Genova 2001: i tre giorni che ci hanno tolto per sempre la voce

Nel luglio del 2001, terrorizzata e massacrata al G8, un'intera generazione perse la voglia e la capacità di dire la propria sul mondo, chiudendosi in sé stessa. È successo anche alla musica, passata dall'impegno ostentato alla reiterazione di ciò che già funziona, alle solite TRE PAROLE

Gli scudi dei Disobbedienti - foto via Wikimedia Commons
Gli scudi dei Disobbedienti - foto via Wikimedia Commons

Il 21 luglio 2001 conquistava la vetta delle chart della Fimi Tre parole di Valeria Rossi. Avrebbe dominato l'airplay per tutta l'estate, rimanendo in cima agli ascolti dei singoli per sette settimane, fino al primo di settembre e all'avvicendamento con XDono, che, per capirci, sarebbe rimasto capolista solo 21 giorni. Valeria Rossi diventava la "one-hit wonder" per eccellenza della musica italiana, Tre parole – o "Sole, cuore, amore", come tutti la chiamavano per comodità – uno dei tormentoni più tormentanti della nostra storia balneare.

Era un pezzo perfetto: svolazzante come l'ape protagonista del video, leggero, sognante, semplice come l'infanzia e un po' matto come ci immaginiamo debba essere l'estate, prima che sia già finita senza che accadesse nulla di particolarmente rilevante. Quella melodia era entrata in maniera talmente prepotente nelle orecchie e nell'immaginario di tutti che nelle settimane a venire, ferocemente travisata a mo' di macabro sfottò, sarebbe stata ripresa da chi gioiva – o anche solo aveva voglia di scherzare – per quanto accaduto poche ore dopo la fine del 19 luglio a Genova.

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Perché per gli abitanti della placida capitale ligure e per molte persone lì giunte per un weekend lungo e parecchio impegnativo, non sarebbe stata un'estate come le altre. Una di quelle in cui accadono sempre le stesse cose, belle e rassicuranti, che pare una replica tv dell'anno precedente e di quello prima ancora. 

Il 19 luglio a Genova iniziava il G8, evento caricato nelle settimane e nei mesi precedenti di una tensione – sia positiva che negativa – senza precedenti. Il primo giorno – era un giovedì – qualche nuvolone iniziò ad addensarsi sulla città, ma nulla che potesse oscurare la gioia elettrica sprigionata dai cortei degli studenti e dei migranti, dall'arrivo in città di decine di migliaia di colorati figuri che parlavano (a modo loro) di futuro.

Invece poi arrivò il 20 luglio, con la morte. Da lì in poi in città sarebbe successo di tutto: "la macelleria messicana", "la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale". Una bolla di irrealtà inghiottì tutto e tutti per alcune ore, e cambiò la storia. Tanto che è difficile oggi credere sia accaduto tutto, a pochi passi da noi, pochi anni fa, in vita e in attività tutti (o quasi) i protagonisti.

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Da allora è tutto diverso. Buona parte delle sventure profetizzate dalle piazze di Genova si sono avverate, gli anticorpi c'erano ma sono stati neutralizzati. Persino ricordare Genova 2001 non è un esercizio semplice: molti, da quello slalom tra i lacrimogeni e le manganellate, sono usciti svuotati, disillusi e asmatici di fronte alla realtà. Chi lo fa ora, in queste giornate di anniversario, appare un reduce, mosso più da dovere che da reale convincimento. Con lodevoli eccezioni

Se politicamente è stato il disastro, con le idee su cui si fondavano quei giorni che presero il volo e cominciarono a torcersi, passando dal "mondo intero" alla prospettiva egoista e impaurita del giardinetto di casa. Ciò che è più grave, quella è stata una sciagura prima di tutto umana, da cui pure chi uscì legittimamente incattivito difficilmente ha tratto da quei sentimenti una qualche forma di vitalità.

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La musica, in Italia più ancora che altrove, ha subito lo stesso corso. Dall'orgia di lotta e divertimento che furono quegli anni – quelli di Manu Chao e dei suoi epigoni, poi da Caparezza e del rap degli spazi occupati, della Banda Bassotti, di un "indie" che tale era per davvero nell'attitudine e nei percorsi personali –, in cui la distinzione tra ciò che era per le masse ben poco "woke" e il suono di chi invece "non si girava dall'altra parte" era esasperata e inconciliabile, si arrivò per gradi alla mainstreamizzazione dell'underground, al riflusso nel privato dell'itpop e pure a quella specie di accelerazionismo che è la trap. 

E noi, afoni e non desiderosi di essere diversamente. Rimasti da vent'anni confinati a dirci tre parole, a darci un bacio che non fa parlare.

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L'articolo Genova 2001: i tre giorni che ci hanno tolto per sempre la voce di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-07-19 15:21:00

COMMENTI (1)

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  • RoccoForsani 13 mesi fa Rispondi

    Fu un massacro che chiarì definitivamente la fine della politica e delle ideologie, non c'era più spazio di discussione possibile, aveva vinto totalmente e definitivamente il capitalismo corporativista.
    Il bello è che a Genova non c'erano solo "i comunisti" ma un movimento che spaziava dai cattolici agli anarchici. Fu un massacro voluto e forte, per disinnescare quella protesta e definire chi comandava.
    Da lì in poi la politica è diventata altro e si abbruttita portandoci ad oggi, dove il mondo di nuovo trema davanti a conflitti regionali importanti.