Gazebo Penguins: se vuoi ascoltarci, vieni a vederci

È una scelta di campo quella della band emiliana: per l’uscita del nuovo disco, “Quanto”, la gente dovrà uscire di casa, perché si può preordinare solo ai loro live. Ne parliamo con Capra, che ci racconta come nelle loro canzoni la furia incontrerà il prog

Gazebo Penguins, foto di Stefani Bazzano
Gazebo Penguins, foto di Stefani Bazzano

Chi da qualche tempo li aveva iniziato a paragonare a dei monaci non si era davvero spinto molto in là con l'immaginazione. Mi pare fosse di dicembre, mi pare fosse all'Atlantide di Bologna e mi pare fosse nel 2007, o forse era già il 2008, la prima volta che mi sono imbattuto nei Gazebo Penguins. E già allora c'era qualcosa non solo dell'austerità e del rigore di quello che gli emiliani vanno facendo da quasi vent'anni a questa parte ma persino quel barlume di ascetico che ci siamo trovati ad amare ancora di più durante le recenti esibizioni in chiave acustica, quindici anni dopo. E di liberatorio, se si vuol in un certo modo estremizzare il grado di volontà, caparbietà e determinazione che consente ai tre di andare oltre ogni ostacolo.

In tutta franchezza, la loro idea di musica suscita un rispetto che può sfociare persino in un timore reverenziale, tanto risulta ogni volta emotivamente cruda, diretta, potente e soprattutto vera. Avvicinarsi dopo cinque anni dall'ultimo lavoro in studio, Nebbia (2017, To Lose La Track), così, a un primo singolo come Nubifragio (2022, Garrincha, “Ma To Lose La Track c'è ancora, in collaborazione d'uscita”), non è mai una cosa particolarmente facile e agevole. Emozionante, quello certo sì, ma giammai semplice. Tanto meno accondiscendente, perché quella chitarra quasi sempre al limite della tenuta stradale, quella voce che urla, rievoca, avverte, sprona senza pose, quel ritmo asimmetrico e tirato, quell'innesto direi di clarinetto (qualcuno dice sia sax) che più degli American Football ricorda i Gong (?!) sono un breve, tormentatissimo e propedeutico invito alla catarsi che forse si manifesterà nella sua interezza soltanto con la giunta di Quanto, in uscita il prossimo dicembre.

 

video frame placeholder

 

Così mi ritrovo a pensare che, per certo, è sempre difficile scegliere il primo singolo, perché poi la gente crede di avere capito tutto o si fa illusioni su come sarà il disco. Mi viene in aiuto Gabriele, per tutti Capra, che dei Gazebo è sempre stato cantante e chitarrista: “Ci sembrava il pezzo perfetto per aprire questo disco, e di conseguenza per essere il primo a uscire allo scoperto. Un brano che parla di memoria, gestione dei ricordi, di come possa diventare una malattia continuare ad accumulare momenti, bellezza o vacuità che non possiamo trattenere e che la realtà divora, impassibile, come un buco nero; di cosa si possa salvare - prima dell'orizzonte degli eventi - quando il tempo ti tormenta come una tempesta”.

Lo avverto bello carico e gli chiedo conferma ma lecitamente mi fa notare l'idiozia e l'ovvietà di qualsiasi domanda in merito. “Sicuro emozionato ma molto centrato”, poi aggiunge: “Ma mi fermo. Ho provato a rispondere almeno tre volte a questa domanda, e ogni volta il risultato è come le interviste ai calciatori post partita, con quei contenuti lì, un po' posticci, col fiato corto, raffazzonati, prevedibili”. In effetti per non esserlo, carico, avrebbe dovuto fare il pizzicagnolo, non il musicista con un nuovo singolo di imminente uscita.

Ma nel bel mezzo del mio nauseabondo mea culpa - you Jane, lui trova da solo un interessante risvolto alla mia osservazione alquanto sciocca. “Poi ci pensavo ieri, a come si vive l'attesa dell'uscita del disco. Una volta approvati i mix per mandare Quanto in stampa, una volta congedato tutto e messo nelle mani di altre persone, mi sono detto: E ora? Arriverà il giorno dell’uscita che sarò totalmente esausto di questo disco”. Di più: “Nel latino medievale licenziare significava il dare permesso di fare qualcosa, dare licenza, una concessione; una volta che un disco è licenziato, gli offri la libertà. Ma prima di poterlo vedere in giro, fuori, uscito, c'è questo lasso di tempo limbico che intercorre tra concetto di disco-finito-per-te e il disco-finito-per-gli-altri. E hai l’impressione che quel tempo sia lunghissimo, interminabile. Insostenibile. Con questa nuvola di un disco che potrebbe essere ovunque e invece non è da nessuna parte”.

Gazebo Penguins, foto di Stefano Bazzano
Gazebo Penguins, foto di Stefano Bazzano

Lo riporto allora sul motivo della nostra chiacchierata, ossia Nubifragio, che a parer mio sa bene rappresentare il mondo che i Gazebo hanno nella testa e ogni tanto lasciano intravedere all'esterno come un luogo bellissimo e nello stesso tempo terribile, un posto riservato a pochi scelti, a persone analitiche e appassionate di fronte alle difficoltà - persino più di quanto non appaiano. Capra annuisce: “Ti dirò, Nubifragio è la canzone che ci portiamo dietro da più tempo. La parte finale è stata veramente scritta da una vita. E trovo molto lineare che un pezzo che parli della gestione dei ricordi, sia proprio una canzone che si struttura attorno ad un giro che riposava in un computer da anni. Che in un certo senso lo riporta alla luce, lo salva, lo rende pubblico”. Così  viene fuori che Nubifragio come l'intero disco è stato fatto in una maniera diversa dalle altre volte. Senza averla mai suonata insieme. Non in sala prove ma in casa, davanti a un computer; o in uno studio, sempre davanti a un computer. Le idee prendevano tempo, i pezzi restavano in sospeso anche mesi finché non trovavano un equilibrio.

Mi chiedo allora quanto le ultime sparute esibizioni dal vivo in acustico abbiano influito in questa dimensione (passatemi il termine) da cameretta. “Di sicuro è un disco nato a volumi bassi. Solo quando le canzoni avevano una loro forma, le abbiamo trasportate in sala, come un carico fragile da preservare, che si sarebbe potuto rompere. Lì poi abbiamo aperto il rubinetto del volume e capito come i pezzi fossero già grandi abbastanza da camminare soli”. E' in questo preciso istante che capisco perché la musica di questi punk del terzo millennio mi affascina e insieme spaventa - ma la prendo così com'è e vi prenderà così com'è: perché ciò che nasconde non è mai banale, non è artefatto, non è mai scontato e fa parte di quella inossidabile poetica categoria che non faremo mai a meno di consigliare a chiunque domandi alla musica di essere sincera e personale.

E come direbbe Rob Gordon: adesso sono pronto a sapere, perché Quanto? “Siamo voluti partire da concetti cari alla fisica moderna e alla filosofia della scienza. Con atteggiamento naif, senza alcune velleità scientifica, pur sapendone di Planck e di Newton e compagnia. Ma lo scopo principale era creare storie che raccontassero di concezioni del mondo inedite, attraversare l'obliquità dello spazio e del tempo, l'inesistenza del vuoto, i buchi neri, e via. Riportando tutto su un piano familiare, se no lasciando che si disperda verso posti che ancora non capiamo”. Detto così suona molto teorico e si fatica a immaginarlo, ma d'altronde parlare di musica o è una riduzione o un'esagerazione.

Gazebo Penguins, foto di Stefano Bazzano
Gazebo Penguins, foto di Stefano Bazzano

Come diceva Isadora Duncan: Se potessi dirlo, non lo danzerei”. Capra aggiunge: “Una delle più eccitanti interpretazioni della meccanica quantistica è quella “a molti mondi”: se l'osservazione modifica il sistema, allora un esperimento che potrebbe dare come risultato A oppure B comporta la creazione di un mondo in cui si darà A e un altro B. Nel paradosso del gatto di Schrödinger il gatto è sia vivo che morto, non in sovrapposizione di stati, ma in due mondi distinti. Ogni alternativa è un nuovo mondo. Un po' vale anche quando si scrive una canzone. O una parola al posto di un'altra, o al mattino si infila la scarpa destra prima della sinistra”.

Non ho ancora sentito Quanto ma lo ascolto e cerco di ricordare l'ultima volta che un'intervista è stata così interessante e avventurosa (“Ma puoi scrivere che va  benissimo come un avverbio. Tipo: Quanto costa? 20€ e ciao!”) e mi chiedo quanto di tutto questo sia farina del suo sacco, di studi, letture, dei film e quanto banalmente dovuto al suo background musicale, come quel concerto degli Explosions In The Sky a cui mi racconta di avere assistito una notte di mille anni fa nella sperduta Mirandola, e vedere questi tizi texani a un metro dal palco fare pezzi dai titoli come Magic Hours o Time Stops, e vivere una di quelle cose per cui oggi sei davvero felice di avere quarant'anni. Comunque stiano le cose lo scopriremo solo vivendo, perché Quanto sarà senza pre-order.

Infatti, per poter ascoltare e acquistare in anticipo il disco, si dovrà assistere a uno dei quattro concerti di presentazione di dicembre a Roma, Milano, Torino o Bologna. Una scelta con tanti significati. “Il primo credo sia l'idea che se ti va di ascoltare Quanto o di comprarlo, devi prenderti su, uscire di casa, e andare a un concerto. Volevamo che l'uscita del disco diventasse contingente all’uscita di una persona; che tornasse a essere centrale il momento del concerto, dell’incontro, dell’interpersonalità. Sui vari cancheri di ascolto arriverà dopo”.

 

 

 

---
L'articolo Gazebo Penguins: se vuoi ascoltarci, vieni a vederci di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-10-24 10:30:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia