Flavio Giurato c’è. Esiste. Basta cercarlo, anche se farà di tutto per non farsi trovare. Giuliano Ciao, intanto, è riuscito a stanarlo, fino a scaraventarlo all’interno di un libro. Non è la prima volta che qualcuno dedica un testo a uno dei musicisti più enigmatici e al tempo stesso talentuosi del panorama cantautorale tricolore, probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo. Ma Flavio Giurato, le gocce di sudore più duro, edito dalla Crac, è un libro fondamentale per il piccolo ma vivace esercito di giuratiani sparsi per lo Stivale. Perché non solo offre un apparato critico della discografia del cantautore romano ma svela segreti (vi siete mai chiesti a cosa si riferisce la frase “le ali di Colombier e del suo giallo aquilone”, tratta da Orbetello ali e nomi?
La risposta è tra le pagine del libro), esprime giudizi, cerca risposte tra gli interventi di musicisti, giornalisti e addetti ai lavori, tinteggia il tutto con una scrittura colta ma mai, nemmeno per un attimo, noiosa o pedante. Un racconto corale, dal quale esce fuori un Flavio Giurato geniale e fragile, un cantautore diverso da tutti gli altri passanti per nulla segnato da un orgoglioso insuccesso commerciale. Giuliano Ciao racconta tutto questo e molto di più. Lo abbiamo intervistato.
Innanzitutto ti faccio notare che per scrivere il libro hai avuto bisogno di cinque anni: sono tempi giuratiani…
Quando ho iniziato a buttare giù qualche riga sulle canzoni di Flavio non consideravo la possibilità di realizzarne un libro, e anche quando tale possibilità si è poi concretizzata, non avevo in mente la forma che il libro avrebbe dovuto assumere. C’era un’urgenza che mi portava a scrivere di quelle opere, nel tentativo di decriptare il loro mistero, e il mistero di come mai mi appartenessero così profondamente. Così ho continuato a scrivere, instancabilmente. Man mano il libro si formava grazie a germinazioni progressive, a continue variazioni e anche a necessarie sfoltite (ad un certo punto aveva superato le 600 pagine!). Potremmo dire che il libro è stato finalmente pubblicato quando tale processo era diventato ormai estenuante, e quando la pazienza infinita dell’editore (Marco Refe, che non smetterò mai di ringraziare) stava quasi per terminare. In realtà questo libro non finirà mai, continuerò a riscriverlo perennemente, ma solo nella mia testa. Un po’ come fa Flavio, che lavora a un pezzo anche per trent’anni, trasformandolo continuamente, ma senza mai scrivere nulla, nemmeno un appunto.
Sei nato nel 1989, quando Flavio Giurato aveva già pubblicato i suoi primi tre album e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un giorno sarebbe tornato: come hai scoperto la sua musica?
La musica d’autore, soprattutto quella più marginale e obliqua, è uno dei centri delle mie riflessioni quotidiane. Ho sempre avuto l’attitudine a ricercare autori nuovi: sentivo la necessità di incontrare modalità espressive differenti, linguaggi più stratificati. Nel caso di Flavio però c’è un episodio specifico: una mia cara amica, Chiara, mi inviò una mail che conteneva Valterchiari. Ricordo anche una passeggiata con un altro mio caro amico, Gino, in cui parlammo tanto di Marco Polo: conoscevo ormai bene Flavio, ma è come se su una fiamma già accesa vi fosse stata buttata della benzina. Chiara e Gino oggi sono fidanzati, all’epoca non lo erano: ecco che “tutto si lega, tutto ci lega”, come dice Beckett.
Come sei arrivato alla Crac? Avevi proposto il manoscritto anche ad altri editori?
Quando i miei scritti avevano raggiunto inaspettatamente una mole considerevole ho iniziato a spedire in giro un manoscritto. È stato il caro Federico Guglielmi, a cui avevo chiesto dei consigli, a indicarmi Marco Refe e la Crac. Intanto, prima di questa felice soluzione, anche altri editori si erano mostrati interessati al volume. Ci tengo a dire però che Marco Refe – oltre ad accontentare tutti i miei capricci e le mie proroghe – è stato l’unico che non mi ha chiesto di sborsare un solo euro per il libro, e mi ha anche assicurato una percentuale di guadagno.
Qual è stata la parte del libro più difficile da scrivere?
La seconda parte, quella delle interviste, è stata la più faticosa. Avevo appuntato su un foglio quattro o cinque nomi da intervistare, sono progressivamente diventati quasi sessanta. Dopo aver trascritto tutte queste interviste avevo avanti un malloppo di più di mille pagine! Ho iniziato così a effettuare un vero e proprio montaggio: ho selezionato le parti delle interviste che mi interessavano e che riguardavano tutta la vita di Flavio e le ho assemblate in un enorme racconto collettivo. Nell’effettuare l’assemblaggio però, ho scelto di sovvertire l’andamento cronologico degli eventi, per perseguire una drammaturgia più interessante, fatta di vari salti temporali. Infatti il racconto si apre con quello che è a mio avviso il momento cruciale di tutta questa vicenda: Antonio Zedda che, nel cuore degli anni ’90, trova sul giornale una notizia su Flavio – che era scomparso da anni e anni dalle scene – e decide di contattarlo. Fu grazie ad Antonio che Giurato tornò a esibirsi dal vivo, e fu grazie ad Antonio che Giurato tornò a incidere un disco, producendo Il manuale del cantautore. Mi fa piacere ricordare Antonio, anima di rara curiosità e gentilezza, recentemente scomparso a causa della maledetta pandemia.
Sei un fan di Giurato, ma questo non vuol dire che tu non abbia risparmiato critiche nei confronti dei suoi album, in special modo a quelli più recenti. Quanto ti è costata questa cosa?
A mio avviso tutti i dischi di Flavio sono dei lavori incredibili, alcuni sono bellissimi, altri capolavori. Perciò non mi è costato nulla proporre anche alcune critiche. E poi i miei pareri sono mutati molto nel corso della stesura del libro, fra la l’analisi iniziale e il terzo capitolo, scritti a diversi anni di distanza l’uno dall’altro. Nell’analisi iniziale, che affronta cronologicamente tutti i dischi di Flavio, le mie critiche riguardavano alcuni casi in cui – nel secondo trittico giuratiano – mi pareva poco efficace quel meccanismo di frammentazione e di scomposizione che Flavio applica alla forma canzone, che nel diventare un organismo aperto, dilatato, espanso, fatto di continui rimandi interni e di ripetizioni, rischia anche di diluirsi, di perdere parte del suo mordente, di girare a vuoto. Ma, in ogni caso, prevalgono gli episodi in cui questi stessi elementi – che definiscono proprio la cifra espressiva del secondo corso giuratiano – hanno un effetto molto potente, assurgendo a una posizione di assoluto rilievo, come se l’elemento linguistico scavalcasse gerarchicamente il contenuto narrativo, divenendo esso stesso “il discorso”.
Non temevi le rappresaglie giuratiane? Anche tu lo hai sottolineato nel libro: le critiche non sono mai piaciute a Flavio…
Io non credo che Flavio non ami le critiche, piuttosto credo che abbia scelto di non interessarsene. Piuttosto che abbia in parte desiderato la sua solitudine, abbia difeso negli anni il suo isolamento, si sia ritirato nel suo deserto-stanza per dedicarsi alla sua arte senza interferenze. Ciò può aver avuto un costo anche doloroso, ma credo che gli abbia permesso di proteggere il suo sguardo, la sua ispirazione, le sue modalità creative, i suoi tempi, le sue scelte. Io credo che il mondo (discografico, televisivo, pubblicitario) quando inizia a riconoscerti, a pubblicarti, a invitarti nei suoi spazi, e soprattutto quando inizia a elogiarti, a premiarti, a chiamarti “maestro”, può compiere un vero delitto nei confronti dell’artista. La sua voce nel venire accettata può subire anche un processo di normalizzazione. È per evitare ciò, io credo, che Flavio abbia scelto di pubblicare poco ma di mutare continuamente il suo linguaggio, affinché risultasse sempre anomalo rispetto ai parametri dei vari periodi delle sue uscite discografiche. Questo rende Flavio un artista costantemente in differita, in controtempo. E poi il fallimento è più eccitante, ti mette in contatto con i tuoi limiti, ti ricorda che la cosa più preziosa è l’impossibile, ciò che non sei ancora riuscito a raggiungere. Giurato ha costantemente sabotato la sua carriera: il (premeditato) suicidio discografico di “Marco Polo” è solo l’esempio più evidente. Da questo punto di vista il mio libro – e la funzione che ipoteticamente potrebbe avere nell’istituzionalizzare la figura di Giurato – è un grave affronto nei suoi riguardi. E questo è anche il motivo per cui lui non lo leggerà. Io ho fatto un torto a Flavio.
Nel libro compaiono interviste, interventi di musicisti, giornalisti… Hanno tutti risposto volentieri o hai avuto l’impressione che qualcuno lo abbia fatto per dovere? E c’è qualcuno che invece non ha voluto parlare con te?
Ho percepito grande felicità e partecipazione da parte di tutti. Avevo saputo da varie persone che Calcutta è un grande amante di Flavio – tra l’altro credo che gli debba molto in termini artistici – ma persone a lui vicine mi hanno detto che preferiva non partecipare. Lo stesso anche Vasco Brondi. Federico Fiumani – artista che amo molto e che ha secondo me qualcosa in comune a Flavio per una certa modalità declamatoria del canto – ha gentilmente risposto a un mio invito dicendo che stimava Flavio ma non se la sentiva di rispondere. Poi avrei voluto la partecipazione di altri artisti, ma non sono riuscito proprio a raggiungerli, e attraverso i canali a cui avevo accesso non ho ricevuto mai risposta: Francesco Bianconi, Paolo Benvegnù e altri che non ricordo. Ma in questi casi, però, non so nemmeno se essi siano o meno amanti della musica di Flavio.
Le gocce di sudore più duro comprende anche qualche pagina di intervista a Giurato, un’operazione che un po’ temevi, però direi che è andata bene…
Nel libro sono riportate due interviste a Flavio, effettuate a distanza di anni l’una dall’altra. La prima intervista fu molto difficile, era la prima volta che incontravo Flavio, e suppongo che per motivi legati ai nostri rispettivi caratteri non riuscimmo a trovare un canale comunicativo adatto: io ero un po' impacciato, e avevo formulato delle domande sbagliate, lui era molto gentile ma timido, sempre in imbarazzo nei casi in cui deve parlare di se stesso. La seconda intervista invece, quella che chiude il libro, è il frutto di tre interi giorni trascorsi con Flavio, dormendo a casa sua, quando ormai eravamo diventati amici. Effettuata con più calma, in un’atmosfera di maggiore vicinanza, Flavio ha fatto defluire molti suoi ricordi, si è aperto, magari anche perché si fidava maggiormente di me. È stato un momento indimenticabile, e poi Flavio cucina delle buonissime uova col bacon di cui andiamo ghiotti entrambi.
Alla domanda “Hai rimpianti?”, Flavio ha risposto che si è pentito di non aver comprato un coltello e un quadro durante un soggiorno a Londra. Ecco, io son rimasto basito… Anche tu, immagino…
Ho imparato a conoscere Flavio, e credo che quella risposta sia coerente. Nei confronti di questioni troppo grandi, troppo ingombranti, mi pare che la sua tendenza sia quella di smarcarsi, di defilarsi, e lo strumento con cui lo fa è quello dell’umorismo. A maggior ragione quella domanda può averlo messo al cospetto della sua vita, del suo passato, magari anche di alcune cose dolorose, e così il suo istinto è stato quello di mettersi al riparo, di proteggersi con una risposta ironica. Credo che lui abbia una vita interiore molto intensa, ma non ama farla emergere con il linguaggio, farne discorsi. Sono le canzoni a contenere tutte le sue cicatrici.
Che idea ti sei fatto del Flavio Giurato uomo?
Questa è una domanda troppo enorme a cui rispondere, potrei non finire mai. Anzi credo che tutto il mio libro sia un tentativo di rispondere a questa domanda. Se mi è concessa però una divagazione un po’ personale vorrei aggiungere che, attraverso tale processo di penetrazione nella vita di quest’uomo, ho cercato di mettere a fuoco anche qualcosa di me stesso. Il mio desiderio era quello di realizzare non solo un libro su Flavio Giurato, ma un libro con Flavio Giurato. Desideravo che esso, dietro a una serie di analisi e di considerazioni, fosse anche la registrazione di una relazione, quella fra me e questo cantautore che tanto avevo ascoltato e amato. Trovo interessante che all’interno di questa relazione uno dei due amanti non ne era consapevole, e perciò lo scambio amoroso ha assunto le sembianze di una violenza carnale: in questo modo, nel violare l’arte di Flavio, è potuto accadere che io abbia fatto confluire in essa anche parte dei miei desideri e della mia vita. Così, portando avanti tali analisi, e cercando gradualmente di mettere a fuoco la natura di questo mio amore, non sempre posso essere riuscito a scansare il pericolo del fraintendimento, o della forzatura interpretativa, o dell’eccesso d’enfasi. È proprio come nel corso di un innamoramento: non si può chiedere a colui che ama di essere totalmente lucido, di non idealizzare in parte l’oggetto del suo amore.
I dischi di Flavio Giurato non hanno avuto successo commerciale, a leggere il tuo libro sembra che non sia importante, anzi, sembra proprio che sia giusto così.
Non credo che sia giusto in senso assoluto, credo che sia stato giusto per lui, che Flavio abbia desiderato così, per i motivi che ho cercato di dire in precedenza. Non che sia stata una scelta consapevole, programmatica, ma un movimento sotterraneo con cui ha sabotato ogni possibilità di successo per poter preservare la sua solitudine, per non dover edificare il suo deserto.
Flavio Giurato live: che impressione ti fatto ascoltarlo suonare dal vivo?
I concerti di Flavio sono delle esperienze incredibili, e non sono, secondo me, solo un’appendice alla sua opera, ma ne costituiscono un momento fondamentale. Credo che il motivo della loro forza risieda nel pericolo a cui Flavio si espone. Il fatto di non fare prove, di non avere scalette stabilite, di improvvisare, di avere a che fare con delle canzoni lunghissime e complesse e quindi difficili da ricordare, sono elementi che non appartengono a un atteggiamento approssimativo e sciatto, ma a una scelta consapevole, direi metodologica. Flavio vuole essere in pericolo poiché sa che da tale pericolo si sprigiona l’energia. Gli spettatori sono invasi da questa energia, perché percepiscono il pericolo e vivono anche loro sul filo di un possibile disastro. Inoltre, la tendenza a cui accennavo prima da parte di Flavio di smarcarsi costantemente, di proteggersi, di risultare spesso impenetrabile ed elusivo, nelle sue performance è assente: siamo precipitati nel suo mondo interiore, possiamo trovare posto nella sua stanza, osservarlo mentre conduce la sua lotta.
Come spiegheresti Giurato a un ragazzo di 18 anni?
Metterei una canzone di Flavio, e inizierei a cantarla senza inibizioni, come facciamo quando siamo da soli in casa, o magari sotto la doccia. Tutte le mosse che farei col corpo, le espressioni del mio viso, anche le stonature della mia voce che cercherebbe di imitare e amplificare le intenzioni del cantante… Tutto ciò credo che potrebbe avere una forte capacità persuasiva su di lui, riuscirebbe a infondergli curiosità e a trasmettergli empaticamente cos’è l’arte di Flavio. Nel contempo gli direi anche qualche parola…
Flavio Giurato primo nelle classifiche di vendita, Andrea Laszlo De Simone vince un Grammy Award, Lucio Corsi porta a casa tre dischi d’oro, i negozi vengono presi d’assalto ogni qual volta escono retrospettive su Enzo Carella, Mario Barbaja e Lino Capra Vaccina. Te lo immagini un modo così? Secondo te come sarebbe?
Un mondo più erotico, più sensuale, meno anestetizzato, in cui – come dice Cioran – sia possibile “risalire oltre il concetto, scrivere direttamente con i sensi”. E ancora: un mondo in cui è più facile strapparsi ogni tanto alla propria parte, restituirsi al presente, evadere dal linguaggio e dai discorsi che troppo spesso, più che un campo di possibilità, sono la nostra prima galera.
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L'articolo Ho fatto un torto a Flavio Giurato di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2021-02-01 10:25:00
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