Fare punk a Milano oggi

La storia di tre band diverse per suono e generazione: Breakmatt Fastgyver, Lineout e Øjne. Ma unite dalla città di provienenza e dall'attitudine di chi il punk (anche ora che qualcuno se lo caga di nuovo) non lo fa per aumentare i follower

Gli Ojne live, foto di Luca Secchi
Gli Ojne live, foto di Luca Secchi

L'imprevedibile (ma neanche tanto) conquista del pubblico (soprattutto meneghino) da parte de La Sad nel lasso di tempo intercorso tra la prima SummerFest (la maratona organizzata a tempo record dallo stesso entourage di Theø, Plant e Fiks, il 25 giugno) e il Love Mi (il 27 giugno, dove son stati richiamati sul palco, dopo l'esibizione pomeridiana, da J-Ax, che li ha definiti il suo gruppo preferito) ha forse segnato un'altra tacca nell'avanzata commerciale del nuovo “punk rock” nell'immaginario popolare. L'atto a suo modo sovversivo di presa di potere di una scena – nel corso del tempo definita pop punk, power pop, emo, melodic punk, love-core e chi più ne ricorda più ne dica – cui sembrava negata all'ascesa lastricata d'oro verso quei vertici pop.

Ma i meccanismi del suono programmato al massimo effetto di vendibilità rimangono i soliti, solidi e infallibili, al contrario l'avanzata del suono più ispido e scontroso, talvolta persino sgangherato, nella sua pur inequivocabile ricerca melodica, resta ancora oggi caparbiamente tutta in salita. Nonostante la propria indubbia forza promotrice. A questo punto, invece, sarebbe bello se i talent-scout sguinzagliati dall'impero discografico si dessero una svegliata e setacciassero anche le più sordide cantine della città per fare emergere qualche reale big thing, senza darvi modo di poter ragionevolmente dubitare di ogni tale che vi sarà proposto nei mesi a venire come novità assoluta dell'area che oggi sembra fare più tendenza: Milano. Diffidate pure dagli “influencer punk”, soppesate con crudeltà ogni tinta fluo per capelli e ogni tatuaggio e ogni outfit da Assago a Sesto San Giovanni, ma poi sappiate abbandonare ogni pregiudizio se vi trovate davanti band come Breakmatt Fastgyver, Lineout e Øjne.

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Anche loro provengono dalla ridente Milano, e il piccolo battage pubblicitario (fatto perlopiù di passaparola) che li riguarda chiama in causa gruppi come i Green Day e i Title Fight, senza scordare i pionieri d'extravaganza emo violence del Massachusetts, Orchid, ossia termini di riferimento come altri che già si sono trasformati da tempo in altrettante formulette magiche per tutelare ogni scoperta punk. Inoltre gli Øjne ricompaiono sulle scene, con tutta la calma del mondo, dopo cinque anni da Prima Che Tutto Bruci (Ee/Vv, 2017), come vincitori a sorpresa e senza candidatura per presenza di shirt ai concerti punk dell'estate, strappando il titolo agli Stormo, quasi un'investitura a gloria immediata, in questi chiari di luna. Ma la realtà non tradisce le premesse, Sogno #3 (To Lose La Track, Through Love Rec., 2023) è di gran lunga il migliore lavoro del suo intricato genere che potrete sentire in queste torride giornate. 

“Siamo nati a Milano a fine del 2011. La nostra prima uscita, Undici/Dodici, uscito due anni dopo, e ci ha permesso di iniziare a girare nella scena screamo. Nel 2017, dopo due cambi di formazione, è uscito il nostro primo LP, Prima Che Tutto Bruci. Grazie a questo abbiamo conosciuto ancora più persone e girato ancora di più. Recentemente siamo andati in tour negli USA e quest'anno sono uscite sei nuove canzoni”. L'affermazione nel contesto delle band “emergenti” ha ufficializzato il contratto con To Lose La Track, rampa di lancio di così tante band (Verme, Havah, Altro...) che oramai si fatica a ricordarle, e il frutto di questo connubio è segnato tra le priorità del loro catalogo. Basti vedere il loro piazzamento al prossimo Italian Party, storica festa dell'etichetta umbra a Umbertide (“Volenti o meno, suoniamo un tipo di musica che è fatta per essere suonata dal vivo, anche se siamo già proiettati al nuovo disco”).

Gli Ojne dal vivo, foto di Luca Secchi
Gli Ojne dal vivo, foto di Luca Secchi

Intrigante il flash di copertina di Tim Smith: un uomo resuscitato dal bauhaus scende le scale col capo chino, ricoperto da una patina di malinconia che ammanta una porzione d'edificio, quasi una lapide funebre. Anche la musica di Sogno #3, come percettibile già dal titolo, è talvolta ammantata di fascino misterioso. Ad esempio quando raccoglie l'invito ad arcane melodie acustiche (il sofisticato intreccio che anima le trame meno pressanti nel crescendo di Occidente) ma  la sua vistosa energia, quasi carnivora, che ricorda nei massimi sistemi, senza pedisseque calligrafie, ora La Quiete ora FBYC (e ora gli amici ispanici Viva Belgrado), crea senz'altro l'aspetto più bello ed evidente del loro suono. Nonostante i riferimenti letterari (“All'inizio volevamo far un concept su Le Città Invisibili di Calvino”) e cinefili (Lynch, per dirne uno, Francis Ford Coppola, per dirne un altro) le liriche sono molto personali.

“Ci piace raccontare storie, a volte vita vissuta e altre con una componente più onirica”. In quest'ottica la percezione della Milano degli Øjne appare più che comprensibile: “La scena milanese ha sempre i suoi alti e bassi, ma di sicuro esiste ancora. Negli ultimi dieci anni sono nati tanti gruppi, progetti e collettivi. Mentre potremmo dire che La Sad ha fatto per la scena quello che i Maneskin hanno fatto per il rock”. Severo ma giusto è invece il commento di Andrea, che dei quattro Lineout è la voce e la chitarra: “Noi siamo un po' outsider, la scena però c'è ma spesso devi pensarla un po' come loro per essere riconosciuto e a noi piace essere noi stessi, il fashion-punk poi è ininfluente e non sta facendo sicuramente da apripista per le nuove leve verso la scena punk”.

E outsider i Lineout lo sono sul serio - outsider e incoscienti, a dirla tutta. Quanto basta per uscirsene, in un'epoca mordi e fuggi, dove ogni mese si moltiplicano le etichette che editano solo singoli e parlare di album diventa sempre più un concetto vago e fumoso, con un disco come Andromeda (No Reason Records, Black Star Foundation, 2023). Un'unica traccia, una title-track di di 52 minuti, una punk-rock-opera nel vero senso del termine, un tour de force per tutti quelli che di solito in un'ora magari ascolano due o tre gruppi. Eppure. Si può parlare genericamente di “concept punk” ma dietro la musica di Andromeda si avverte un'idea più ampia, ariosa, oserei dire universale dell'idea di punk. “I pezzi parlano sempre di noi, se prendete la nostra discografia potete scandire tutte le fasi che han caratterizzato la nostra vita dai 20 ai 30 anni”.

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Protagonista indiscussa del nuovo lavoro è Andromeda, una ragazza nel suo ultimo giorno di vita, una punk-rock-girl dannata più che una riot-grrrl rivoltosa che, a naso, farebbe dire che i Lineout hanno tirato fuori il lato più sensibile. Ma non è proprio proprio così. Registrato interamente in sala prove durante la Pandemia, è uno dei pochissimi lavori scritti durante il lockdown che non parlano del lockdown. La storia di Andromeda rappresenta invece, oltre a un preciso stato d'animo, oltre un interessante concept apparentemente incentrato sul “rapporto tra fantasia di ciò che potrebbe essere e la realtà per ciò che è” (nelle parole di un noto fumettista appassionato tanto di musica quanto di narrazione punk), l'idea di attraversare con un gruppo di quattro elementi – tutti iscritti al Partito Millencolinista, ça va sans dire – le svariate influenze che hanno caratterizzato la vita dei Lineout. “Siamo al quarto disco e ci piace cambiare ogni volta, mescolando idee e generi che spesso non sono i classici del mondo punk”.

I LineOut
I LineOut

Un cortocircuito affascinante, perché inusuale, che porta a fare paragoni con gli Husker Du, ma più moderni e diretti, o con dei Minutemen sui generis, cioè negli spunti tarantiniani, negli accenni acustici, nelle cavalcate metal, nelle variazioni in blast-beat che si intrecciano alla base skate-punk, insomma Minutemen come “enciclopedia” di spunti da seguire. E poi sopra i milanesi aleggia la scioltezza di chi ha già aperto per Descendents, Lagwagon, Ignite e Strung Out. Che quindi sa come si fa. “Siamo gli stessi quattro che hanno fondato il gruppo dieci anni fa e abbiamo puntato tutto sull'idea di band che prende e va in tour, da Milano fino a Montreal: letteralmente”.

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C'è tanta perseveranza anche nella breve storia dei Breakmatt Fastgyver. “Abbiamo iniziato a buttare giù delle robe, e dopo circa cinque disfunzionalissimi anni abbiamo a carico un po' di date e due EP che ci danno tanta soddisfazione”, mi dice Masu, chitarrista con un passato già nei Teenage Gluesniffers. E' immediata la realizzazione che con certi suoni, tanto più se fai riferimento a band come Iron Chic o Banner Pilot, in Italia, tolti i festival, c'è spazio nei club più microscopici. “Per la promozione arriviamo da un periodo anomalo che ci ha permesso di programmare poco, ora che abbiamo stabilità abbiamo un po' di roba in ballo, soprattutto all'estero”.

I BMFG
I BMFG

Il loro I'm Tired But I Keep On Rolling (autoproduzione, 2023) dimostra quanto tra il cameratismo stradaiolo del orgcore e quello emotivo del hardcore la differenza non è mai stata così sottile quanto quest'anno. Restando così sì di nicchia, ma almeno di una nicchia globale nel suo ricombinare il punk tipico del Midwest, influenze folk per suggestioni neanche così distanti dai Menagramo (anzi, c'è una cover di Vajont, con loro due a far i cori) e un punk rock potente e pulsante per chi ama tanto i singalong. Proprio come piace alla fanbase de La Sad. “Oddio" sorride lui, "u questa cosa ci si potrebbe scrivere un saggio. Sai, esistono molte scene punk milanesi, e l'influenza de La Sad e gruppi simili su di esse è come quella che aveva Avril Lavigne venti anni fa: zero. Le cose positive e negative sarebbero da analizzare in prospettiva e solo il tempo ci dirà se questa nuova ondata, se così vogliamo chiamarla, porterà un po' di vita al genere o se è l'ennesimo stadio di una malattia”.

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L'articolo Fare punk a Milano oggi di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2023-07-19 13:44:00

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