25 ottobre 1990, Rai Stereo Due, pomeriggio. Va in onda il programma "Studio 2" nel quale, per qualche motivo, vengono lasciati a parlare a ruota libera e senza interruzioni due grandi artisti italiani, Lucio Dalla e Federico Fellini.
Il cantautore e il regista (che subito rimbrotta Dalla per averlo chiamato "grande maestro") si conoscono e si stimano reciprocamente da un po': Fellini riceve telefonate di Lucio "a Pasqua, a Natale e per i compleanni che si susseguono con un ritmo impressionante" ed è contento di ritrovare ogni volta la voce "di un amico così fantastico".
La conversazione (di cui trovate l'audio più avanti) inizia con il racconto della prima volta che Fellini andò ad un concerto di Dalla:
"La prima volta che ti ho visto, ti ho visto in una visione un po' infernale, un po' come la discoteca nel mio ultimo film, "La voce della luna". Era al Teatro Tenda. Sono entrato e (...) in mezzo ad un gran fumo, ti ho visto in fondo a un palco. Davanti c'era una platea urlante, stridente, mandavano urla e strida come pipistrelli dai decibel irraggiungibili... laggiù c'eri tu, dietro una tastiera con il tuo cuffiotto in testa. Sembravi un'immagine salgariana, un corsaro, un pirata, un Sandokan, tanto più che i clangori che partivano dalla tua tastiera potevano sembrare delle bordate, delle cannonate. Ho visto che controllavi la situazione, eri tu che scatenavi quell'entusiasmo".
Per tutta risposta Dalla racconta di come fosse assolutamente onorato della sua presenza (come del resto sarebbe stato chiunque al posto suo) ma Fellini non si scompone, e aggiunge:
"Ad un concerto di Dalla potrebbero esserci anche personaggi della storia come Vittorio Emanuele II o Garibaldi, tutti quanti dovrebbero venire ad ascoltare un tuo concerto, tanto è la forza evocativa che emana"
Dopo i primi convenevoli e complimenti a vicenda, i due arrivano subito al fulcro del discorso, parlando di musica. In particolare, Fellini racconta il suo stranissimo rapporto:
"La musica è una cosa misteriosa per me, ne rimango affascinato e impaurito. Tant'è che sono diventate leggenda le mie reazioni nei ristoranti quando si avvicina un musicista, è come se al posto della fisarmonica o la chitarra avesse un mitra o un cannoncino. La musica sin da ragazzino mi ha sprofondato in una dimensione di profonda malinconia, mi restituisce ad una condizione animalesca, quasi canina, mi metterei a ululare di malinconia. Me ne devo difendere, a meno che non lavoro. Il lavoro diventa per me un grande scafandro, una protezione da ogni cosa. Sennò la musica mi aggredisce. (...) Forse è perché ti restituisce il peso, la miserabilità della tua situazione, con questo ricatto continuo di alludere a qualche cosa di più perfetto e armonioso, qualcosa dalla quale sembra che tu debba essere per sempre escluso. (...) È per questo che nel mio ultimo film faccio dire ad un oboista: "la musica dovrebbe essere proibita per legge"
Dalla rimprovera Fellini di aspettarsi chissà cosa dalla musica (!), ma poi gli confessa di conoscere a memoria tutti i temi dei suoi film, anche se è "un cane a suonare il pianoforte": tanto era il desiderio di suonare che non si è mai fermato un minuto per imparare davvero a padroneggiare uno strumento. Fellini confessa a Dalla di condividere la stessa frustrazione:
"Visto che siamo in vena di confidenze un po' sgangherate, te lo dico: io ho tentato di imparare a suonare il pianoforte. Il primo insegnante era un vecchietto, però io avendo già 40-45 anni non mi riconoscevo più con la giusta disinvoltura e umiltà nel ruolo di scolaretto, quindi le sue insistenze di allargare le dita, etc.. [mi davano noia] e ho lasciato perdere. Quindi ho pensato che se avessi avuto una maestra molto avvenente, avrebbe potuto spingermi ad una maggior attrazione e regolarità. La maestra c'era ed era avvenentissima, era di Ferrara, una bellissima signora. Non abbiamo quasi suonato niente, quasi mai. Siamo andati a pranzo, a cena, qualche passeggiatina (ride)... Avevo già quasi 50 anni, ma anche la ferrarese. A me piacciono le tardone, a te no? (ride)"
Anche Dalla racconta di aver tentato di riavvicinarsi all'istruzione fuori tempo massimo: qualche anno prima aveva notato di fronte alla sua casa di Bologna una università per anziani, e lo stesso concetto di poter accedere a dei corsi "per anziani" lo aveva tranquillizzato, lui ormai rassegnato a vivere una vita stressante:
"Io mi sono iscritto a psicologia per la prima volta in vita mia tre anni fa. Solo che ho dovuto abbandonare dopo tre lezioni, perché mi addormentavo regolarmente come una zucca, visto che lavoravo sempre di notte. Quindi mi hanno cacciato via i frati dicendomi: sarai anche un bravo cristiano, ma non puoi venire all'università ad addormentarti!"
Sempre tornando sull'argomento dell'istruzione, Fellini confessa di essere ignorantissimo in fatto di musica, nientedimeno che per una questione psicologica:
"Me ne sono sempre un pochino difeso, ci vorrebbe uno psicanalista di genio per cercare di individuare che cos'è che mi aggredisce in modo tale da preferire di sfuggire la musica. Mi porto appresso 4-5 motivi, che sono quelli che ho sentito da bambino. La marcetta dei gladiatori, la Titina, Rumba. Si vede che devono essere stati dei motivi traumatizzanti per me. [Non so spiegarmelo], si ripropone sempre il solito mistero: perché una nota, seguita da una pausa, e poi da un'altra piccola nota, deve strangolarti di emozione? A che cos'è che allude? Di che cosa parlano? Perché la musica ha questa immediatezza, ti fa arrendere, ti consegna."
Fellini va avanti a descrivere la sua visione della musica come una cosa estremamente pericolosa, e aggiunge:
"Io guardo a voi musicisti con una forma di ammirazione un po' stupefatta, mi sembra siate come degli astronauti, dei palombari esposti a radiazioni pericolose. (...) Forse io avrò conservato un aspetto adolescenziale più vulnerabile, ma a meno che la musica non serva in un mio film e possa controllarla, io la evito. Bussa a una porta che uno preferisce tenere chiusa, a una stanza segreta. Quindi guardo a voi musicisti come dei coraggiosissimi argonauti che riuscite andare là dove la gente rifiuta di andare.
Io sono convinto che alla fine della vita, se ci fosse concesso di dire qualche cosa (...), se uno fosse completamente sincero, uno direbbe una canzonetta. (...) Me ne accorgo da questi quattro o cinque motivetti che continuo a portarmi appresso e che mi aggrediscono con la stessa commozione, la stessa nostalgia, lo stesso rimpianto [di quando ero bambino]. La musica ti fa rimpiangere, ma cosa ti fa rimpiangere? Te lo domando e voglio una risposta filosofica, scientifica, consolatoria e molto lucida"
Lanciata questa bomba a mano, Fellini lascia la risposta a Dalla:
"Per quel che mi riguarda, ho un rapporto sgangherato col passato, quindi al massimo la musica mi fa rimpiangere quello che non è stato, quello che non ho vissuto... Per esempio, la mia nostalgia di non essere mai stato alto - lo so è una follia, ma viene ripresa da un qualcosa che c'è. La musica è il drizzare la gobba ai gobbi."
Ma poi subito riprende a raccontare la sua visione della musica come "un'enorme, ambigua e traditrice consolazione". Secondo Fellini il mistero della musica è da ricercarsi nella sua ineluttabilità, nel fatto che le note di una canzone non possono che essere quelle, tra migliaia di combinazioni possibili ne funziona solo una, "come una chiesa dove non puoi mettere un mattone in più o uno in meno".
Continua a dire di come lui non ne capisca nulla di musica, se non nel suo lato più emotivo ("se un pezzo di Rota mi faceva venire gli occhi lustri, voleva dire che andava bene") per questo è curioso di sapere come lo stesso Dalla si rapporta con il suo repertorio. Dalla risponde spontaneamente così:
"Io sono un contaminatore, sono un dilettante. Faccio la musica, e mi piace immaginare che esca ad un semaforo da un'altra macchina, nella zella, nel marciume della vita quotidiana. La penso e la decodifico in questi termini. Non so una nota di musica, eppure vengo attivato dal pensiero che la mia canzone in questo momento la stanno ascoltando a Crotone, che due ragazzi la ascoltano e fanno l'amore a Messina o in Alto Adige. Questo mi esalta e mi porta a produrre il meglio per loro. Quindi delle volte faccio anche delle nefandezze (ride)
Io sono un voyeur, io dentro sono quasi niente (...) Io divento qualcuno quando vedo qualcuno. Se io fossi solo in una stanza sarei veramente peggio di un vaso, o di un mobile. Quindi quando penso alla gente mi attivo. È un flusso, un'energia che mi viene immaginando quello che c'è fuori. Non sapendo suonare e non conoscendo la musica, mi rimane quello. Se mi immagino di cosa stanno discutendo in Argentina in questo momento, se immagino uno che si sta accendendo una sigaretta adesso, mi viene una tale paranoia che mi butto al piano, faccio un tango, e lo sogno il suo scalpiccio delle scarpe quando gira."
Tra stacchetti al piano e "confessioni sgangherate", i due artisti continuano la loro conversazione, che si conclude nella maniera più onesta e tenera possibile. Ad un certo punto, Fellini sente di dover fare una candida ammissione:
"Dobbiamo riconoscere che siamo molto fortunati. Alla nostra età continiuamo a giocare, a fare quello che ci piace, praticamente a non far niente, aspettando qualcosa"
---
L'articolo I meravigliosi dialoghi sulla musica tra Fellini e Lucio Dalla di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2016-07-08 12:39:00
COMMENTI (1)
Bravi voi, complimenti per il ripescaggio