"Ma che mina avete cacciato aiuto".
"Non capisco perchè fare QUESTO featuring con Ligabue. Non capisco cosa state cercando di comunicare a chi vi ascolta".
"Questo feat, non può che farli conoscere ancor di più al grande pubblico, personalmente continuerò ad ascoltarli, quello che di buono hanno fatto finora rimane!!!".
"Praticamente è urlando contro il cielo feat Fask".
"No raga, i due artisti italiani che amo INSIEME!!! Se è un sogno NON SVEGLIATEMI".
"Vorrei essere sorda".
"MA CHE MI STATE DICENDOO???????? IMPAZZISCO FREGIS".
"cringino".
Sono quattro giorni che faccio una cosa che, di norma, non faccio mai: leggere i commenti. Qualcosa di più, compulsarli. Solitamente me ne frega davvero poco di perdermi in quel mischione di bombe, fuochi, cuori, pesche e insulti di ogni tipo. Ma quando è arrivato l'annuncio di Il tempo è una bugia non ho saputo resistere, e ho fatto il giro delle sette chiese, anzi dei sette social, per vedere le reazioni delle persone (qua sopra un mix assolutamente random, preso dai vari social).
Poi, quando è uscita la foto dei Fast Animals and Slow Kids assieme a Luciano Ligabue, che assieme firmano il brano, ho proseguito la mia escursione tra Instagram e Facebook. Oggi che il pezzo è uscito, con relativo video, ho continuato a setacciare il parere del popolo della rete, aggiungendo YouTube alla mia indagine.
Da cui emerge la polarizzazione più assoluta del pubblico. Non c'è alcuna sfumatura, tanto meno alcuna velleità analitica, in quei commenti. C'è la ratifica di una scelta di campo. "Bravo, hai scoperto internet", direte voi. "Hai scoperto che il mondo è diviso tra fan e hater (una parola che io non userei mai, di certo non in questo caso)". Naturalmente qualora lo steste pensando, applaudendo ironicamente come in un vecchio sketch di Colorado Cafè, avreste ragione.
Eppure una dinamica che ormai da tempo è regola non smette di colpirmi. Per quanto gli schieramenti siano pregiudiziali: ormai si commentano più gli annunci che la musica, quella tutto sommato è secondaria. Perché reitera l'adesione a mondi che, nel frattempo, si sono estinti. Il punto è sempre stato il fatto che i Fask e Ligabue si mettessero assieme, che underground e mainstream (il tipo di mainstream "conservatore" incarnato da Ligabue, oltretutto) non mantenessero reciprocamente le distanze.
Solo che underground e mainstrem non esistono più, da mo. Esistono artisti o circuiti che mantengono attitudini differenti da quello dominante "mercato first", e in alcuni casi sono al vertice del sistema (venerdì prossimo esce dopo sette anni il nuovo disco dei Verdena, sempre con Universal...). Così come esistono infiniti casi di artisti che vengono dal basso e che nell'approccio e nelle prassi sono sudditi di ogni cliché nazionalpop.
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Dunque sbaglia chi condanna il featuring? Ma proprio no. O meglio, mi pare una cosa più che legittima, per non dire sana. Le dinamiche di appartenenza, di identificazione con un gruppo sono uno dei motori più potenti per la musica, a ogni livello della "catena alimentare musicale". Quando i Fask – lo hanno fatto per anni e anni, lo hanno fatto meravigliosamente – giravano per locali che più che altro erano degli scantinati e sotto il palco ci si conosceva tutti per nome, abitudini etiliche e sudorazioni pilifere, il fare parte di quell'ecosistema, anzi esserne degli alfieri, è stata una delle loro forze, che ha permesso loro di crescere.
Ora il loro pubblico è cresciuto e di molto, nell'ultimo anno in particolare il loro status e il loro appeal è aumentato a dismisura (e ne siamo felicissimi, perché la stima per loro è grande), come si vede dai numeri che hanno collezionato live quest'estate e dalle collaborazioni. Piero Pelù li ha consacrati di recente, ora Ligabue: insomma, sono gli eredi di una tradizione che in passato spostava le masse, piaccia o pure no. Tanti nuovi fan sono arrivati, sono arrivate le nuove generazioni (e questa è sempre una cosa importante). Qualcuno di quelli che c'era prima si ritrova spaesato, non più a suo agio. E, tra le altre cose, lo scrive sui social. Fisiologico.
Personalmente il pezzo mi convince il giusto. Mi sembra un pezzo di Ligabue (di quelli mediamente buoni, diciamo di 15-20 anni fa), con un testo più ruvido e interessante. Le voci di Aimo e quello dell'artista emiliano, cosa che non era scontata, reagiscono bene assieme, ma la melodia mi pare un po' furba, non indimenticabile.
Mi piace meno ancora l'idea stessa del featuring, e non per Ligabue in sé. I Fask non sono mai stati band da feat., il primo e unico finora lo avevano fatto con Willie Peyote in Cosa ci direbbe, un incontro tra mondi diversi che funzionava molto bene. Anche Ligabue (al di là del notissimo duetto con Elisa) non ha fatto tanti feat. in carriera, per motivi di genere e generazionali, oltre che di status. Non abbiamo dubbi sul fatto che ci sia stato un incontro artistico e umano tra loro (i FASK hanno raccontato la possibilità di cantare con Liga come una specie di sogno), ma è altrettanto certo che dietro ci sia un calcolo, che oggi i feat. convengano a tutti per ragioni di numeri e di piattaforme, e infatti se ne fanno troppi, che questo incontro di mondi diversi in questa fase di carriera fosse interessante per tutti. Più che legittimo, anche qua, magari non esaltante.
E quindi? E quindi nulla. Ciascuno continuerà ad ascoltare ciò che gli garba, a criticare (anche a priori) ciò che non riconosce come proprio. E nemmeno il tempo ci darà ragione, perché in fondo è una bugia.
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L'articolo Fask e Ligabue: oggi anche il feat. è una questione identitaria di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-09-16 14:13:00
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