Negli scorsi mesi avevamo coinvolto i musicisti che avrebbero suonato al MI AMI Club Tour in un dibattito sullo stato della discografia nel nostro Paese, e su come farne parte li faceva sentire. Abbiamo deciso di riprendere in mano questo dibattito, coinvolgendo Giacomo Gelati, Jacques Gelées per chi lo ha incrociato sui social. Giacomo viene da Bologna e nella vita la sua musica ha un ruolo centrale: c’è il suo gruppo nato con gli amici del liceo, Altre di B, ma anche le esperienze sul palco con Lo Stato Sociale, oltre a un paio di progetti come LaPara e Gee-Whizz. Eppure questo è solo un frammento nella vita di Giacomo, che fa diverse professioni per riuscire a mettere insieme uno stipendio decente. Uno che alla musica ha dato tanto, sempre e comunque con il sorriso. E che ora si sente “un po’ stanchino”. Ecco cosa ha avuto da dirci.
Sono Giacomo Gelati, sono giornalista presso la redazione sportiva de Il Resto del Carlino di Bologna, sono operaio agricolo specializzato in un’azienda vitivinicola bolognese nella Docg del Pignoletto, sono speaker radiofonico presso Radio Fujiko, Nettuno Bologna Uno e Radio Oltre. E sono anche musicista, iscritto a una cooperativa dello spettacolo. Sono tutti mestieri che dipendono da cicli più o meno lunghi (stagioni sportive, cicli vegetativi, stagioni radiofoniche e tour), quindi è una sorta di incastro fatato che permette di lavorare sempre. Ma, com’è facile intuire, a incassi troppo bassi per poter vivere la vita, soprattutto con un mutuo, una famiglia e delle spese ordinarie. Dilemmi, per così dire, che riguardano gran parte delle persone. Voglio fare il lavoro dei sogni, ma a quale prezzo?
Dopo il diploma al liceo scientifico mi sono laureato in Scienze della comunicazione con una tesi in Semiotica su David Lynch: malauguratamente ho trascurato la magistrale, perché stavo già lavorando e non riuscivo a far collimare gli impegni. Finito il liceo, infatti, la mia prof di italiano mi ha raccomandato a suo figlio giornalista, che è stato l’apripista di una lunga gavetta. Nel frattempo suonavo già e avevo iniziato a fare lavoretti stagionali in campagna. Da lì alla vigna è stato un passo breve.
Ho iniziato a suonare al liceo coi compagni di classe, e ho tuttora la fortuna di farlo, nelle Altre di B: a giugno 2025 festeggeremo vent'anni di matrimonio. Con loro il percorso discografico è stato un susseguirsi divertentissimo di autoproduzioni (su tutte le prime demo con le figurine Panini delle squadre di serie B), fino al 2017, quando abbiamo firmato il nostro primo e unico contratto discografico. Diciamo -ma non è niente di nuovo - che la forbice fra l'universo DIY e quello delle label è davvero molto ampia, soprattutto a livello promozionale e decisionale. Per noi è sempre stato tutto molto semplice e lineare: scrivi, provi, registri e suoni. Oltre questo rigido schema, almeno per la nostra esperienza, sono arrivati i problemi; perché l'industria porta inevitabilmente a gareggiare, anche chi di carattere non è portato a farlo. Dal 2018 sono anche il chitarrista live de Lo Stato Sociale, LaPara, Gee-Whizz e sono il bassista di Brace: tutti mondi musicalmente diversi, ma con un'idea molto chiara su cosa sia una band e come siano certe dinamiche.
Dedico moltissimo tempo alla musica, sia a livello compositivo sia a livello gestionale, anche per gruppi che non sono il mio. Più che definirlo un incastro è tempo attivo, che non va confuso col tempo libero. Le soddisfazioni sono intrinseche alla musica e sono la cosa che assomiglia di più a una vacanza con gli amici e la famiglia. Le frustrazioni subentrano quando si guarda a questa attività come a una gara a chi piscia più lontano e non come a produzione culturale (a qualsiasi livello) e a intrattenimento (idem): allora band, booker e promoter fanno a spallate ed è un circo osceno del quale abbiamo avuto esperienza diretta. Prendendone le distanze. E poi c’è un ampio dibattito, alquanto sgradevole, che riguarda gender gap e maschilismo in ambito musicale: la mia compagna, fondatrice e cantante de LaPara, l’ha fatto diventare un tema sociologico che sta cercando, non senza difficoltà, di diffondere.
Nei periodi di tour si vive economicamente bene ed è senza tema di smentita il lavoro più bello del mondo. Per quanto emotivamente sia complesso gestire la distanza con la famiglia, facendo inevitabilmente ricadere il peso della gestione di un figlio sugli altri. Questo è un grosso macigno. Da quando la mia compagna è rimasta incinta ho istintivamente iniziato a ragionare per tre ed è un processo mentale che non so spiegare, ma che mi accompagna da oltre due anni. L'arrivo di mio figlio è la cosa più grande che mi sia successa, la più pesante, la più appagante, la più intrigante e siamo cambiati noi come genitori, ma anche tutte le persone attorno a noi che collaborano alla formazione di una rete affettiva. Nella vita di tutti i giorni abbiamo scelto di non cambiare le nostre abitudini e i nostri programmi, ma di adattarli nei limiti del possibile: andiamo ai concerti, andiamo al ristorante o all'aperitivo in centro, prendiamo l'aereo, andiamo alle feste, viaggiamo e quant'altro.
Conosco sia persone che riescono a vivere solo di musica, così come persone che hanno dovuto tagliarla dalla propria vita perché non potevano permetterselo, ma in prevalenza ho contatto con persone in una situazione analoga alla mia e bassissime percentuali che riguardano il campare di sola musica e la rinuncia-rifiuto. Diciamo che avere un piano B facilita nei periodi in cui non si è in tour.
Vivo un periodo molto complesso legato sostanzialmente al pensiero e alla mancanza di soldi per vivere in tranquillità e affrontare le spese ordinarie senza affanno: non sono felice, è una cosa che mi fa vergognare smisuratamente, un argomento di cui preferisco scrivere che dibattere a voce, perché sembra dequalificare il valore che hanno famiglia e amici. Ma il trick psicologico del capitalismo è proprio questo: lascia perdere casa tua, le politiche, i contratti, le regole e la sicurezza… Tu fatti il culo e otterrai ciò che vorrai, spaccati il culo e godrai una vita fragorosa. Pompa i tuoi sforzi nelle casse di altri.
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L'articolo Faccio il musicista, ma sono davvero felice? di Giacomo Gelati è apparso su Rockit.it il 2024-09-23 10:00:00
COMMENTI (2)
Articolo molto bello, anche se doloroso. Grazie per la condivisione.
Parlavo di questo proprio l’altra sera con i ragazzi della band Balto. È un discorso che ha molti livelli di complessità e che riassumerei con “capitalismo musicale”.
Sarebbe molto bello se in rockit decideste di approfondirlo, raccogliendo dati, interviste, questionari.
Massimiliano Raffa ha scritto un libro stupendo, Poptimism, a cui forse manca proprio la parte di “parte bassa della filiera”, quindi i musicisti.
Magari riuscite ad approfondire e scriverne un libro :)
Ti capisco, io da ragazzo ho smesso di suonare (nelle band), ho messo su famiglia, ora che i miei pargoli sono grandi, ho ripreso da dove mi ero fermato, ora sono riuscito con la mia band a pubblicare un album e suoniamo per il gusto di suonare, purtroppo di musica di muore di fame...