In principio furono i patrizi e plebei, poi diventarono borghesi e proletari, infine arrivò la più bieca delle declinazioni della lotta di classe: il voto della sala stampa, nelle sue varie forme a seconda dell'anno, contro il televoto. Questo abbiamo ormai assimilato dopo anni di Festival di Sanremo: la casta dei giornalisti, arroccata sulla sua torre d'avorio della sala stampa, esercita spietata la propria posizione di privilegio sulle sorti del Festival, per ostacolare con i suoi subdoli mezzi l'espressione popolare del voto da casa.
Solo che possiamo vederla anche dalla prospettiva opposta: la critica musicale è il circolo illuminista, una dittatura aristo(n)cratica posta ad argine dell'avanzamento delle barbarie musicali che il popolino vorrebbe vedere trionfare. La narrazione della visione elitaria/snob della critica messa a confronto con le preferenze del popolo bue è già di per sé abbastanza avvilente (anche se è un tratto comune di questo pericoloso periodo storico, in ogni ambito sociale e politico), con Sanremo assume contorni ancora più mortificanti.
La polarizzazione è servita. Da un lato il telespettatore più diffidente guarda con sospetto le preferenze giornalistiche durante il festival, seguendo un filone sempre un po' dietrologo che vuole figli e figliastri supposti (anche se a pensare male spesso si indovina) tra i concorrenti in gara, spinti o affossati più per chi sono che per la canzone che portano, per i rapporti con gli staff e le discografiche, per scambi vari di favori. Spoiler: è spesso vero. Che addetti ai lavori e giornalisti abbiano la tendenza a premiare un po' la gente che piace e inseguire una certa coolness (basata sullo status di un'artista, sulle sue frequentazioni) è abbastanza indubbio. Allo stesso tempo, sono tanti i casi in cui artisti mai arrivati alle "masse" sono stati invece giustamente premiato da un voto più ristretto. Dall'altra parte, messe fortunatamente da parte le derive dell'epoca Carta-Scanu-Emanuele Filiberto, il pubblico premia oggi rapper, ex talent o cantanti-influencer in maniera sistematica. Non c'è nulla di male, ma così diventerebbe tutto un po' prevedibile: vince quello con più follower su Instagram...
Sta un po' nelle cose (per quanto denoti una certa supponenza) che, nell'unica settimana in cui tutta l'attenzione mediatica in Italia è indirizzata verso la musica, chi se ne occupa quotidianamente abbia la pretesa di salire almeno un po' in cattedra. Così come è sacrosanto che un festival di musica leggera dia il giusto peso a ciò che il pubblico vuole premiare, visto che di cultura popolare si tratta. E poi viviamo in un mondo in cui Harry Kissinger ha vinto un Nobel per la Pace, quindi non è che la carica di esperto in materia porti necessariamente a fare scelte giudiziose.
Negli ultimi anni questa diatriba, almeno sui social amplificatori di polemiche sterili, ricorda una qualunque delle immancabili discussioni post Juve-Inter di turno (ulteriormente sclerotizzate in epoca Var), o quello del dibattito politico nei salotti televisivi più raffazzonati. Nulla di nuovo. Ci facciamo aiutare ora da un paio di case history. La più clamorosa è quella del 2019, quando Sanremo è riuscito nell'impresa (se così vogliamo definirla) di diventare teatro di una polemica politica che definire delirante è dire poco. Vale la pena ricostruire in breve la situazione: tra i concorrenti di Sanremo 2019 il vincitore annunciato sembra essere il brano I tuoi particolari di Ultimo, ballatona di melenso romanticismo classificata come agente di rischio di quarto livello dall'associazione mondiale diabetologi, che si guadagna il favore del televoto sin da subito.
In quell'edizione il televoto pesa per il 40% sulla classifica nelle prime tre serate, per il 50% in quella dei duetti e nella finale. A questo si aggiungono altri tre sistemi di votazione: giuria della sala stampa; giuria demoscopica, composta 300 abituali ascoltatori, acquirenti e appassionati, ma di ogni età, genere e provenienza; giuria degli esperti, composta da personaggi del mondo della cultura. La giuria demoscopica – la vera carta pazza del festival, per le vie misteriose con cui opera – vota per le prime tre serate, poi viene sostituita da questa "giuria di qualità", come viene chiamata. Già da questa ripartizione si può intravedere la crepa che porterà l'assurdo nella realtà.
La classifica parziale dell'edizione del 2019 vede per l'appunto Ultimo primo, seguito da Il Volo in seconda posizione. Due manifestazioni nette del nazionalpopolare (19% dei voti totali al televoto il primo, 17,65% i secondi), con la differenza che il primo ottiene dei discreti punti anche dalle altre giurie – sesto in sala stampa, settimo per la giuria di qualità –, mentre Il Volo no. Il terzo posto è dell'esordiente Mahmood con Soldi, un brano ben poco sanremese per i canoni, trattandosi di un pezzo ritmato tra pop e urban in cui riecheggiano suoni arabi e nordafricani. Mahmood piazza un buon settimo posto al televoto e sul podio (rispettivamente secondo e terzo posto) nelle altre due giurie. Alla finale a tre succede l'inaspettato: il pubblico vota in massa per Ultimo, facendogli sfiorare il 50% dei voti, ma le altre due giurie ribaltano il risultato alla borghesiana (per Borghese, non Borges, sia mai) maniera.
La beffa finale scotta per Ultimo, che in conferenza stampa non si trattiene dal polemizzare con i giornalisti e che nei giorni dopo la finale si lamenterà per il sistema di voto "ingiusto" nei confronti del pubblico da casa. Insomma, com'è che la voce di pochi può bloccare una preferenza popolare così netta? Su questo carrozzone salta subito Salvini, all'epoca rappresentante del famigerato governo giallo-verde, per cavalcare la causa del popolo contro la casta e ripristinare la democrazia all'interno del sanguinario regime dell'Ariston. Ci sarebbe anche una vaga connotazione xenofoba, viste le origini egiziane di Mahmood, ma passiamo oltre.
Da qua parte una rottura che ogni anno alimenta le polemiche sui social riguardo le classifiche, al punto che riuscire a prevedere una classifica finale verosimile è più un lavoro da chiaroveggenti che da bookmaker. A volte è facile beccare chi vincerà al primo ascolto, come è stato nel 2022 per Brividi dello stesso Mahmood – ormai amato anche dalla frangia più ultimiana del pubblico – con Blanco, ma per il resto si tratta del proverbiale terno al lotto.
Proviamo a fare qualche esempio sull'edizione dello scorso anno. Mr. Rain, unico redivivo dell'edizione 2023 presente anche quest'anno, porta Supereroi e si gioca subito la carta Antoniano, portandosi un coro di bambini sul palco per il ritornello. Le prime due sere il voto della stampa lo mette a un tiepido 17° posto su 28, come un qualunque Chievo Verona nei primi anni '10, per mantenere il parallelo calcistico. La terza serata, dove invece ci sono solo televoto e giuria demoscopica, arriva la spinta del pubblico generalista: Mr. Rain vola sul podio con un clamoroso terzo posto (con, va detto, un grande aiuto della demoscopica), la stessa posizione con cui chiuderà il festival. A parti inverse si possono citare Colapesce Dimartino, medaglie d'argento nelle prime due serate, che scivoleranno a un magro decimo posto nella classifica generale ma portandosi a casa il premio della critica.
Ironia della sorte, è in questa stessa edizione che Ultimo si ripresenta dopo il Mahmoodgate e le parole al veleno verso la stampa del 2019. E la stampa non dimentica, piazzandolo al 10° posto dopo le prime due serate (con tanto di scenette frustrate di esultanza per gli scarsi risultati). Ma questo Masaniello della canzone italiana ha un suo fedelissimo popolo sanremese che non lo abbandona, anzi, lo sostiene alla grande e lo porta al primo posto nella serata in cui decidono, con un peso del 50% a testa, televoto e giuria demoscopica. Il risultato è ancora più clamoroso considerando che quest'ultima l'aveva piazzato all'11° posto. Alla serata finale, Ultimo si piazzerà quarto nella finalina a cinque, affossato proprio da sala stampa e demoscopica, mentre il televoto finisce per preferigli Mengoni, il trionfatore assoluto di quell'anno.
Negli ultimi anni Sanremo ha cambiato regolamento pressoché sempre, con vari aggiustamenti. Quello di quest'anno fa fortemente nella direzione di premiare le radio, per cui per altro la selezione musicale pare pensata. La giuria demoscopica per il momento è estinta, e nessuno la rimpiangerà. In generale, con tutti i limiti, la sensazione che il meccanismo, non così semplice da spiegare, di "peso" del voto a seconda delle serate, abbia trovato un equilibrio tra le "esigenze" e i gusti di ciascuna giuria. La classifica finale, negli ultimi anni, ha abbastanza rispettato quella successiva degli ascolti e in generale ha premiato quelli che sono stati i pezzi di maggior successo (per quanto voglia dire poco). Allo stesso tempo – sempre considerando che parliamo di un evento come Sanremo – i brani più riusciti sono stati in cima e raramente in fondo alla lista.
Eppure le polemiche, ne siamo certi, proseguiranno, anzi . E dunque non ci resta che una domanda: ma non è che dovremmo spostare il festival da Sanremo a San Siro?
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L'articolo Popolo vs. esperti: chi deve decidere quanto vale la musica? di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-02-09 14:43:00
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