Premessa obbligatoria: c'è stato un tempo in cui sotto la dicitura indie, si intendevano le band di fascia medio piccola, che non avevano un contratto con una major discografica e che proponevano musica alternativa a quella mainstream, cioè diversa nella forma e nella sostanza da quella che sale in classifica. Era un altro mercato, lo seguiva una nicchia di persone tanto unita quanto ristretta. Quando sono arrivati gli anni '10, quelli dell'itpop e della trap, delle band che vengono dal basso e aspirano a fare lo stesso successo di quelle già famose, qualcuno si è dimenticato di nascondere la parola indie ai nuovi fan, e quella è stata ripertinentizzata, solo in Italia, come nei ready-made di Duchamp: vedi un cesso, ma lo guardi in galleria quindi non è più un cesso, è un'opera d'arte. Quella del cesso non è una metafora musicale, solo un fatto.
La misura per capire cosa sia diventato l'indie in Italia rispetto al resto del pianeta, è facilmente riscontrabile nei gruppi Facebook tematici, perché per quanto un addetto ai lavori non userebbe mai quella parola, ormai è diventata talmente incollata a un certo tipo di genere (il nuovo pop italiano) da non sapere come fare a scorporare le due cose. Non aiuta certo Spotify, con le sue playlist Indie Italia e compagnia, volte a saldare per sempre band di ragazzi con camicie anni '80, baffi, capelli mossi, tormentone facile, caviglie scoperte, poca loquacità dal vivo, comunicazione social post-moderna, suoni sintetici, citazioni di personaggi famosi, città o brand nelle canzoni con la parola indie, ormai sdoganata anche in tv. Nei programmi nazionalpopolari è diventata sinonimo di strano, singolare ma comunque orecchiabile, accettabile, spendibile.
Se cercate indie su Facebook, sezione gruppi (quelli più liberi e attivi sul social), vi imbattete subito in Indie Spirit, un gruppo internazionale nato per omaggiare la musica shoegaze, twee pop, dream pop, avant garde, lo-fi, garage e noise pop. Nella foto descrittiva, le copertine di album di Big Thief, Daniel Johnston, Jay Som, Bill Callahan, Grandaddy, Sharon Van Etten, Cocteau Twins, Polvo, Wild Nothing. Gente che, e qui tocca ribadire l'ovvio, con Gazzelle o Achille Lauro ha ben poco a che vedere. Non c'è neanche giudizio in questa analisi, ognuno fa il suo viaggio, è solo una constatazione: nel resto del mondo, indie vuol dire un'altra cosa rispetto all'Italia.
I gruppi Facebook sono l'aggiornamento dei forum sui siti negli anni 2000, quelli in cui si discuteva fino al sangue (virtuale), regno di faide, scherzoni di ogni specie ma anche di riflessioni, consigli e confronti che hanno contribuito a fare la critica musicale indipendente. Per capire fenomeni, dinamiche, corsi e ricorsi, dobbiamo passare da lì. I due più famosi nel nostro paese sono senz'altro Diesagiowave (quasi 23mila membri) e La Stazione Indiependente (quasi 26mila membri). Sono gruppi speculari e assolutamente antitetici: Diesagiowave qualche tempo fa lo frequentavano tutti gli addetti ai lavori perché, tra un meme all'acido muriatico e l'altro, spingeva un sacco di progetti underground, se li cullava e li faceva fiorire. Pop X, la trap meno commerciale, Pippo Sowlo devono molto al momento d'oro di Diesagiowave, che sembra stia vivendo un calo di engagement, dopo aver raggiunto la vetta del post tutto. L'indie visto da lì sembra una gara a chi la spara più grossa, a chi fa più il bullo, ma è indubbio che tra cringe, copypasta e altri neologismi che i boomer non capiranno mai, qualcuno che ne sa di nuova musica c'è.
La Stazione Indiependente è il lato meno "leoni da tastiera" e più "revival di Cioè" del fenomeno indie di fine anni '10: i suoi utenti discutono del nuovo pop, ma oltre alla musica parlano di outfit, esternazioni vip, fanno memini, condividono video e amano i loro idoli esattamente come chi, negli anni '80, stava in cameretta coi poster dei Duran Duran o degli Europe. Molti utenti si sono trovati per caso ad ascoltare le band di indie italiano, partendo dal pop istituzionale, dai fuoriusciti dei talent, dalla radio, senza mai passare dall'approfondimento. Un gruppo come questo è il luogo in cui, data l'età mediamente molto bassa dei suoi iscritti, devi spiegare chi sia Bugo il giorno di Sanremo. Gazzelle, Pinguini Tattici Nucleari, Eugenio in Via di Gioia e simili quelli più endorsati, Calcutta lì è già un po' old e viene rimpianto, I Cani la preistoria idolatrata, viene tollerato Gio Evan e, a occhio, non mi sembra si parli di musica diversa dal pop.
Riserva Indie è un gruppo storico, legato alla trasmissione di Contatto Radio e lì, così come ne Il Faro indie, si postano link che hanno a che fare con la scena italiana (e non) di qualsiasi tipo. Niente meme, nessuna ricerca di engagement facile, sono luoghi frequentati soprattutto dagli over 25. Una conclusione da tirare c'è, ed è piuttosto palese: l'indie italiano ha subito un'accelerazione totale, come un missile lanciato nello spazio che sgancia le zavorre al decollo per andare più veloce: via le band che cantano in inglese, via il rock alternativo e i retaggi boomer, via la vecchia critica musicale, via le band che non si omologano al successo o che non gettano il cuore oltre l'ostacolo del politicamente corretto, via i moralizzatori, via gli over 30, resta una fanbase da Signore delle Mosche, formata da giovani e giovanissimi che amano, ma che si imbarazzano a dirlo e allora usano la strategia del bambino delle elementari che tira le trecce alla compagna per attirare l'attenzione. Interagiscono così tra di loro e con la musica di cui sono curiosi, che proteggono come fosse loro proprietà, cercando assiduamente il repost dei cantanti o il like delle persone con cui vogliono legare nel gruppo.
I gruppi Facebook dell'indie mantengono l'hype delle band prima del grande salto, che li porterà vicini a Sanremo, a comporre per le interpreti che vengono da Amici, a scrivere autobiografie, poesie o fumetti, a fare sold out nei palasport. Dall'altra parte, contribuiscono ad alzare l'asticella del politicamente scorretto sempre di più, fino a fare il giro, spingendo progetti che hanno più a che fare con la teenage riot, con la provocazione che con la musica strettamente detta. È un caso se pop, trap, lol rap sono i generi che vendono di più nel nostro paese? Per niente, ma non è neanche un caso se la musica indie come la intendono nel resto del mondo, in Italia non esiste quasi più.
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L'articolo Il funerale dell'indie si celebra ogni giorno su Facebook di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-02-13 15:00:00
COMMENTI (3)
Niente di nuovo. Negli anni 90 mi stupivo di come i gruppi Britpop potessero essere considerati indie o alternativi. Per non parlare dell'orrore di tutto il finto punk americano che era molto più commerciale del pop ma finiva sulla copertina di RockSound solo perché le band avevano un certo look. A ben guardare, già negli anni 80 ottime band come New Order e Depeche Mode pubblicavano su etichette indipendenti ma non erano poi così alternative. Fu questo corto circuito a far sì che il New Musical Express smise di pubblicare le classifiche indie. La parola indie non ha senso, non l'ha mai avuto. O sei mainstream o sei alternativo. L'attuale scena pop e trap non è affatto male, il rock alternativo aveva spento la sua spinta creativa già da un po'. Almeno c'è questa musica, qualche volta alternativa, molte volte mainstream. Ma quel che conta è solo se è VALIDA o no.
L'indie esiste ancora, forse non c'è piú la curiosità di scoprirlo come una volta, perchè non conviene, perchè ora l'indie lo crei su youtube. Basti guardare cos'era il miami agli inizi e cos'è oggi. Un feestival indie che fa suonare artisti mainstream. Credo che non si abbia piú voglia di azzardare, a scommettere sugli emergenti e allora sono gli emergenti stessi che investono su se stessi...e questa è una triste realtà. Va avanti non piú l'arte, ma sempre piú solo chi ha le disponibilità economiche per farla...nella maggior parte dei casi, maluccio.
Miglior articolo che ho letto sulla musica "indie" italiana negli ultimi anni.