Hai paura del buio?

Non abbiamo partecipato al polverone mediatico provocato dal lancio di Hai Paura del Buio? Abbiamo preferito aspettare, andare di persona e capire. Ecco le interviste e il live report

Non abbiamo partecipato al polverone mediatico provocato dal lancio di Hai Paura del Buio? Abbiamo preferito aspettare, andare di persona e capire. Ecco le interviste e il live report
Non abbiamo partecipato al polverone mediatico provocato dal lancio di Hai Paura del Buio? Abbiamo preferito aspettare, andare di persona e capire. Ecco le interviste e il live report - Foto di Fabio Marchiaro

E' un bel festival. A partire dal posto, il Traffic – il festival gratuito che si tiene ogni anno a Torino e che quest'anno ha ospitato, il 30 agosto, anche la prima data di Hai Paura Del Buio? - è alle Officine Grandi Riparazioni ed è una location inimmaginabile. Prendi il tweet di Hudson Mohawke che ci ha suonato giovedì - venue is fucking incredible, converted old train depot – e riscontri semplicemente che ha ragione. Nel senso che non ci credi che ci facciano un festival qui. Uno spazio industriale enorme con parti lasciate più rough e altre decisamente più ripulite e arty, con tavoli dove puoi prenderti un caffè tranquillo e sei comunque dentro a un festival. Tanti spazi e ti senti immerso. La cosa importante è che capisci bene la compresenza di molte altre cose (arte, danza, teatro, letture) oltre alla musica, e lo capisci dallo sguardo della gente: a forza di festival – quelli tipicamente nostrani, con un palco solo e tanti gruppi uno in fila all'altro, sarebbe meglio chiamarli concerti, ma tant'è – impari a distinguere lo sguardo di chi sta fissando un palco da ore, rispetto a quello di chi si sta interessando a tante cose contemporaneamente. Il secondo tipo di sguardo è decisamente più reattivo.

Sono qui perchè mi interessa farmi un'idea. Il piccolo caos mediatico suscitato dalla copertina di XL non mi aveva fatto impazzire, l'articolo (il manifesto e le pagine a seguire) men che meno. Facile per raccogliere gli indignati e contemporaneamente astratto dalla realtà, ma tant'è, è il loro modo di comunicare le cose, la linea editoriale di Repubblica se vogliamo, può non piacere, punto. Certo non mi interessava che Rockit si mettesse in mezzo ad alimentare il dibattito, e non abbiamo scritto niente. E' poi uscita un'intervista su Rockol dove Agnelli diceva che prima era nato il festival, per il piacere di farlo e perché si era trovato bene con tutta una serie di persone conosciute in alcuni teatri occupati, e poi il manifesto. Quindi bene, mi sono detto, magari XL ci ha messo il carico sopra ma resta una cosa genuina. Andare sul posto, vedere il festival, parlare con gli artisti; mi sembra il modo più serio per affrontare la cosa.

Faccio tante interviste (sotto riporto quelle più interessanti). Un evento del genere suggerisce una domanda, per nulla polemica e che avrei potuto fare ad altri: davvero un festival può funzionare solo non pagando i musicisti – o dando solo un rimborso - e come può diventare sostenibile un modello del genere? Molti festival che stimo sono cresciuti così, non ci vedo niente di male. Il punto è capire perché dei nomi grossi come Afterhours, Il Teatro degli Orrori o Daniele Silvestri, che sanno come funziona il lavoro musicale in Italia e che vivono di questo, propongono questo tipo di modello. Mi vengono in mente tre ipotesi:

a) volevamo farlo, si divertono, bene così
b) c'è un motivo etico e politico per farlo
c) siamo messi così male e gli eventi “grossi” non sono più sostenibili.

In più, ovviamente, mi interessa una loro opinione sugli articoli pubblicati da XL. Dopo pagine e pagine continuo a non avere un'idea concreta di cosa intendano per cultura e perché manchi in Italia. Oltre ad una superficialità di fondo che in pratica manca di rispetto a chi con la musica lavora tutti giorni, soprattutto a chi organizza eventi e rischia di tasca propria. Sono consapevole che la questione musica – e mi fermo a quella perché è quella che personalmente conosco meglio – non si risolva solo con l'imprenditoria e che coinvolga temi ampi come le legislazioni che regolano i concerti, i finanziamenti pubblici, fino ad arrivare alla banda larga, ecc ecc. Ma se su XL leggo che prima del 2009 [per chi se la ricorda nel 2009 fecero quell'inchiesta chiamata Hai Paura Del Buio? (la fantasia non è il loro forte, diciamo)] nessuno considerava la scena musicale italiana (nessuno? davvero?). Ecco, non posso considerala solo una leggerezza.

Passano due giorni e l'ufficio stampa che segue tutta la manifestazione mi chiede di leggere le interviste prima di pubblicarle; non lo faccio mai, ma sono in buona fede. Ne leggono due su tre ma mi dicono che tutte e tre non possono andare on line – non si accorgono di avermi detto già no a quella di Silvestri anche se non gli avevo ancora inviato il file da leggere – dicono che le domande sono tendenziose. Nessuno me l'ha detto durante le interviste o si è rifiutato di rispondere, tutti sapevano di essere registrati. Le pubblichiamo. Ovviamente, ben vengano le repliche.

I concerti: per certi versi Hai Paura Del Buio? può essere considerata come una gigantesca valvola di sfogo per l'ego di Agnelli. Gli Afterhours suonano due volte – alle 18,30 e alle 21,50 – poi sale sul palco con il Teatro degli Orrori per cantare “Lezioni di Musica” e con Silvestri per “Strade di Francia” e “Riprendere Berlino” (degli Afterhours), infine compare nello show di Antonio Rezza. Io non ci trovo niente di male, non ho ancora conosciuto un musicista non egocentrico. E' obiettivamente un figo per aver 47 anni. Lo seguo dal backstage: sale sul palco, suona due pezzi, scende, parla con lo stage manager, controlla gli orari, si preoccupa degli ospiti, fa l'intervista con me, scappa in un'altra sala.

video frame placeholder

Non riesco a vedere tutto come vorrei. La Morte e Il Teatro degli Orrori sono gli unici due concerti che ascolto decentemente. I primi sono posizionati per terra davanti al palco grosso e con le luci di questo che nei momenti migliori illuminano la sala a giorno. Sono intensi, il pubblico è tanto e rimane attento. Il Teatro fa il suo dovere, non si sente nemmeno malissimo, la band è compatta come dei grossi cubi sonori che spostano l'aria tra uno stacco e l'altro. Capovilla è meno ingessato del solito e il gioco funziona benissimo, in “Non Vedo l'Ora” la voce urla sulla musica senza preoccuparsi di essere intonato o cosa. Risultato ottimo. “Lezione di Musica” è molto bella, vuoi perché il pezzo è uno di quelli che segnano davvero gli anni, vuoi perché ormai i musicisti sul palco sono raddoppiati e anche se Agnelli sbaglia ed entra in anticipo su una strofa manco te ne accorgi. Restano sul palco Agnelli Favero Mirai e Valente, partono con un accordo, lo fanno esplodere, salutano e se ne vanno.

(Marta sui Tubi, Foto di Fabio Marchiaro)

Non sono mancati problemi logistici. Di capienza: già alle 22 non facevano entrare più nessuno e molti di quelli entrati non hanno avuto accesso alla sala dove suonavano gli Afterhours; e di orario: Dargen D'Amico ha dovuto smettere mezzora prima per via di un'ispezione a sorpresa della Commissione di Vigilanza. Per il resto, di Silvestri posso dirvi che Angela mi ha raccontato il concerto con un sorriso trentadue denti. Vedo un pezzo di reading di Guido Catalano, bravo. Ugo Mazzia mi dirà poi che i Marta Sui Tubi sono stati fantastici. E' l'una, Rezza ha appena finito (notevole anche lui), Dargen pure. Prendo cinque persone a caso e chiedo quanta gente c'è secondo loro, la media è 6.000. Uno degli uffici stampa mi ha detto 10.000. Giusto per darvi un'idea.

video frame placeholder

In Italia abbiamo tanti bei festival, curati, stimolanti e davvero importanti. Ne abbiamo un po' meno se contiamo quelli pensati per un pubblico grosso, sopra i 2000 paganti. Chi ne propone aggiunge esperienze, mette energie in circolo, anche solo per quello merita attenzione. In più Hai Paura Del Buio? ha un suo gusto. Ad un certo punto Angela mi tira fuori nel cortile e indica Gabrielli con la sua nuova orchestrina di liscio che rifanno “Rosamunda” insieme a Roberto Dell'Era. Gli sguardi son contenti, ci sono i bambini che ballano; ed è una bella scelta: a quel punto della notte, con gli headliner che suonano in contemporanea, non ce n'era per forza bisogno, è un plus per far star meglio la gente e per farla divertire. Dettagli del genere li apprezzo molto. Qui le interviste:


MANUEL AGNELLI
La domanda più importante, l'unica, direi, che mi suggerisce Hai paura del buio? è: i Festival che fanno cultura possono funzionare solo se non si pagano i musicisti?
E' una bella domanda. Adesso come adesso sì o, per lo meno, noi siamo riusciti a fare questo, magari qualcun altro ci riesce. E' vero che è se non hai sponsor o non hai sovvenzioni amministrative da parte di un comune o da parte della Comunità Europea, è davvero impegnativo pagare un baraccone così complesso e articolato pagando dei cachet.

Sulla pagina facebook di XL, a mio avviso, c'è stato più di un problema di comunicazione.
Io non rispondo di XL, XL è uno dei media partner, è meglio che rispondano loro. Io non ho messo in piedi questo festival per alimentare un dibattito sulla cultura, non me ne frega un cazzo. Di dibattito ce n'è stato tanto, ce ne è ancora, ce ne sarà sempre. Alla fine, noi volevamo fare delle cose concrete, molto concrete, cominciare a dare dei piccoli esempi concreti di dinamismo.

Il festival è molto bello ma convieni con me che ce ne sono già di esempi di questo tipo. Non siete gli unici.
Ci sono delle piccole cose molto belle, fra l'altro molte delle quali ci hanno visti come protagonisti. A parte i teatri occupati dove siamo stati in giro per gli ultimi due anni, a Castelbasso per esempio c'è un festival dove io e Xabier siamo andati a fare un reading musicato con improvvisazioni. Ed è un festival meraviglioso Castelbasso, un festival culturale completo, molto bello. Però è anche vero che un festival come Hai Paura del buio?, di questa portata, così articolato, e con questo tipo di feedback intorno, non lo so, non lo vedo in giro, non mi sembra ce ne siano altri.

C'è il MI AMI.
Il MI AMI però non così multi settoriale, è un festival musicale.

Ci sono i reading, i fumetti, i banchetti.
Va bene, ok, c'è il MI AMI, qui nessuno vuole avere il primato, non me ne frega niente (ride, Nda).

Non mi interessa rivendicare il mio festival, ovvio. Ma se leggi l'articolo che è uscito oggi su XL è indifendibile, si descrivono davvero come i salvatori della patria. Non lo trovo così rispettoso nei confronti di chi da anni organizza eventi in Italia. Noi e tanti altri.
L'articolo su XL è l'articolo di XL. Poi noi abbiamo altri media partner che non sono ancora entrati in campo, tipo Rai 2, La F che sta raccogliendo materiale adesso, ci sarà la Feltrinelli, avremo molti altri media partner che parleranno di questo festival. Non c'è solo XL, questo non è il festival di XL. E questo non è per difenderlo o non difenderlo, perché alla fine non spetta a me. Sono sicuro che XL qualcosa di buono per noi l'ha fatto ed è stato attirare un sacco di attenzione da parte di tanta gente, non solo gli addetti ai lavori che ci hanno aiutato a mettere in piedi la manifestazione, ma anche alcuni soggetti che continueremo a contattare, oggi qui c'erano i rappresentati del Ministro della Cultura. Magari si apre un porta, anche solo per capire se c'è la possibilità di un piccolo cambiamento concreto nelle normative.

Ultima domanda, mi interessa chiedere agli artisti degli esempi di mancanza di cultura in Italia, giusto portare il discorso in una dimensione più reale.
Attenzione, non è mancanza di cultura, vorrebbe dire che io vi sto portando la cultura, che questo festival vi sta portando la cultura. No, assolutamente, non diciamo che una c'è mancanza di cultura, diciamo che vorremmo che il pubblico diventasse un pochettino più curioso rispetto alle cose che non conosce. Vorremmo creare una rete di personaggi del mondo della cultura, artisti, musicisti, ecc ecc, perché con una rete si alimentano le collaborazioni, che sono la cosa più vitale, quindi si abbattono dei sistemi un po' stantii che ci sono tra i generi. Vorremmo riuscire a fare qualcosa di concreto a livello legislativo se ci riusciamo. Per carità, nessuno si illude, magari non riusciamo a fare un cazzo, ma vorremmo provare a fare qualcosa invece che restare a protestare sul divano. E' un bel festival, questa è la cosa più importante, noi vogliamo fare, prima di tutto, un bel festival. Ascolta, il grosso equivoco è che è passato che noi vogliamo fare la rivoluzione culturale, e nessuno di noi è così cretino.

(Il Teatro degli Orrori, Foto di Fabio Marchiaro)

IL TEATRO DEGLI ORRORI
La cultura la si può fare solo non pagando i musicisti?
Giulio Favero: Secondo me non è una cosa legata ai soldi, chi vuole partecipare partecipa, siamo tutti invitati, conosciamo le condizioni a cui partecipare, ci va bene. Nel caso nostro c'è una crew di tecnici e, essendo in tour, ovviamente, non puoi fare le cose improvvisate, smontare la macchina e prenderne solo un pezzo. Hai bisogno di tutti e li devi pagare. Per il resto, non sono esattamente convinto che per fare cultura ci vogliano i soldi, penso si possa fare anche senza. Non lo puoi fare ogni giorno, ma uno spot come questo è fondamentale. Tolto il MI AMI, quando mai è stata fatta una cosa del genere in Italia? E non è che al MI AMI ci abbiate coperto di soldi. Secondo me ai soldi bisogna pensarci dopo.

Al MI AMI vi abbiamo dato il cachet d'accordo con la vostra agenzia, è la normale contrattazione, e, più in generale, quando non abbiamo potuto permetterci una band non la prendevamo. E poi c'è da dire che il MI AMI ha un sistema diverso, pagare tutte e 60 le band e tutte le persone che ci lavorano. Detto questo, spiegami meglio perché è fondamentale un evento del genere.
GF: Perché una delle cose che sento più dire in assoluto è che in Italia c'è musica di merda. Questo festival è la dimostrazione che non è così. Non è vero che siamo peggio degli altri. Sembra che le cose che fanno all'estero siano meglio di quelle fatte in Italia.

Lo dici al caporedattore di Rockit.
GF: Lo so, ma ti dico: cinque anni fa con gli Zu ho partecipato all'All Tomorrow's Parties e c'erano moltissimi gruppi, più palchi e, soprattutto, band molto diverse tra loro. Qui non vedo una situazione molto diversa, non è così usuale trovare nello stesso festival il Teatro e, che ne so, Maria Antonietta. Magari per Rockit non lo è, ma per molta altra gente si.

Sinceramente non mi interessa criticare XL, hanno la loro linea editoriale, non mi piace, amen. Dall'articolo però dopo pagine e pagine non ho capito davvero cosa si intende per cultura e dove manca. Vuoi farmi un esempio?
GF: Io credo nei fatti, non tanto nelle chiacchiere. Io l'articolo non l'ho letto ma se XL ha pensato di promuovere il festival in un determinato modo è una scelta sua, non ha per forza a che vedere con i gruppi che ci suonano. Secondo me l'importante è che siano venute tre-quattromila persone. C'è da dire grazie a XL.

Posso dire allora che vi sottovalutate? Un cast del genere non avrebbe raccolto almeno cinquemila persone anche senza tutto il circo mediatico che è stato montato attorno?
GF: E' un'idea tua. Comunque, rispondendo alla tua domanda iniziale: le radio, danno poco lo spazio alla buona musica. Ci sono ovviamente delle belle realtà, Rai Stereo 3 ha una programmazione su cui non si può dire nulla. Anche Radio 2 può stupirti, e ovviamente tutte le piccole emittenti locali. Ma secondo me non c'è ancora una vera attenzione, manca.

DARGEN D'AMICO
I festival che fanno cultura funzionano solo se non si pagano i musicisti?
Credo assolutamente di no, io, da musicista, ho sempre preferito i festival in cui i musicisti venivano pagati, però credo che non sia una discriminante. E' il contenuto del festival che deve essere di valore, non per forza il valore con cui viene ripagato l'artista.

Perché sei venuto?
Mi interessava frequentare e passare del tempo con delle persone che trovo amabili. Per curiosità, assolutamente per quello. Poi io sono uno che non fa cultura e quindi già il fatto che mi chiamino mi lusinga.

Perché, non fai cultura?
Non credo di essere un produttore di cultura, mi lusinga che mi abbiano invitato, non gliel'ho neanche fatto notare, sono stato zittissimo (sorride, NdA).

L'hai letto il manifesto, lo condividi?
Solitamente non condivido mai i manifesti.

Non ti interessa?
Non è il manifesto, sono gli artisti che mi interessano. Gli artisti e la voglia che mi hanno trasmesso, di fare qualcosa, di incontrarsi, di fare delle commistioni, di cominciare una serie di progetti interdisciplinari. Questo è interessante.

L'articolo di XL era piuttosto vago, sarebbe interessante avere da ogni artista qualche esempio concreto sull'idea di cultura e sulla sua possibile mancanza.
Io credo che un grosso problema dell'Italia sia la mancanza di aperture, la ricerca supina di intellegere tutto all'interno di generi, sopratutto se questi generi vengono calati da un passato internazionale. Questo credo sia un problema a tutti i livelli. Ma anche a livello scolastico sarebbe più interessante se le scuole avessero più libertà di crearsi dei programmi personali. Però io sono convinto… tu dici che in quelle cose manca la concretezza. Quando si parla ad un livello ideale, perché in questo caso stiamo parlando di ideali, la possibilità di dare più voce a chi vuole produrre qualcosa di interessante che non abbia un'utilità o una finalità che ti impressioni al momento, cancelliamo il denaro e l'economia... Io credo che l'idea e ciò che suscita l'idea, il metterti in moto, sia già sufficiente. E' l'ambientazione che è già sufficiente, se facciamo crescere un bambino in un ambiente in cui si trova ad avere degli stimoli, a capire che l'unica soluzione per le cose è il dialogo, a capire che bisogna tollerare. Farlo crescere in quell'ambiente è già sufficiente. Creare un ambiente positivo credo sia già una soluzione sufficiente.

DANIELE SILVESTRI
L'unico modo per fare i festival in Italia è non pagando i musicisti?
Uno dovrebbe dire speriamo di no, ovviamente se è l'unico modo vuol dire che c'è qualche problema nel meccanismo, fa vedere che c'è della passione a cui tutti credono ma deve essere un'investimento, non deve essere l'unico modo. Purtroppo spesso succede che sia o così o niente.

Dopo aver letto l'articolo di XL non ho avuto un'idea chiara sul modo in cui manca la cultura in Italia.
Non sono neanche così convinto che manchi, sono convinto che sia abbastanza maltrattata. Ma non è nel mio mestiere che si vede di più. Io sono proprio privilegiato, ci campo e non mi sto ancora guardando intorno per aprire una salumeria. Ma anche chi magari combatte fino all'ultimo giorno del mese per farcela… la considerazione che c'è della musica in alcuni punti si vede e si vive. Secondo me il discorso della cultura in Italia è prevalentemente politico. Uno degli errori più gravi che si è fatto in tutti questi anni nel nostro paese, più che altrove, è stato di non capire quanto di cultura siamo fatti. E usando la parola nel senso più semplice, non per forza allargare a tutte le arti e tutti i mestieri ma a ciò che ci forma, che forma il nostro pensiero, che vuol dire il nostro modo di relazionarci agli altri, di comportarci, in questo è importante che cosa la cultura produce ma anche il modo in cui lo stato, un Paese, mette in relazione le cose, rende possibili i meccanismi.

Scusa, me lo rifai in parole semplici?
(sorride, NdA) Ci provo, non so se ci riesco. Sapere che quello che possiamo andare ad ascoltare se si tratta di musica, che possiamo leggere se si tratta di libri, vedere se si tratta di film, è un'investimento perché determina il modo in cui le persone vivranno capiranno, saranno coscienti del loro presente e di quello che vogliono, sapranno scegliere chi votare e come vivere probabilmente. Si dovrebbe tradurre nel fare le cose più semplici, nel costruire i centri abitati e le città per cui sia semplice fruire della cultura. Se le scuole dessero un valore a quello che si può insegnare, fare e produrre, e vedere conoscere, come non sembra che si faccia.

Il musicista ha un ruolo in tutto questo?
Non so se l'importante sia il ruolo del musicista, penso sia più importante su come si facciano i nostri luoghi, su che proposte di legge vengono fatte, oggi sono presenti i rappresentanti del Ministero della Cultura.

Posso dirti che se tutte queste cose le avessi lette nel manifesto avrei preferito?
Io posso anche essere d'accordo con te, ti dico anche che non mi sono letto tutte le 6-8 pagine (sorride, NdA). Sono andato a vedere la mia parte non tanto per narcisismo quanto per controllare che avessero riportato fedelmente le mie parole. Questo manifesto mi rappresenta però lo trovo un po' vago anche io, poi nei fatti uno capisce meglio. Ti devo dire che sono molto più confortato da quello che vedo oggi.
 

---
L'articolo Hai paura del buio? di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2013-09-05 15:44:46

COMMENTI (16)

Aggiungi un commento Cita l'autoreavvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussioneInvia
  • seymour11 anni faRispondi

    per me il punto è che i racconti del tubetto e questo festival fanno sempre parte dell'attività preferita dal manuel agnelli, e come biasimarlo, là c'era più nivea, qua più cultura, il risultato forse cambia, (speriamo, visto che c'era il ministero della cultura), il rumore no, è sempre quello: FAP FAP

  • seymour11 anni faRispondi

    ahahahahahahhahaahha

  • lichtung11 anni faRispondi

    "Ho sentito degli spari in una via del centro..."

    Solo una piccola nota: se il giornalista sostiene di aver fatto domande non tendenziose, non può fare il mestiere che altre volte - non questa - ha dimostrato di saper fare abbastanza bene. "Non questa", direi, perché il problema delle domande non sta nel fatto di essere partigiane, ma di sembrare 'telefonate', anche se paradossalmente in direzione polemica, e alla fine, quindi, innocue. A questo proposito, mai come stavolta mi sembrano giustificati, condivisibili e ben posizionati i due "non me ne frega niente" di Agnelli.

  • iocero11 anni faRispondi

    La domanda "La cultura la si può fare solo non pagando i musicisti?" si percepisce come "Perchè cazzo al miami volete soldi e qui no?" Reato di lesa maestà? O altro? Io un idea me la sarei fatta...

  • mauro.eden11 anni faRispondi

    il problema è che tu hai inserito la critica ad XL nell'articolo e nell'intervista ad ogni cantante!=)

  • sniperfran11 anni faRispondi

    io sarei anche stufo delle cose gratis... e di quelli che suonano/lavorano gratis.
    Ricapitolando, vengono pagati (o fatturano):
    la location, gli addetti stampa e organizzatori vari, i baristi, i tecnici, i fonici, quelli del service, l'impresa di pulizie, l'enel, i guardarobieri, la security etc etc etc...
    sicchè gli unici che non vengono pagati alla fine sono i musicisti !!!!!!
    quelli per cui tutto esiste. a me sta roba pare fuori dal mondo. boh....

    bisognerebbe iniziare a pagare chi lavora, sempre e comunque, è lo stesso discorso per i volontari delle feste dell'unità, unici non pagati quando intorno a loro è tutto un proliferare di stand commerciali e soldi che fluiscono....

  • GabrieleCarbone11 anni faRispondi

    "E' chiaro che molti degli artisti coinvolti in questo festival se le possono permettere, senza poi smenarci al prossimo concerto in cui, invece, verrano pagati. E il "poterselo permettere" non è riferito al fatto che siano ricchi, ma proprio al fatto che la visibilità che già hanno andrà a rafforzarsi.
    "

    In realtà, dalla mia esperienza, posso dirti che in un festival funziona che i gruppi "grossi" vengono pagati tanto perchè DANNO visibilità all'evento, i gruppi "piccoli" invece vengono gratis perchè sanno che grazie ai nomi "grossi" sopra di loro ottengono più visibilità. Ovviamente tutto è un concetto relativo, dove lo stesso grosso può essere l'headliner "grosso" di un festival e il gruppo "piccolo" in un altro.

    Quello che succede parzialmente nel caso di questo evento è che diventa il festival stesso con il suo potere mediatico (=Agnelli e Xl) ad essere "grosso" e quindi i gruppi diventando "piccoli" (ovviamente sto esasperando il concetto e non voglio sminuire con questo la lodevole iniziativa).

    Quello che forse va detto è che se l'articolo di Xl non fosse stato così ridicolo e non avesse presentato con tono così pomposo l'iniziativa, probabilmente l'iniziativa non avrebbe avuto lo stesso impatto. Perchè poi per quanto male se ne sia parlato, se ne è parlato.

    Se l'articolo originale su Repubblica Xl lo avessero scritto sul tono molto meno fastidioso e messiatico utilizzato nelle risposte a questa intervista, non avremmo avuto nessun "caso" no?

  • unafblu11 anni faRispondi

    L'articolo è molto interessante e le domande sono poste in modo e corretto. Non capisco, però, come mai non si potrebbe fare muro assieme (dico tra media che promuovono la musica, piuttosto che tra band) per promuovere eventi importanti come sicuramente il MI AMI e altre cose come questa qui. Credo che la lieve, ma chiaramente percepibile, vena di "sfida" tra diverse realtà editoriali faccia perdere importanza al senso del festival. Questo sia da una parte (XL che si erge ad unico paladino della musica italiana) e dall'altra (webzine varie che rivendicano una non meglio precisata purezza o una caratura valoriale più alta della testata de La Repubblica).

  • fabriziopaterlini11 anni faRispondi

    A me le domande sono sembrate interessanti e ben poste.

    In effetti, non si capisce per quale motivo a questo punto al MI AMI dovreste continuare a pagare un cachet. Il fatto che gruppi che hanno già un certo pubblico e un certo richiamo, dichiarino allegramente che fanno il festival gratis non va bene. O meglio, può andare bene, potrebbe andare bene se non fossimo in una situazione in cui ormai suonare gratis è scontato.
    E' chiaro che molti degli artisti coinvolti in questo festival se le possono permettere, senza poi smenarci al prossimo concerto in cui, invece, verrano pagati. E il "poterselo permettere" non è riferito al fatto che siano ricchi, ma proprio al fatto che la visibilità che già hanno andrà a rafforzarsi.

    Con queste premesse, sarà sempre più difficile per una band con minore richiamo pretendere un giusto compenso per il lavoro svolto.

    All'estero funziona diversamente, questo è certo.

  • utente4114511 anni faRispondi

    Il dato fondamentale che emerge dalle interviste è che quella palla di manifesto non lo ha letto nessuno.