (se non i post sui propri social network), alcun "singolo" (per come lo intendiamo qui da noi), alcun endorsement di nessun media, mi sembra un traguardo notevole in un Paese dove la musica è dicotomica: underground puro o pop tradizionale. Squallor rimane un caso a sé stante. Puoi anche aggiungere che i volumi di "vendita" di per sé sono calati moltissimo, visto che i servizi di streaming si stanno radicando fortemente anche qui.”
(Fabri Fibra e Guè Pequeno)
Per inciso, il sospetto che con una promozione a tappeto un disco del genere avrebbe potuto vendere di più è fortissimo. Basti pensare che Guè Pequeno con il suo disco “Vero”, ha raggiunto l'obietivo del disco d'oro in circa la metà del tempo. Com'è è nata dunque l'idea di muoversi così? Che conclusioni possiamo trarre oggi non solo su questa scelta, ma sulla condizione stessa del rap in Italia?
“Ogni album, con la sua musica, dovrebbe "guidare" le scelte promozionali e di marketing", continua Zukar, "non penso dovrebbe essere viceversa, anche se oggi è molto spesso così, tanto da deformare perfino gli album in sé per andare incontro a certi prerequisiti. Credo che ascoltando le parole e le strumentali di Squallor ci si renda conto che non ci sia molto spazio per quella forzata spensieratezza richiesta in determinati contesti promozionali, che spesso ti porta a rendere tutto leggero e simpatico anche quando stai proponendo un altro tipo di prospettiva sulle cose che ci circondano e che ci muovono. E spesso, tutta questa "spensieratezza chiacchierata" distoglie dalla musica in sé che arriva così già spiegata, tradotta, pre-masticata. Certo le interviste possono anche arricchire ed ampliare l'interesse per un album, ma dipende dalle interviste e dall'album, appunto. Tra i media non in molti hanno capito questa equazione piuttosto elementare, ma qualcuno sì, completamente, ed è stato molto gratificante. Inoltre, la risposta dei fan è stata completa, entusiastica e senza riserve. E con l'appoggio incondizionato della discografica, tra l'altro.”
"Squallor" quindi come un esperimento unico, in cui si esce dalla classica formula promozionale per seguire il percorso naturale suggerito dall'album, dalla sua musicalità, dai suoi temi. E ci si inserisce in una fascia nuova, sfuggendo alla dicotomia mainstream/underground tanto cara alle nostre latitudini.
Forse il rap oggi non ha ancora le forze per attirare su di sé tutta l'attenzione mediatica che merita in maniera autonoma, ma sta in piedi benissimo con le proprie gambe. E questo, oltre ad essere un'ottima notizia, è un gran passo avanti.
---
L'articolo Fibra e l'effetto "Squallor": il rap italiano non ha bisogno della tv? di Matteo Villaci è apparso su Rockit.it il 2015-11-27 18:06:00
COMMENTI (1)
Bell'articolo..però se per voi fare disco d'oro senza promo (oltre ad un tour sold out) significa semplicemente stare sulle proprie gambe vi sbagliate perchè invece è stato un pieno successo!!non si puntava ad altro che la qualità..per fare la classica promozione doveva fare singoli diversi un disco diverso e quindi ora non ci sarebbe squallor ma un altro Guerra e Pace o Controcultura (dischi bellissimi ma comunque influenzati dal mercato)