Se vi state domandando se Estrema Leva Artistica Musicale ‘900 alluda, attraverso il nome, a un qualche tipo di orientamento politico, siete sulla strada giusta. La risposta comunque è no, e ci siamo arrivati anche noi dopo qualche dubbio e qualche timore. L'abbiamo chiesto direttamente a loro, e ci hanno rassicurati. D’altronde: "L’arte è a sé. La politica è un gioco dei terrestri, lasciamoli giocare", hanno detto.
E allora, perché quattro ragazzi sui vent’anni dovrebbero scegliere un nome così ambiguo per il loro neonato progetto? "Abbiamo avuto migliaia di nomi addosso e non ce ne stava bene nessuno. Ne abbiamo cercato uno che non si fermasse a qualcosa di scontato o facile, ma neppure che si riferisse a qualcosa di mondano che tra 1000 anni sarebbe caduto nell’oblio. Cercavamo qualcosa di eterno o perpetuo che avrebbe potuto accogliere tante opere di vario genere senza regole e schemi: dal superfluo modaiolo all'esistenzialismo più abissale. Così, abbiamo trovato 'Estrema Leva Artistica musicale '900'. Ci ha fatto sentire subito la libertà di fare ciò che vogliamo, tranne la trap", spiega ironico Gabriele, uno dei quattro.
Lui, 22enne, fa di cognome Modesti e suona la batteria e le percussioni all'interno del gruppo. È Abruzzese di Arsita, sulle pendici del Gran Sasso: le stesse che hanno ospitato, durante il lockdown, l’Estrema Leva al completo durante la scrittura, la produzione e la registrazione del loro primo disco. Un folle concept album che ci ha incuriositi: si intitola Un Inverno all’Inferno.
Ne ha ampiamente parlato in questa recensione Umberto Veccaro, un loro amico di Noci, in provincia di Bari (piccolo paesino nella Valle D'Itria a pochi km dal famoso Locus Festival): "Un album compatto, studiato, programmato e progettato bene, mai banale, che richiede un ascolto motivato, quasi metodico e accademico", scrive nelle sue righe.
E insieme commentiamo la difficoltà di esordire, al giorno d’oggi, con un album del genere, di 18 tracce: assolutamente fuorimoda, a tratti impacciato, prolisso, ma appassionato, pieno di simboli e di rimandi interpretativi. Un disco calcato dalle mani di chi è così giovane che non si è ancora rassegnato. Per tutti questi motivi ci piace, e ne vogliamo parlare.
Gli Estrema Leva sono Gabriele Modesti, Alessandro Fiorino (25 anni), voce, testi e chitarra del gruppo. Di Messina, lì dove Nord Africa e Sud Europa diventano tutt'uno. Poi, Michele Pinto, classe 1997, chitarra elettrica e basso, pugliese di Noci (come l’amico e recensore Umberto). Infine, David Mihali, 23 anni, flauto traverso, sax e tastiere, marchigiano-albanese di Fossombrone nato a Tirana.
Tra il 2020 e il 2021 i quattro ragazzi "legano le loro anime e con esse anche le loro culture" (come si evince dalla loro biografia) nella medievale, arcana e religiosa Urbino, dove studiano e vivono da qualche anno: "Io sono iscritto alla facoltà di Sociologia – comincia con l'elenco Gabriele – "Michele Biologia; Alessandro è laureato in economia, ma poi ha scelto di non continuare quel percorso e si è specializzato in alcoologia. David (di cui uno dei tanti soprannomi è Pinocchio) va ancora a scuola".
Urbino è una città molto piccola e al tempo stesso molto "intrigante e ambigua", spiegano i ragazzi: "In questo ultimo anno abbiamo conosciuto diversi musicisti, tra cui il nostro coinquilino Manuel Lorenzetti (artista noto nella zona); Matteo, in arte Derido (per gli amici Delirio) e Gianluca, in arte MustanG". A causa delle restrizioni da parte dell’amministrazione comunale (non dovute solo alla pandemia, ndr) e nonostante sia una città universitaria, Urbino è molto povera di movimenti culturali e soprattutto musicali, mi dicono i quattro: "I locali non organizzano serate, tranne alcune eccezioni. Non ci sono palchi e manifestazioni, se non natalizie".
Come Estrema Leva hanno fatto qualche concerto, ma prevalentemente si sono fatti conoscere in città una volta in cui presero un tappeto, tutti gli strumenti (batteria compresa) e li portarono in fortezza Albornoz (la cinta muraria della città). "Da lì abbiamo riproposto l'evento molte altre volte e abbiamo sempre conosciuto persone che tutt'ora ci sostengono e sono diventati nostri amici", dicono.
I primi a conoscersi sono stati Gabriele e Alessandro in un locale della città, "l'unico che organizza jam session", racconta il primo: "Giorni dopo, Alessandro mi propose di vederci per mostrarmi alcuni testi e io accettai. Conoscevo già Michele per amici di amici, e coinvolsi anche lui. Così nacque il progetto, nel 2020". David si unì per ultimo: "La sua stravaganza non ci era nuova e quando ci incontrammo per la prima volta fu odio e amore a prima vista", ricorda Gabriele.
Un Inverno all’inferno è il loro disco d’esordio. Un concept album, dicevamo, abbastanza anomalo: concettuale, di difficile ascolto, ambizioso, che descrive e critica la società con impegno e introspezione. Mette assieme le influenze di ognuno: "Alessandro viene dalla poesia ed entra nella musica attraverso il cantautorato", dice Gabriele, il più chiacchierone dei quattro: "Io sono più verso il rock, il funk. Michele è più proiettato verso il metal, con orecchie sempre aperte al nuovo rock e un occhiolino al pop". Ma bene o male tutti ascoltano tutto. "Tutti tranne Little David. Lui ascolta solo jazz e bossa precedente agli anni '70. Conosce poco altro e cerca di sabotarci ogni giorno", e ridono.
Assieme a Nicola Modesti (bassista sintetista e batterista dei Mobili Trignani, nonché producer e fratello di Gabriele), i ragazzi registrano e mixano i pezzi a Villa Piovosa, la villetta in montagna a 10 km da Arsita, il paese di Gabriele. Nella foto qui sotto potete notare che dalla prospettiva in cui è stata scattata si intraveda la forma di un gigante che dorme (che ridere che ogni profilo montuoso sia sempre antropomorfo): "Il Gran Sasso è il picco più vecchio d'Italia, e credo di non sbagliare se dico che racchiuda in sé tutta la saggezza del Paese. Forse le tante volte che ci siamo fermati a guardarlo, ce ne ha trasferita sempre un po'", continua il ragazzo, quando chiedo all’Estrema Leva se il luogo dove si sono ritirati per lavorare ha influenzato in qualche modo il disco: "Eccome, il Gran Sasso ha giocato un ruolo fondamentale, così come anche la popolazione di Arsita".
Nel mese in cui l’Estrema Leva è stata a Piovosa ha creato un microclima spirituale che ammetteva scambi al massimo con il paese e i suoi abitanti. Nonostante il periodo fosse quello – il lockdown imposto a tutta Europa –, "il resto non esisteva, benché meno il covid", dice Alessandro, voce, testi e chitarra del gruppo.
È in questo luogo, all'apparenza tranquillo, che i quattro ventenni scoprono una nuova porta per l'Inferno ("Sei una caverna da secoli dei secoli / Da quando la tempesta di luce colpì") e provano a rivelarlo al mondo e agli ascoltatori attraverso le canzoni: un viaggio con loro nelle profondità degli Inferi ("La via per uscire / La via è dentro") che costringe e persuade il visitatore, traccia dopo traccia, a procedere fino alla fine.
Il titolo dell'album arriva da Arthur Rimbaud: "L’ho incontrato in non ricordo quale stazione nel regno dei Sogni. Aveva letto i miei testi, ascoltato le mie musiche, e mi ha aveva detto che dopo aver parlato col mio conterraneo Michelangelo Florio (meglio conosciuto come William Shakespeare, ma le fonti non sono certe), il titolo più idoneo sarebbe stato Un Inverno all'Inferno", racconta Alessandro. Colui che, appunto, ha scritto i testi del disco.
Un mix concettuale tra Une Saison en Enfer (Una stagione all'Inferno) dell'enfant prodige Rimbaud e la celeberrima frase del monologo d’apertura del Riccardo III: “Ormai l'inverno del nostro scontento…"; "letture che sconsiglio a chiunque voglia rimanere nella pace", commenta Alessandro. Che aggiunge ironico: "Anche i Måneskin ci hanno ispirato", e sorridono tutti.
"La realtà è la proiezione di costrutti interiori (inculcati dalle istituzioni, che portano avanti il testimone di tradizioni secolari; dalla società, dalla famiglia, e da chi altro). Quando si accetta questo, quando si esce fuori dalla propria bolla comoda, inizia il viaggio", dice Alessandro. "Inizialmente può sembrarci un Inferno, perché fa paura: tutto è nuovo e ignoto e non si sa cosa ci si può aspettare. Poi, nel momento in cui si conosce la realtà fuori dalla caverna, dalla propria bolla, il resto si trasforma. E se ci voltiamo indietro, ci accorgiamo che l’Inferno era proprio ciò da cui siamo partiti".
"Stiamo lavorando a un nuovo album. Non vogliamo dire il nome né anticipare nulla", annunciano i ragazzi. Possiamo solo dire che, se Un Inverno All'Inferno critica la società contemporanea in maniera molto concettuale e traversa, con il prossimo lavoro l’Estrema leva Artistica musicale '900 sarà più diretta, e colpirà il bersaglio in maniera più precisa. Noi attendiamo.
Così come siamo curiosi di vedere le stampe fisiche del disco: "Con l’aiuto speciale di Carmine, Lorenzo ed Emma stamperemo solo 99 copie, che abbiamo intenzione di vendere a 99 euro l'una. Ogni disco avrà le sue copertine fatte a mano, ognuna diversa dall’altra. Abbiamo scelto l'artigianato alla produzione industriale consci che sia una follia", spiega l’Estrema Leva.
Ma non è solo questa la particolarità: ogni album sarà numerato e avrà una frase scritta a mano. Ci sarà un link che porterà a una pagina YouTube privata con un bonus track. Chi comprerà il disco dovrà scrivere nei commenti il numero del suo album e la frase scritta. Il testo nel suo intero formerà un manifesto poetico che Alessandro ha scritto durante la produzione dell'album.
"L'idea che sta alla base di questo processo artistico vuole rovesciare l’equilibrio di Nash, e creare un rapporto di interdipendenza tra tutti coloro che decideranno di supportarci con del banale denaro. Alla fine, quando tutte le 99 copie saranno vendute e il manifesto sarà completo nei commenti con le 99 frasi riportate e numerate, la bonus track verrà liberata insieme al manifesto e verrà condivisa a tutti", spiegano.
Un Inverno all’inferno è un viaggio umano fatto da umani: quattro giovani amici che con la musica hanno tentato di indagare "sulla banalità del presente, sul senso dell'odio prima ancora che l'amore, sul senso di smarrimento all'interno della società attuale che può portarci a soffrire psicologicamente; senza dimenticare le varie citazioni filosofiche o teologiche, riuscendo a prendersi sul serio sempre, anche nelle tracce più soft", come si legge nella recensione del disco.
Per evitare che vi perdiate lungo la via – il viaggio dura ore e la strada è buia –, il racconto di Un Inverno all’Inferno (pieno di pathos) dell'autore Alessandro, traccia dopo traccia, come fossimo Virgilio e voi Dante. Buon ascolto.
1. Intro – un Inverno all'Inferno
Questa, come tutte le altre tracce strumentali del disco, è un'opera d’un artista mio concittadino: Fabrizio Previti, un artista prevalentemente visivo che studia a Londra, con la passione per i salotti e per l'alcool. E che talvolta si diletta a comporre strane atmosfere da ascoltare.
2. Caverna
Il testo di questo pezzo nasce dalla collaborazione con Platone. Dapprima il testo era molto più lungo, ma ho voluto svestirlo e smagrirlo parecchio per lasciare solo l'essenziale: "Sei in una caverna da secoli di secoli" già dice tutto, ma ho comunque preferito lasciare giusto qualche altra frase. Mi è stato chiesto più volte come mai nella seconda parte della canzone (dopo l'intervallo di organi synth di David) le voci alte siano state mantenute così alte e fastidiose in certi punti. Lo ridirò qui per l'ultima volta: il motivo è che la gente non ci sente molto bene, e coloro che sentono difficilmente ascoltano. Provate a urlare nella Caverna… fatemi sapere cosa succede.
3. Partenza
Un brano che odio profondamente, di cui non amo parlare e che tratto con indifferenza. Allo stesso tempo credo sia il migliore che abbia mai scritto perché mi ha dato una grande gioia sin dal primo momento. Come tutte le poesie o tutte le partenze, è esistito solo all'inizio, il resto è ricordo, immagine… inquinata da nostalgie e sentimenti. Tutta l'arte che gli uomini venerano credo sia solo un ricordo di un momento profondo che si è voluto immortalare. C'è da dire che spesso, però, ci si confonde: quelle canzoni, così come quegli oggetti d'arte, fatte e fatti pensando ad un pubblico, sono costrutti senza memoria, senza corpo, e diventano simboli (grazie a operazioni di marketing e propaganda, ma questo è un altro discorso). Qui si fa Arte, zero bigiotteria. Ciò che spero per questa canzone è solo che sappia perdonare il mio carattere.
4. Inferno
L'ho scritto con De Andrè. I ragazzi l'hanno arrangiato con qualche consiglio dei Jethro Tull (anche se lo abbiamo scoperto dopo). È un grande pezzo, che riesce a rimanere se stesso senza calare la testa a nessuno. Poco da dire, complimenti a noi!
5. Alta Poesia del Fango
"E Cattedrali oscurano la Luce dell'astro di Vita": grazie Lucio. Qui mi interessa solo capire se questa canzone riuscirà a ottenere più visualizzazioni de Il nostro caro angelo di Battisti. Il resto è tutto esplicito per chi vuole ascoltare.
6. Canaan
Questa canzone la chiamo anche "il grande malinteso". Il pezzo più pop (rock) dell'album. Ma chi è Canaan? Il figlio di Cam. E chi è Cam? Il figlio di Noè. E chi è Noè? Quello della barchetta che ha salvato la vita animata sul mondo, secondo la mitologia Giudaico-Cristiana. Sì, ma che c'entra? Qui torna Rimbaud, e se leggete la sua Stagione all'inferno v’imbatterete nel nome di Cam. La farò breve.
Un giorno Noè si ubriacò, e fin qui va bene, lo stimiamo tutti. Il figlio, Cam, lo trovò sfatto e nudo a russare vicino al fuoco, e qui fece il grosso errore di correre dai suoi due bravi fratelli, Sam e Jafet, a dir loro con grande stupore che il loro padre era in condizioni pietose. Questi guardarono il fratellino dall'alto in basso e poi andarono dal padre a onorarlo e coprirlo (senza neppure guardarlo per non rovinare il suo pudore). Il giorno dopo, quando Noè fece le sue cerimonie e parlò con Dio, pensò bene di maledire il figlio Cam e anche suo nipote Canaan.
Da qui la metafora del dannato senza colpa. Che si trova a essere schiavo per secoli e secoli per colpe non sue.
Da qui, dunque, il bisogno di anarchia per rompere le leggi che schiacciano l'individuo gratuitamente, il bisogno di fuga mediante la fantasia o l'oblio mediante l'anestesia. La canzone era bella che scritta, mancava solo il titolo e ho sentito una fratellanza con Canaan e la sua storia, e ho pensato di dedicargli il titolo. Chissà, magari gli arriveranno un po' di onori, finalmente. P.S.: qui Michele si è proprio divertito!
7. ViRUS
Canzone violenta, troppo vera, non l'ascoltate… (è uno di quei casi in cui il testo nasce prima della musica).
8. Canto di Lucifero
Diciamo che ci sono le mosche e ci sono le api, il bene e il male. Lucifero porta luce, è l'angelo ribelle, mostra all'umano intelletto che Dio ha costruito questo mondo così, nella forma del conflitto. Ecco perchè Lucifero vuole ribaltarlo, prendere il potere e dominare, stringendo alla sua corte le mosche e le api. Voi che ne pensate, ci sarà la pace sotto il suo dominio? Forse la scelta è ammazzare sia Dio che Lucifero, per smettere di guardare le mosche e la merda in maniera negativa, e le api e i fiori in maniera positiva, ma chissà.
9. Intermezzo – autodafé
Qui una moto sega minaccia l’esistenza, ma troverà un grande avversario: il flauto di Pan. Andate a scoprire chi vincerà.
10. Inverno
Non ho molto da dire riguardo questa canzone. Senza di lessa l'album non starebbe in piedi, sarebbe un album mancato, sbagliato, fallito (al di là di ogni possibile successo mediatico).
11. Mea Culpa
Forse la mia canzone preferita, ma che non riusciamo mai a rendere bene in live, per via del suo finale in cui faccio sia il monologo urlato che il cantato portante. La verità è che ancora non abbiamo ancora trovato il tempo per provarla bene.
12. POKER
All in!!!
13. Interludio/Preghiera alla Luce
Erano due pezzi separati. Uno strumentale di Fabrizio (Interludio), l'altro un brano semplice: due chitarre (io e Michele) e voce con coro, registrato con un panoramico all'aperto in Villa Piovosa. Poi, in post produzione, poco prima di pubblicare, abbiamo visto che i due pezzi erano quasi perfettamente sovrapponibili così li abbiamo uniti e da 19 i pezzi sono diventati 18 (un numero più coerente se si pensa a 6+6+6).
14. Leviatano
Un pezzo a cui sono legato molto per via dell'intro. Villa Piovosa di notte, zero rumori fuori, noi dentro ubriachi a massimo volume provavamo a far capire a David quale fosse l'intenzione del pezzo per non farlo deviare sulle sue merdose note jazz. Da lì, tra una bestemmia e un'altra, è nato l'intro. È il pezzo preferito di Gabriele. Ma c'è di più, per questo pezzo siamo andati fino a Cerreto Alpi per cercare una piccolissima collaborazione con G. L. Ferretti. Volevamo cantasse solo la frase: "Liturgia di sangue sacro, vino e nebbia e mattino" e buona pace per tutti. Ha messo le mani avanti appena ci ha visti e ha negato giustamente qualunque forma di collaborazione, ma non sto qui a raccontarvi la storia, è finita che il giorno dopo eravamo a casa sua a bere vino e chiacchierare di Musica ed Esistenza. L’anno dopo Ferretti è stato il più cantato da Sanremo, ma è solo un caso.
15. PreOutro – corrispondenze
No comment, chiedete al Previti o a Baudelaire se vi viene più semplice. Solo vorrei dire che l'acqua non è la bevanda delle zone urbanizzate.
16. L.d.A
La canzone con cui conquisterò il cuore della mia prima moglie. Venite donne, sposerò la donna che mi spiegherà il significato di questa canzone (non uso social, venite a Urbino e chiedete di me). Ma amerò solo quella che piangerà ascoltandola.
17. Hotel Davìd
David aveva bisogno di sfogarsi, così abbiamo messo la sua più bella canzone prodotta a Villa Piovosa. Nell'ascensore che ho utilizzato per arrivare a parlare con quello che Bob Dylan chiamerebbe "comandante in capo", nell'intervista in cui conferma di aver venduto l'anima.
18. Passo Finale
In questa canzone dico più o meno tutto ciò che ho da dire al "comandante in capo".
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L'articolo Forse il tunnel di neutrini sotto il Gran Sasso c’è davvero di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2022-01-28 13:45:00
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