C'è un video abbastanza incredibile di qualche anno fa che mi è rimasto parecchio impresso. Dura appena un minuto e mezzo e ha per protagonista Peter Bastian, fagottista danese, intento a suonare una cannuccia come se fosse un flauto. È pazzesco vedere come basti applicare appena qualche buco su un tubicino di plastica come quello per trasformarlo in uno strumento musicale, per di più dal suono molto intenso. Provate ad ascoltare a occhi chiusi e non immaginereste mai di cosa si tratta.
Per quanto il trauma dell'entrarci in contatto alle medie possa farci pensare il contrario, il flauto è uno strumento estremamente versatile, ma soprattutto ha una forza atavica così particolare che quando è presente la differenza spesso è sostanziale nella musica pop. Basti pensare ai Jehtro Tull di Ian Anderson o ai Genesis di Peter Gabriel, se vogliamo guardare al mondo prog, ma ultimamente ci sono due musicisti in particolare che hanno parecchio rilanciato questo strumento: da una parte André 3000, che con la sua svolta ambient ha pubblicato uno dei dischi più chiacchierati dello scorso anno, New Blue Sun; dall'altra Shabaka Hutchings, uno dei capi della scena jazz britannica, che ha fatto confluire i suoi studi sullo strumento in Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace.
Dalle nostre parti, un altro musicista ha iniziato a sperimentare con questo strumento: si tratta di Emanuele Triglia, bassista e producer già vincitore del David di Donatello col brano Proiettili (Ti mangio il cuore), interpretato da Joan Thiele, Elodie ed Elisa. È appena uscito il suo nuovo disco, Moon Kin, disco che si muove nell'improvvisazione più assoluta, lasciando che siano gli incastri naturali dettati dall'intesa costruita tra i musicisti a costruire un mix affascinante di jazz, hip hop e world music. E tra i suoi strumenti protagonisti c'è proprio un flauto, ma non un flauto qualsiasi: l'ha costruito lui direttamente, sfruttando un pezzo di bambù trovato per caso. Quindi l'abbiamo raggiunto per fargli qualche domanda al riguardo.
Qual è la storia dietro al pezzo di bambù che hai trasformato in flauto?
Era circa fine agosto 2023 ed ero a casa di un mio carissimo amico, Federico Romeo, batterista. Questa casa, situata a Scilla, è davvero unica al mondo: si trova a picco sul mare, sulla scogliera chiamata Pacì, che ha dato il nome al brano omonimo contenuto nel disco. Stavamo camminando sugli scogli quando ho intravisto delle canne di bambù seccate dal sole e dal sale. In quel periodo stavo sperimentando molto con il bambù, cercando di ricavarne qualcosa prendendo esempio da altri flauti che avevo. Quindi, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di recuperare quel pezzo di bambù, tornare a casa e provare a farci un "flauto" o comunque tirarne fuori dei suoni. Tutto questo senza alcuna pretesa, ma solamente per gioco e curiosità.
Come l'hai reso "suonabile"?
Tornato a casa, ho svuotato interamente la canna di bambù (che all’interno ha dei nodi), lavorandola a caldo per non farla spezzare e in seguito ho fatto dei fori, a occhio. Non sono un artigiano e la costruzione di questi strumenti richiede un processo molto complicato e matematico. Nonostante tutto, ne è venuta fuori una scala stupenda: una sorta di minore armonica, molto “mediterranea”. Ed è esattamente il loop che sentite all’inizio del brano “Pacì”. Né più né meno. So che sembra una storia folle, ma è la verità! E, ovviamente, ci ho riprovato svariate volte, ma non mi è mai più successo. È stato come se qualcuno avesse lasciato quel pezzo di bambù lì apposta per quel brano.
Ti era mai capitato di costruire strumenti musicali?
Una volta ho costruito una percussione con tantissimi gusci di noci. Quello che ne viene fuori è come un suono simile alla “pioggia”. Ci sono un sacco di elementi naturali che sono ottimi per il sound design in generale. I semi, o gusci sono perfetti! Vincenzo Lato, il percussionista che sentite sul disco, ne sa qualcosa ehehe. Comunque, è una cosa che mi diverte parecchio, mi incuriosisce e che faccio spesso!
Il flauto sta tornando di moda secondo te?
Non direi che il flauto in sé sia tornato di moda. A mio parere, è Andre 3000 che, avendo un enorme seguito e un continuo hype attorno a lui, ci ha dato quest’impressione, influenzando inevitabilmente molti altri artisti. Per me, il vero capostipite rimane Shabaka Hutchings. Shabaka suonava questi strumenti già da poco prima della pandemia, almeno sui social, anche se chissà da quanto tempo li stava già studiando. È grazie a lui che ho scoperto questo mondo. Infatti, anche io, durante gli “anni del covid”, ho iniziato a studiare questi strumenti. Ho avuto anche la fortuna di farmi costruire un flauto da Joel Ector, artista che ha costruito diversi flauti proprio per Shabaka.
Cosa ti piace dello strumento?
Quello che mi ha colpito in particolare è il fatto che siano semplicemente pezzi di legno con dei buchi, nient’altro. Eppure, offrono infinite possibilità, a patto di avere molta dedizione. Un altro aspetto affascinante è il loro lato meditativo: il respiro, inspirare ed espirare, è come fare yoga. Avere il controllo del fiato è fondamentale! Probabilmente, in questo momento storico in cui siamo inondati da enormi quantità di musica ogni giorno, io ricercavo qualcosa di davvero immediato e “primordiale”. Ovviamente non sono un flautista, sono un bassista. Il mio strumento rimane quello! Però sto studiando molto. Mi fa stare bene e mi incuriosisce da morire!
Per molti il flauto dolce è un primo approccio traumatico alla musica, c'è modo di riabilitarlo?
Purtroppo, è vero: il flauto dolce è e sarà sempre traumatico per me (e penso per il 90% della popolazione terrestre hahah). Vi ricordate i video "shittyfluted"? Incredibili. Riabilitarlo è troppo difficile, ma è davvero necessario? Io sono appassionato di flauti di bambù, soprattutto quelli pentatonici, e mi piace l’idea che si possano costruire da soli. Più sono lunghi e larghi, più grave sarà il suono/timbro. Essendo un ricercatore di basse frequenze, vi lascio immaginare i miei esperimenti, lol. Provateci anche voi!
Qual è la sfida nell'integrare uno strumento nuovo, in questo caso mai esistito prima, nel proprio sound?
La vera sfida è più nel riconoscere un tuo cambiamento e saperlo sfruttare a tuo favore piuttosto che l’integrazione di uno strumento. A quel punto succede sempre tutto molto naturalmente.
In Moon Kin si sente che la libera improvvisazione è una componente fondamentale del tuo approccio alla musica. Qual è il segreto perché riesca "bene"? Come si sviluppa un'intesa con i propri musicisti in questo senso?
Il segreto di Moon Kin è la sincronicità che abbiamo insieme alla band. È sempre come se avessimo un codice segreto, ma senza volerlo. Ovviamente siamo dei fratelli, e questa è la prima cosa. La chimica musicale che ritrovo con loro è unica. Questo ci permette di lasciare libero sfogo all’improvvisazione; ci fidiamo del nostro reciproco linguaggio. Loro sono Pasquale Strizzi, Davide Savarese, Francesco Fratini, Federico Romeo, Vincenzo Lato, Rbsn, Giulia Gentile, Simone Alessandrini, Luca Gaudenzi, Andrea Guarinoni (ovviamente anche Davide Ambrogio che ci ha regalato una voce unica su Pacì). Tengo molto a scrivere i loro nomi perché sono degli artisti eccezionali e questo disco altrimenti non esisterebbe. Mi sento molto fortunato. La collettività è il cuore pulsante di questo disco.
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L'articolo Il flauto non è mai stato così cool di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-05-31 14:03:00
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