Venerdì 31 marzo, due anni e due mesi dopo il loro ultimo tour in acustico, i Fine Before You Came sono tornati su un palco, nello specifico quello di Santeria Social Club a Milano.
Francamente non saprei bene da dove partire, quindi la cosa migliore mi sembra farlo dall’inizio: cominciamo quindi dall’esibizione del gruppo di apertura, i Leute. Categoria antropologica, quella del gruppo di supporto, spesso sottovalutata e considerata semplicemente come riempitivo, ma stavolta assolutamente meritevole di menzione: i Leute si ritrovano infatti incaricati del difficile compito di riscaldare una sala pienissima e già sul punto dell’ebollizione, senza fare semplicemente minutaggio in attesa dell’apparizione del gruppo indicato sul biglietto con il nome grande. E per quanto potesse sembrare un’impresa disperata, ce l’hanno fatta e anche alla grande: la dicotomia tra una batteria nella retroguardia che pesta come un mortaio e gli accordi strazianti (nel senso buono, ammesso ce ne sia uno) fanno in modo che una buona fetta di disperazione si insinui nei cuoricini dei presenti, avviandoli a vivere la serata con il migliore degli umori possibili.
Salutati i Leute, dopo pochi interminabili minuti di cambio della strumentazione ecco che una porticina in fondo al palco a destra si apre e, uno dopo l’altro, escono i Fine Before You Came con un nervosissimo sorriso a trentadue denti. Ma è un attimo, giusto il tempo di fare un po’ di stretching per i cinque sul palco e di prendere un po’ di fiato per noi lì davanti, e si comincia. Arrivato a questo punto mi trovo sinceramente in imbarazzo. Sì, perché da qui in poi non so più bene come andare avanti. Cosa potrei dirvi per darvi un’idea di cosa è stato il lasso di tempo (un’ora abbondante, diciamo ottanta minuti) in cui i Fine Before You Came hanno suonato, cantato, urlato, parlato, fatto battute, battuto cinque, riso, ringraziato (molte volte, ma forse sarebbe stato più decoroso se fossimo stati noi a ringraziarli, uno per uno educatamente in fila)? Un’idea potrebbe essere dirvi che pezzi hanno portato. Se è questo ciò che vi interessa, sappiate che hanno suonato tutto “Il numero sette” in ordine sparso, mescolato a pezzi di “Come fare a non tornare”, “Ormai” e “Sfortuna”. Ma ridurre questo concerto (e in verità, qualsiasi concerto) a una scaletta significherebbe non averci capito nulla.
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Se proprio dovessi descriverlo, direi che è stato simile a quando due persone si guardano negli occhi e decidono insieme di tirare fuori senza filtri e inibizioni tutta la merda che hanno dentro, e più lo fanno più si sentono meglio, perché a volte l’urlarsi in faccia ciò che non va è un gesto semplicemente magnifico. A volte non è facile e si urla troppo o troppo poco, si piange o ci si trattiene, ma è solo un attimo e passa tutto. Ecco, venerdì alla Santeria Social Club questo è esattamente quello che è successo.
I FBYC e il pubblico si sono urlati addosso tutto ciò che non ha funzionato e non funziona, e tutto ha funzionato benissimo, con le loro canzoni nuove e vecchie a fare sia da mezzo che da pretesto. E questo è stato possibile perché si sentiva nell’aria caldissima della sala che ogni canzone suonata era sì “dei Fine Before You Came”, ma era anche di ciascuno dei presenti, e se ai primi va comunque riconosciuto il merito di averle effettivamente portate alla luce, tuttavia ciò non significa che fossero meno “di” chiunque ci fosse quella sera. E lo testimonia il fatto che, tutte le volte che Jacopo Lietti con un sorriso sincero allungava il microfono verso il pubblico, la canzone non si perdeva, ma esplodeva in un insieme compatto di voci urlanti più o meno intonate, e lì si poteva capire davvero che il suo urlo era solo un ambasciatore dei nostri, un autentico porta-voce. E proprio questo, credo, è stato ciò che ha reso così intensa la serata di venerdì: il fatto che tutti, sul palco e sotto di esso, sentissero ciò che stava accadendo come fosse qualcosa di esclusivamente proprio, e contemporaneamente si accorgessero che ciò valeva anche per il loro vicino, per la ragazza che li aveva accompagnati, per l’amico da una vita.
Se insomma volessi fare un brevissimo riassunto della serata potrei affidarmi allo scambio di battute avvenuto il mattino dopo tra me e mia madre:
“Bello il concerto?”
“Sì, molto.”
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L'articolo Urlarsi in faccia è magnifico: il racconto del concerto dei Fine Before You Came a Milano di Davide Bonfanti è apparso su Rockit.it il 2017-03-31 00:00:00
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