Tra luglio e agosto la discografia nostrana subisce una sorta di stasi quasi matematica. La sacralità vacanziera con cui viviamo questo periodo è tutta italiana – basta pensare che nelle scorse settimane sono usciti i dischi di Lorde e Billie Eilish, giusto per fare un paio di nomi –, ma non è qualcosa con cui mi trovo in disaccordo. La “musica da canicola”, se così vogliamo chiamarla, sembra giocare un campionato tutto suo, rivolta a chi ha la pazienza di stare ad ascoltarla sotto l’ombrellone e non ha voglia di ballare un reggae in spiaggia. Non saprei se è più furbo o più folle chi decide di pubblicare qualcosa in piena estate: da una parte, la scarsa “concorrenza” di musica nuova; dall’altra, la mancanza di voglia di scoprirla, questa nuova musica, quando si è in vacanza. Ma per quanto riguarda Capibara e il suo nuovo ep, Homunculus: Genesi, uscito lo scorso 7 agosto, non ho grossi dubbi su quale delle due categorie ricada.
La pazzia di Capibara non c’entra tanto con i ragionamenti di mercato di cui sopra – anzi, penso che gliene freghi abbastanza poco –, quanto con il contenuto di Homunculus: Genesi. L’ep è composto da due soli brani, Giorno7 e Hikikomori, ed è uno schizofrenico trip di techno imbizzarrita, sporcata di scariche metal, deliri j pop e il fascino per il mondo degli anime. Realtà distanti e a tratti inconciliabili, unite sotto l’egida di un caos controllato, che parte dal precedente Omnia del 2018 per trarne fuori qualcosa di ancora più estremo.
Giorno7 è la prima metà dell’ep, che fa da anticipazione di un album in uscita in autunno. Ad aprire il brano c’è un estratto in giapponese dell'anime JoJo. Ma non è l'unica opera giapponese a comparire nell'ep: a guidare Homunculus: Genesi c'è la traccia di Ghost in the Shell. Si tratta di un manga – poi adattato in mille media diversi – thriller cyberpunk ambientato in un Giappone futuristico, dove i cyborg sono quasi indistinguibili dagli esseri umani. Ed è proprio da qui che Capibara comincia il suo processo creativo, interrogandosi sul disagio del “fantasma nel guscio”, della presenza di una coscienza che dovrebbe renderci umani di fronte di un’evoluzione tecnologica sempre più elevata, come se ne fosse minacciato.
Nel grande gioco di scontri che Capibara intavola, le forze opposte di morte e rinascita si alimentano a vicenda, creando un vorticoso e ipnotico divenire. Elementi meccanici e ripetitivi vengono frammentati e mescolati tra loro, synth dance scomposti e incrociati in una danza distopica, perversa e alienante. È la presa di coscienza di una macchina che dà il cambio alla perdita dell’identità di un individuo, in un angosciante viaggio sci fi.
Hikikomori si collega al discorso aperto da Giorno7, ma trova un percorso diverso per esprimere tutto il suo malessere: quasi 7 minuti di techno claustrofobica sui 160 bpm che, dopo un inizio affidato a una chitarra elettrica malandata, esplode in tutto il suo allucinato sfogo. Qua il titolo rimanda al fenomeno nato in Giappone di chi scappa dalla vita sociale confinandosi nella propria camera da letto, rifuggendo ogni tipo di contatto fisico con altre persone. La morte dell’individuo come tale, incapace di gestire l’asfissiante pressione del mondo esterno, viene sfruttata come altra angolazione per affrontare il disagio concreto della quotidianità.
Ad accompagnare questi due brani, Capibara ha realizzato anche una sorta di breve film, che trovate all’inizio di questo articolo e che richiama la pazzia esasperata dell’ep. Immagini naturali vengono disgregate e sovrapposte tra loro, lo schermo viene spezzato in vari riquadri sfasati che distorcono la realtà, mentre una sorta di manichino/androide prende vita. Una vita che sembra spezzarsi sotto i colpi dei beat maniacali di Capibara e che poi, invece, ricomincia da un embrione luccicante. Niente male, per risvegliarsi dall’apatico torpore dettato dall’afa di agosto.
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L'articolo Il fantasma nel guscio di Capibara di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-08-23 16:13:00
COMMENTI (1)
A fine dicembre faccio la mia lista delle canzoni migliori dell'anno e le condivido con tanti amici quando cenano da me e nel 2018 in cima c'era "la creme" di Capibara. Mi piacque così tanto che da allora anche la playlist di spotify delle migliori canzoni che per me spaccano l'ho chiamata LA CREMA.
Considerato che Capibara è capace di mirabilie del genere è un peccato che fino ad oggi non gli sia minimamente interessato di regalarci musica avventurosa ma con un linguaggio visibilmente pop-olare come avviene ne "la creme".
Chiaramente può non interessargli, ma come scrisse Pardo su una recensione del disco su Blow Up, è un peccato che un talento così enorme non allieti le nostre vite con una sintesi maggiormente efficace a livello musicale. Insomma, interessante sì ma un pò prezioso anche.
Ho fiducia che presto spaccherà tutto.